Molto del successo dei talent è dovuto alla simpatia dei conduttori oltre che alla scelta dei partecipanti. Best Bakery è un programma molto accurato, leggero, goloso e competitivo nel giusto. Si tratta di dolci! Sono in gara tre pasticcerie alla volta di una grande città italiana per 4 giorni poi in venerdì c’è la sfida finale per decretare la migliore pasticceria di quella città che andrà al gran finale per vincere il titolo di miglior pasticceria d’Italia.
Loro sono Alessandro e Andreas, due bei tipi uno alto e sornione l’altro più piccolo e severo, entrambi molto eleganti. Sono molto garbati ma nonostante si parli di dolci non le mandano a dire e non sono prolissi. Il montaggio è simile a quello dei cooking talent intervallato dai primi piani delle espressioni di gioie o di disappunto dei pasticceri alle critiche molto tecniche dei giudici. Ma seguendo le degustazioni si imparano molte cose per esempio a vedere se un pan di spagna è fatto bene, morbido e ben imbevuto, se una crema è liscia e setosa, se una frolla è troppo biscottata: viene la voglia di assaggiare e magari passato il coronavirus di andare di persona a capire se il pasticcere ha tenuto conto dei consigli…
Ogni match è fatto di tre steep: la prima impressione sull’ambiente, sull’offerta di dolci, sull’accoglienza; il secondo steep è il giudizio sulla specialità che la singola pasticceria ritiene essere il suo miglior dolce, il terzo steep è il dolce della sfida: viene dato dai giudici un ingrediente segreto non proprio di uso da pasticceria (per esempio la liquirizia), difficile da abbinare. E qui è divertente perché i due giudici (li ho chiamati Cric e Croc di calviniana memoria) si rivelano un po’ cattivelli e cercano una pasticceria piena di fantasia che faccia un ottimo dolce anche molto bello da vedere e… moderno. Mentre sono nella loro pasticceria i pasticceri sono sereni e sicuri di sé ma al terzo steep quando portano il loro dolce della sfida per il confronto finale in un luogo storico della città bello e importante diventano ansiosi, insicuri, preoccupati. Finita la sfida assaggiano i dolci degli altri sfidanti e, cosa molto bella, li apprezzano e condividono il giudizio finale dei giudici.
Professionisti veri! Chissà se poi all’interno della loro cucina si scatenano in commenti vari. Ma la tv non racconta sempre tutta la verità…
Non so fare i dolci, un tempo non mi piaceva neanche mangiarli salvo qualche eccezione come la sfogliatella calda di Pintauro a via Toledo che ingurgitavo prima di andare a lezione all’università o il babà di Cimmino a via Filangieri o la pastiera di Caflisch a via Chiaia. Nelle occasioni speciali, anzi specialissime come il compleanno di papà, facevo il Momtblanc una gran faticata ma mi veniva buonissimo. Poi con il passar del tempo ho imparato qualche diavoleria e siccome è necessario quando inviti amici finire la cena con un dolce mi sono cimentata con risultati non sempre speciali. Adoro gli amici che mi chiedono se possono portare un dolce (in campagna non si portano fiori ci sono già!) e poi la primavera – estate quando impazzano i gelati rigorosamente artigiani di Ermete a Trevignano.
Poi capita la giornata Sì e allora parto di gran carriera. Così è successo un giorno in cui venivano a pranzo alcuni amici tra cui Carmelo e Susanna che cucina di tutto e benissimo. Le graffe napoletane le ho dedicate a lei che mi ha dato tanta soddisfazione quando le ho preparate la prima volta.
Di solito vado molto di fantasia e di memoria ma quella volta ho studiato il da farsi, ho pianificato tempi e modi e sono partita alle 7 del mattino.
Per la preparazione delle graffe napoletane lesso, sbuccio e passo le patate ben calde in modo che diventino un purè. Sciolgo il lievito di birra in un po’ di latte tiepido, in modo che diventi cremoso. Dispongo la farina a fontana in mezzo al tagliere e aggiungo il lievito, le patate, un uovo, un cucchiaino di buccia di limone grattugiata, una presa di sale, 2 cucchiai di Doremi, un olio extravergine delicato e fragrante adattissimo anche per i dolci , poi impasto per una decina di minuti, per ottenere un composto morbido ma non troppo. Se serve, aggiungo ancora qualche goccia di latte tiepido. Spruzzo il piano da lavoro di farina, poi divido la pasta in rotolini dello spessore di un dito mignolo e della lunghezza di dieci centimetri, da chiudere a ciambellina. Metto le ciambelline su un canovaccio da cucina abbondantemente infarinato e appoggiato su un vassoio. Quando il canovaccio è pieno, lo copro con un altro canovaccio, distanziato dal primo con delle tazzine da caffè rovesciate, in modo che la stoffa non tocchi le graffe. Copro bene il tutto con un panno di lana e lascio crescere per circa un’ora. Preparo una padella ben colma di Doremi che mentre si riscalda emana un buonissimo profumo e quando l’olio è ben caldo abbasso la fiamma e friggo le graffe napoletane, poche alla volta, in modo da poterle continuamente girare, e le tolgo appena dorate.
Le faccio sgocciolare bene prima di deporle, ancora calde, su un vassoio pieno di zucchero. Le lascio inzuccherare ben bene e le porto in tavola. Anche fredde sono squisite.
Ho capito però che se vengono buone bisogna farne tante perché una…tira l’altra!
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