L’artificio dell’«acrostico» consiste nel desumere dalle lettere iniziali dei versi di un componimento un insieme dotato di senso. Esso riesce quasi il rovescio della rima; mentre questa, infatti, traduce e pone in rilievo il ritmo, l’acrostico evidenzia un tema grafico situato in posizione opposta. Esso finisce poi per contrapporre a una composizione primaria, completamente evidente, un secondo elemento più o meno nascosto; di qui una sorta di lontana parentela con l’enigma, anche se in questo caso l’intento non appare sempre dichiarato.
L’acrostico può dar luogo a qualsiasi risultato, sarà il nome della donna amata o altro; esso resta la più diffusa e forse la più antica delle strutture.
Abbondano gli esempi del genere, non dimenticando quelli dei nostri grandi: l’Amorosa visione del Boccaccio, la Nicolosa bella del Bentivoglio, i sonetti dell’Amorum libri di Boiardo per Antonia Caprara, l’Hypnerotomachia di Francesco Colonna e così via fino a certe composizioni di Teofilo Folengo e di altri rimatori di quei secoli.
A parte i diversi tipi, come quello “alfabetico” o quello “orizzontale”, l’acrostico può svolgersi secondo varie modalità: “acrobistico”, “alfanumerico”, “notarico”, “scalare” ecc.
La struttura dell’«acrostico alfabetico» è sostanzialmente quella del «carme alfabetico» o «carme abecedario»; il suo svolgimento dà luogo alla sequenza ordinata delle lettere dell’intero alfabeto. È il caso di questa composizione di Edoardo Sanguineti, “Distichetti alfabetici artusiani” (in Le leggi della tavola. Regole per tutti i gusti, “Biblioteca Oplepiana” n° 29, 2009, pp. 52-53).
I distici sono costruiti ritagliando (con lievi adattamenti) proposizioni de La scienza in cucina dell’Artusi; la selezione pone in evidenza, per quanto in modo aleatorio,
alcune ossessioni tematico-lessical-culinarie di Anthelme Brillat-Savarin. I 21 distici offrono, come è evidente, un acrostico alfabetico doppio.
Distichetti alfabetici artusiani
allora, con la mestola forata,
alla scarlatta prende un bel colore:
buccio per busto è licenza poetica,
buttate dentro mandorle a filetti:
con conti corti e tagliatelle lunghe,
ci stanno come il pancotto nel credo:
dopo molti discorsi, con consigli,
dimmi quel che tu mangi, e ti dirò:
eccovi un altro risotto, ma senza
entremets dei Francesi, che è tramessi:
fate un battuto con poca cipolla,
fette sottili, e fegatini, e fegato:
gettateli nell’acqua acidulata,
grammi 30 di burro, e rosolateli:
ho visto già a Viareggio che le cieche
hanno virtù, che è diurodiaforetica:
il candito tagliate ai piccolissimi,
in mancanza di questi, e voi servitevi:
la carne del filetto è la più tenera,
lardatoio è un arnese di cucina:
mangiavano le bacche di una pianta,
mele rose o reinettes, chilogrammi 1:
non crediate che questa salsa io prenda
novellina, non più grossa di un uovo:
odore di noce moscata, poche
ore circa, che tante ci occorrono:
più e diverse qualità di cibi,
pranzo alle sette, veramente no;
quando l’olio comincia a grillettare,
questa è la balsamella, se verrà:
rosolata per bene, quasi nera,
ridotta quasi all’asciutto, bagnatela:
spolverizzatela sopra di cacio,
signori bevitori, a questa aringa:
tre differenti ricette di pasta,
tagliate loro la metà del gambo:
uova, uno intero e un torlo, burro, tanto,
uovo sbattuto poi nel pangrattato:
vi avverto che non è piatto per stomachi,
versate sull’intriso mezzo litro:
zucchero, grammi 90, con mandorle,
zibibbo, grammi 100, uova 2:
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