Editoriale

Artigiani dell’olio

Giampaolo Sodano – Presidente dell’associazione dei Mastri Oleari

Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un progressivo mutamento dei mercati come effetto della recessione economica, della globalizzazione, dell’entrata di nuovi paesi emergenti, dello spostamento della ricchezza da ovest verso est. Come effetto dello strapotere del mercato dei soldi sul mercato delle merci, come effetto della prevalenza del potere della finanza sul potere politico. E con la sconfitta della politica si è aperta un’era in cui nulla è come prima: la recessione ci ha messo in ginocchio, ci siamo mangiati i nostri risparmi, le famiglie sono più povere e le imprese hanno fatto fatica a rimanere aperte.

Nel piccolo mondo dell’olio dalle olive tutto questo ha avuto un solo drammatico effetto: l’abbandono di quel poco di olivicoltura che per secoli aveva resistito nel nostro Paese. Negli ultimi tre anni abbiamo toccato il fondo: 300mila tonnellate di olio prodotto, un terzo di quello che gli italiani consumano. Che fare?

La storia racconta di frodi e di sofisticazioni e di leggi scritte per impedirle. E di una industria “intraprendente” che ha sfruttato bisogni e disinformazione per far crescere il profitto immettendo sul mercato oli deodorati, rettificati, truccati, oli di semi e oli comunitari ed extracomunitari in una Italia che ha il privilegio di produrre un extravergine apprezzato in tutto il mondo. Purtroppo sotto il marchio “Made in Italy”, viaggia qualsiasi cosa. La verità è che sul mercato troppo spesso vince il prezzo sulla qualità. Il “vizio” del basso prezzo dell’olio d’oliva non nasce per caso, è il risultato di una dissennata politica comunitaria che ha favorito la creazione di una posizione dominante della Spagna che detta legge sul mercato anche attraverso posizioni di potere nel Consiglio Olivicolo Internazionale a cui il Governo del nostro Paese non ha saputo opporsi anche perché non ha mai considerato prioritario, nel quadro della nostra politica agricola, la difesa dell’olio d’oliva.

E allora tocca ai produttori italiani difendere e promuovere l’alta qualità del nostro olio. Non solo perché questo è l’unico terreno su cui possiamo competere sui mercati, ma anche perché la qualità è un diritto del cittadino quando acquista ciò che mangia, perché attraverso l’alimentazione garantisce la sua salute. E con l’olio dalle olive dobbiamo difendere l’impresa artigiana olearia che lo produce garantendo con la professionalità dei suoi addetti la tracciabilità della filiera e la trasparenza del processo di produzione.

Famosi nutrizionisti hanno definito l’olio estratto dalle olive un elisir di lunga vita: un vero toccasana per la salute usato, per la sua tollerabilità e per la sua purezza, come sostanza terapeutica naturale che assolve nell’organismo a diverse funzioni: contribuisce alla formazione della linfa, mantiene sciolte le articolazioni, costituisce una protezione termica del corpo. Usandolo in modo continuativo l’olio extra vergine rende un servigio straordinario al nostro corpo, l’olio di qualità fa bene e anni di ricerca hanno dimostrato che previene alcune importanti patologie.

Infatti, l’olio dalle olive (attenzione, non quello d’importazione che ha perso per la strada tutte le sue qualità e non l’olio di semi che per essere estratto ha bisogno di un solvente chimico come l’esano!) non contiene colesterolo dannoso alla salute. E’ ricco di vitamine e altre sostanze antiossidanti che proteggono l’organismo e ne ostacolano l’invecchiamento. Per questo è consigliato nelle diete degli anziani e, per i suoi preziosi costituenti, è anche un importante alimento per una corretta crescita dei bambini.

Ma tutto ciò ad una sola ed inequivocabile condizione: l’alta qualità. Ma come si ottiene e come si può riconoscere. Innanzitutto l’olio deve essere estratto da olive sane, risultato di un scrupolosa cura agronomica, e da un processo di produzione artigianale come quello che fanno molti frantoi oleari, dotati di moderne tecnologie e gestiti da mastri oleari di lunga tradizione e professionalità.

Guardiamo avanti. La crisi non ci ha lasciato solo macerie: si sono affermate nuove realtà imprenditoriali, piccole imprese innovative e aggressive, capaci di intercettare nuovi bisogni e di “produrre all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo”, come ha scritto Carlo M. Cipolla. Se questo è vero allora si può ripartire dalle piccole e medie aziende manifatturiere cui dovrebbe fare riscontro, anche ai fini occupazionali, lo sviluppo di una agricoltura di qualità che faccia leva sulla cultura tradizionale dei campi e su una trasformazione dei prodotti agricoli che punti sulla unicità e sulla qualità, a fare da contrappunto alla produzione massificata e priva di specificità dei prodotti dell’industria agroalimentare.

