La pappa e la storia

Bagna calda

Se si pensa alla cucina del Piemonte il primo piatto che viene in mente è la bagna (salsa) calda o bagna caoda (in piemontese). Ma non c’è solo lei: acciughe al verde, peperoni al forno con salsa d’acciughe, topinambur con acciughe e pomodori, fiori di zucchine farcite con salmerino e salsa di bagna caoda, trote con salsa di acciughe, tanto per citare alcune pietanze tipiche.  Può stupire, visto che il Piemonte non ha sbocchi al mare, e infatti la teoria più accreditata è che tutto questo ben di dio derivi da….evasione fiscale.

La presenza delle acciughe nella cucina piemontese si perde nella notte dei tempi. C’è chi le vuole arrivate in  Piemonte al seguito dei Saraceni che, dopo aver messo a ferro e fuoco la Provenza, conquistano le valli piemontesi. Ma alcuni di loro, stufi di battaglie e sangue, decidono di stabilirsi in piccoli paesi montani e introducono l’uso delle acciughe che, ben conservate sotto sale, erano un ottimo approvvigionamento per i lunghi mesi invernali.

Ma, come si sa, il Piemonte è attaccato alla Liguria dove il mare c’è e con esso tutta l’economia connessa, in primo luogo il commercio del sale. Un alimento prezioso e, per molto tempo, merce rara per i poveri, figuriamoci nelle valli più a nord della regione. Si parla di tre, forse quattro secoli fa, quando il sale era gravato da altissime tasse doganali. Veniva trasportato in barili e venduto in tutto il territorio. Non si sa se ad uno scaltro ligure o a un furbo piemontese venne l’idea di coprire il sale con alcuni strati di acciughe, fatto è che si ingannavano di doganieri e si pagavano meno tasse (le gabelle sulle acciughe non erano alte) e si aveva un bel guadagno, perché  questo tipo di pesce azzurro piano piano diventa popolarissimo e apprezzato in tutto il Piemonte. Se lo potevano permettere anche le popolazioni meno abbienti perché si manteneva (e si mantiene) nel tempo, era (ed è) bello sapido, aveva (e ha) buone proprietà nutritive. E così le acciughe prendono il sopravvento sul sale. I piemontesi le chiamavano pan de muntagna (pane di montagna), i liguri “pan du ma’ (pane del mare).

Un’altra particolarità: a dedicarsi a questo commercio erano gli abitanti delle valli più alte e impervie della regione, come la Val Maira, che al mestiere di venditore di alici ha dedicato un museo.

La spiegazione è semplice: a fine estate terminati i lavori agricoli, gli uomini partivano per la pianura a cercare lavoro. Uno di questi era il mestiere, appunto, dell’acciugaio o anciuè in dialetto. Il capofamiglia partiva, andava in Liguria e comperava le acciughe, gli altri componenti della famiglia lo raggiungevano a trattative concluse, con i caruss, cioè carretti costruiti in valle, molto leggeri, robusti e quasi sempre dipinti d’azzurro. Caricavano i barili di acciughe e giravano poi in tutta la regione e vendevano. C’era anche chi si spingevano fino in Lombardia e in Emilia.

La via del sale partiva dalle coste francesi e passando per Sanremo, Oneglia sale a nord fino a superare il col di Nava. E proprio a questo tragitto è dedicato un bel libro di Nico Orengo Il salto dell’acciuga, in cui il protagonista racconta agli amici delle sue peregrinazioni tra il mare della Liguria di Ponente e la Val Maira immaginando che i saraceni si nascondessero lì “senza nome, invisibili” per poi diventare acciugai . Perché l’acciuga il salto lo fa davvero. Scende verso Limone Piemonte poi giù a Cuneo e giù giù fino a Dronero, patria degli acciugai, all’imbocco della Val Maira.

Un cammino che consente di evitare lo spopolamento della montagna, almeno fino agli ani ’60 del 1900. “Montanari che conoscono il pesce come marinai – scrive Carlin Petrini, presidente Slow Food – contadini d’estate, commercianti o artigiani ambulanti nei mesi freddi”.

Era un lavoro duro quello dell’acciugaio. Percorrevano  anche più di trenta chilometri al giorno, con la loro scandai  (la stadera), appesa al carretto e usata per pesare la merce. Spesso il pranzo e la cena erano un paio di acciughe, scrollate dal sale e infilate dentro un tozzo di pane. Dormivano dove capitava o in qualche cascina che dava loro ospitalità, ripagata per lo più  con alici . Non sempre c’erano lauti guadagni, ma almeno a casa  per qualche mese c’era una bocca in meno da sfamare.

Quello che li differenzia dagli altri lavoratori stagionali è che gli acciugai della Val Maira si era costituiti in una vera e propria corporazione, che si occupava dall’approvvigionamento alla vendita, divideva le zone di competenza e i tempi della vendita. “uomini intraprendenti – scrive ancora Carlin Petrini – spesso ricordati come figure leggendarie, capaci di superare le avversità e di costruire piccoli imperi commerciali”.

E adesso è di dovere parlare della bagna caoda, pietanza simbolo del Piemonte.

Le origini vere e proprie non sono conosciute (anche se ha buone probabilità di esserne la patria il Monferrato).Nascono dal popolo che intingava con quello che aveva e ne uscivano fuori cose buonissime. Si narra che fosse il piatto con il quale si ricompensavano i vendemmiatori. Infatti è una salsa tipicamente invernale da abbinare a verdure di stagione, in primo luogo il cardo. Potrebbe essere stato adottato già dal medioevo per festeggiare eventi molto importanti, come la spillatura del vino. Per secoli è stato piatto da poveri e da contadini: i nobili storcevano il naso per il  troppo aglio. Oggi è candidata come patrimonio immateriale dell’Unesco. Essenziale è consumarla calda (da cui il nome), infatti viene servita in particolari recipienti di terracotta (fujot) o rame con sotto una fiammella che riscalda la salsa.

Ricetta bagna calda

Qui sotto la ricetta classica per 4 persone:

  • 300g di aglio
  • 500g di acciughe dissalate
  • 400ml di olio
  • 100g di burro
  • 600 ml di latte
  • Verdure di stagione: peperoni, cipolle, cardi, patate, barbabietole, carote, pomodorini

La preparazione

– Inizia pulendo l’aglio, taglialo a metà e privalo dell’anima per renderlo meno indigesto. A questo punto ponilo in un pentolino, coprilo con abbondante acqua fredda e portalo a bollore. Scolalo dall’acqua e ripeti quest’operazione per quattro volte. In questo modo l’aglio risulterà più digeribile e allo stesso tempo non perderà il suo sapore

– Metti l’aglio in un pentolino con il latte e lascialo cuocere finché non inizierà a bollire leggermente

– A parte, in una padella, a fuoco molto moderato fai sciogliere le acciughe con il burro e l’olio, fino a trasformarli in una crema. In questa fase è molto importante che le acciughe cuociano a fuoco lento, altrimenti potrebbero risultare leggermente rancide

– Unisci tutti gli ingredienti e frullali con un frullatore a immersione per ottenere una crema fine e omogenea

– Adesso che la bagna cauda è pronta, non ti resta che disporla nei classici pentolini  ed intingere le verdure fresche di stagione che hai tagliato in precedenza.

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Stefania Conti

Giornalista. Nata a Roma e laureata in sociologia, ha lavorato presso (in ordine cronologico): Adnkronos, Il Messaggero, Tg2.

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