Ma per intraprendere questo percorso dobbiamo sostenere e promuovere la produzione di un cibo sano, buono e nutriente, garantito dalla trasparenza e tranciabilità della filiera produttiva, nel quadro del riconoscimento dei diritti dei consumatori.

Lo scandalo dell’olio deodorato, dell’olio di palma, lo scandalo della carne suina e quello del latte e dei formaggi, e come una ciliegina sulla torta il prosciutto di Parma o il prosciutto San Daniele, dimostrano che l’impegno per la trasparenza nel settore agroalimentare da importanti risultati, fa scoprire il malaffare e difende i consumatori dalle frodi che fanno male alla nostra salute. Ma gli artigiani del cibo devono fare di più, noi dobbiamo offrire a quel consumatore un’alternativa. Un cibo buono, sano e nutriente, al prezzo giusto. Ma dobbiamo sapere che se limitiamo il nostro agire all’offerta di un prodotto, anche se buono e sano, la partita è persa. Dobbiamo riacquistare un legame forte con la società. Nei secoli passati gli artigiani hanno lasciato un segno indelebile della loro presenza, del loro lavoro. Ma oggi, cosa sta dando la nostra generazione? Che tipo di rapporto abbiamo con il consumatore? Con la comunità in cui viviamo.

I mercati stanno subendo un radicale mutamento.  Nulla è come prima: si impone un cambiamento di mentalità e di offerta, le aziende devono essere capaci di anticipare le richieste del mercato e l’Italia deve valorizzare le sue ricchezze. La biodiversità è un bene prezioso che andrà sempre più tutelato, come prevede la convenzione firmata da quasi tutti i paesi del mondo a Rio de Janeiro. In questo contesto l’impresa artigiana è destinata sempre più ad essere un naturale presidio di questo bene prezioso perché capace di garantire il proprio prodotto avendo il controllo dell’intera filiera, la competenza professionale nella gestione delle tecnologie e la trasparenza nel processo di produzione e distribuzione.

Il consumatore ha il diritto di sapere chi è colui che ha prodotto il cibo che ha acquistato e deve essere certo della sua professionalità. L’artigiano del cibo, produttore o chef, deve avere la patente. Il consumatore sarà così sicuro di acquistare o mangiare un cibo eccellente di cui è garantita la trasparenza del processo produttivo nell’impresa o in cucina, l’origine e la genuinità. Dobbiamo darci un codice etico.

La mappa dei consumi, dopo lo shock della crisi economica-finanziaria, riflette il processo di ristrutturazione delle filiere. Un processo questo, che ha portato molti operatori della grande distribuzione ad interpretare il mercato secondo logiche che guardano all’essenzialità e alla qualità dei consumi.  Questo trend riflette i nuovi atteggiamenti del consumatore che, dopo aver metabolizzato la crisi a livello psicologico, ha cambiato gli atteggiamenti d’acquisto. Il leitmotiv oggi è “spendo meno ma meglio, per avere valore”. Tutto questo si traduce in una maggiore attenzione al processo di spesa, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi.

Il cibo è uscito dalle case ed è diventato paesaggio urbano spalancando nuovi spazi e nuovi modi di stare insieme per un’umanità a banda larga. Si mangia ovunque. Si mangia a casa, al ristorante, per la strada, si mangia qualsiasi cosa e quello che si mangia non si sa cos’è. Le etichette sono opache, quando non sono oscure. Non basta inserire gli ingredienti in etichetta. Gli ingredienti e la loro origine, pur tra molti ostacoli e opposizioni, li abbiamo ottenuti, ma il processo di produzione e i suoi componenti ancora no. Su questo l’industria alimentare fa una ferma difesa dello status quo perché spesso nel processo di produzione si utilizzano solventi, che hanno a che vedere direttamente con la nostra salute.

Allora bisogna riscrivere le regole e bisogna scrivere regole nuove. Si debbono fare buone leggi. Per esempio è stata fatta una legge sull’olio che riconosce che l’unico vero produttore di olio è il frantoio artigiano. All’articolo 2 la legge dice che chi fa l’olio è il mastro oleario e ha un albo professionale. Vorremmo che tutti coloro che fabbricano cibo avessero un albo professionale, e una professionalità certificata, perché il cibo non lo può fare chiunque. Perché il cibo è piacere e salute.

Lavorare, produrre, non può voler dire solo tendere al conseguimento di un risultato economico positivo: pur necessario, esso non può essere il solo obiettivo di un’impresa artigiana che tende ad esaltare i valori dell’uomo, la sua capacità creativa, il suo contributo all’affermazione dei fini del gruppo sociale in cui vive ed opera.

Responsabilità sociale vuol dire esaltazione del parametro di socialità dell’artigiano, testimone ed erede della tradizione del gruppo sociale ed insieme uno dei promotori del suo sviluppo umano, sociale ed economico. Di qui la responsabilità dell’impresa artigiana.

  • Responsabilità dell’impresa, quanto alla sua esistenza, come strumento di reddito e sviluppo economico;
  • Responsabilità dell’impresa verso il gruppo sociale quanto a trasferimento nel tempo dei suoi valori, tradizioni ed esperienza;
  • Responsabilità dell’impresa nei confronti dei destinatari, di ciò che produce nel rispetto della persona, dell’ambiente, della coesione sociale;
  • Responsabilità dell’impresa nei confronti delle istituzioni (trasparenza, osservanza delle leggi, rifiuto di pratiche illegittime).
  • Responsabilità dell’impresa artigianale del cibo nei confronti della salute dei cittadini.

Una delle novità più importanti a proposito della tutela della salute è il passaggio dalla cura degli stati morbosi alla loro prevenzione. Non si tratta più solo di curare la malattia ma di creare le condizioni idonee affinché essa si presenti con minore frequenza e possa essere più agevolmente curata mobilitando tutte le difese immunitarie.

Ciò, a proposito del cibo, significa che non basta più proporsi l’obiettivo che esso non sia dannoso per la salute, ma quello che giovi ad essa. Il cibo artigianale può e deve avere questa caratteristica, che significa usare materie prime, processi di lavorazione, modalità di conservazione tali che il prodotto finale sia giovevole alla salute del consumatore, garantito in tal senso da adeguate certificazioni di tutte le fasi della filiera.

Artigiani dell’olio, artigiani del cibo per difendere l’extravergine italiano e il cibo artigianale, che vuol dire difesa della cultura, delle tradizioni, della storia del nostro Paese che si esprimono anche nella cucina, espressione della cultura in senso materiale di un popolo. Una nuova legislazione per un mercato trasparente di prodotti alimentari sani, è il contributo che possiamo dare per un Paese diverso, per un’Italia migliore.

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Giampaolo Sodano

Artigiano, mastro oleario, giornalista e dirigente d’azienda, Giampaolo Sodano è nato a Roma. Prima di vincere nel 1966 un concorso ed entrare in Rai come funzionario programmi svolge una intensa attività pubblicistica come critico letterario e cinematografico. Nel 1971 è giornalista professionista. Nel 1979 è dirigente d’azienda della RAI. Nel 1983 è eletto deputato al Parlamento. Nel 1987 torna all’attività professionale in RAI ed è nominato vice-presidente e amministratore delegato di Sipra e successivamente direttore di Raidue. Nel 1994 è direttore generale di Sacis e l’anno successivo direttore di APC, direzione acquisti, produzioni e coproduzioni della Rai. Nel 1997 si dimette dalla RAI e diventa direttore di Canale5. Una breve esperienza dopo della quale da vita ad una società di consulenza “Comconsulting” con la quale nel 1999 collabora con il fondo B&S Electra per l’acquisizione della società Eagle Pictures spa di cui diventa presidente. Nel 2001 è eletto vicepresidente di ANICA e Presidente dell’Unidim (Unione Distributori). Dal 2008 al 2014 è vicepresidente di “Sitcom Televisione spa”. E’ stato Presidente di IAA. Sezione italiana (International Advertising Association), Presidente di Cartoons on the bay (Festival internazionale dei cartoni animati) e Presidente degli Incontri Internazionali di Cinema di Sorrento. Ha scritto e pubblicato “Le cose possibili” (Sugarco 1982), “Le coccarde verdemare” (Marsilio 1987), “Nascita di Venere” (Liguori editore 1995). Cambia vita e professione, diventa artigiano dell’olio e nel 1999 acquista un vecchio frantoio a Vetralla. Come mastro oleario si impegna nell’attività associativa assumendo l’incarico prima di vicepresidente e poi direttore dell’Associazione Italiana Frantoiani Oleari (AIFO). Con sua moglie Fabrizia ha pubblicato “Pane e olio. guida ai frantoi artigiani” e “Fuga dalla città”.

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