Debout sur la cime du monde, nous lançons encore une fois le défi insolent aux étoiles.
Dopo alcune anticipazioni su testate minori italiane, il 20 febbraio del 1909 dalla prima pagina de Le Figarò, Filippo Tommaso Marinetti annuncia al mondo il Manifesto del Futurismo; la modernità trova visione, slancio, ebbrezza, lirica e contraddizioni vitali.
Ritti sulla cima del mondo, lanciamo una volta ancora la nostra sfida (insolente) alle stelle.
Con una frase che per potenza e suggestione richiama il quindi uscimmo a riveder le stelle di Dante che torna a intravedere la speranza dopo aver attraversato l’Inferno, Marinetti suggella il Manifesto e apre una stagione di contaminazione artistica e culturale che si spiega nell’aggettivo singolarmente omesso dalle traduzioni italiane: insolent, insolente, ovvero oltre ogni regola conveniente, definizione che forse come nessun altra definisce al meglio la sfida e lo spirito futurista.
Nel Futurismo si riconoscono e trovano tensione ideale, slancio e ispirazione una moltitudine di personaggi straordinari, figli del loro tempo, eclettici, estroversi, originali, sfidanti le regole, destinati a essere avanguardia di tracce indelebili regalate al tempo e che ben presto sovvertono canoni e metriche creative.
Nel panorama futurista Fortunato Depero, allievo di Giacomo Balla, scultore, designer e pittore che già nella metà degli anni dieci – ben prima della pubblicazione del Manifesto dell’Aeropittura che lui stesso firmerà nel 1931 – si era espresso in versione aeropittorica, è fatalmente attratto dalla declinazione in oggetti funzionali e in chiave pubblicitaria dei nuovi linguaggi estetici del dinamismo, della velocità, del tratto fuggente, del cromatismo e della prospettiva dall’alto.
Un’attrazione fatale che, sempre nel 1931, porta Depero a pubblicare il manifesto Il Futurismo e l’Arte Pubblicitaria che apre affermando senza possibilità di equivoci che l’arte dell’avvenire sarà potentemente pubblicitaria.., dichiarando tra l’altro che…lo splendore nostro, le glorie nostre, gli uomini nostri, i prodotti nostri, hanno bisogno di un’arte nuova altrettanto splendente, altrettanto meccanica e veloce, esaltatrice della dinamica, della pratica, della luce, delle materie nostre- e che conclude profeticamente dicendo che …benché io mi sia dedicato all’arte pubblicitaria con tempo molto limitato, constato e non esito a dichiarare di aver fatto molta scuola, ma aggiungo anche che in questo campo avrò ancora molto da dire-.
Non è un caso che Il Futurismo e l’Arte Pubblicitaria venga pubblicato nel libro pubblicitario Numero Unico Futurista Campari.
Ci sono uomini e storie, infatti, che sono destinati a incontrarsi e a poco vale chiedersene il motivo o ricostruire coincidenze fatali; le cose accadono e si conquistano istanti di eternità, tanto basti.
Davide Campari è un innovatore; avanti rispetto al suo tempo per sensibilità e cultura, nel 1882 prende la guida dell’azienda fondata dal padre nel 1860, lancia prodotti, esplora mercati ma, soprattutto, ha il coraggio di guardare dritto al mondo che cambia e capisce il valore della comunicazione come avanguardia culturale del prodotto.
Davide chiama intorno a sé artisti a tutto tondo come Marcello Dudovich, Leonardo Cappiello, Aleardo Villa, Marcello Nizzoli e li lascia espandere la loro creatività per pubblicizzare i prodotti Campari che, grazie anche a questi straordinari apporti, non solo si affermano commercialmente, ma diventano iconici di uno stile di vita che dai caffè letterari passa indenne per la café-society e arriva sino ai giorni nostri.
Tra di loro, c’è anche Fortunato Depero ed è lui che ci porta dritti alla nostra storia.
La collaborazione tra Depero e Campari, avviata già nel 1924, è prolifica e dirompente, occupa tutti gli ambiti pubblicitari, dai poster esuberanti di cromatismo e rivoluzionari nel canone che predilige l’orizzontale al consueto verticale sino ad arredi e oggetti.
È in questa sfida insolente a forme, colori e proporzioni che l’imprevedibile accade nel 1932, quando Depero disegna, o meglio crea e amalgama in una sorta di mixology fuori campo, quell’insieme di stilemi grafici ed estetici che sanciscono il successo del Campari Soda, innovativo aperitivo monodose già miscelato, e della sua altrettanto innovativa e inconfondibile bottiglietta a cono rovesciato e lettere impresse, che nella trasparenza del vetro smerigliato fa emergere il rosso come vero tratto di una corporate identity di cui Campari non farà più a meno e che ancora oggi riconosciamo nel quotidiano.
L’impronta alla modernità voluta da Davide, tradotta in suggestioni pubblicitarie dagli artisti che se ne sono fatti intrepreti, diventa il carattere identitario di Campari e un sottile fil rouge ci porta dalle visioni del volo futurista di Depero fino agli anni cinquanta e sessanta, quando il mondo, con altrettanto stupore con cui a inizio secolo guardava alla velocità e alle prime macchine volanti, alza gli occhi alle stelle della sfida marinettiana e le scopre più vicine.
Il 4 ottobre 1957 il mondo cambia prospettiva, l’equilibrio atomico che regolava i rapporti tra Stati Uniti e URSS trova una variabile indipendente: lo Spazio.
Pionieri negli studi di astronautica con il progetto di un’astronave a idrogeno e ossigeno liquidi elaborato nel 1927 dall’ingegner Ziolkowski, implementate ulteriori conoscenze dai tecnici tedeschi “acquisiti” dopo la Seconda Guerra Mondiale, indietro nelle declinazioni di armi nucleari e nella capacità di farle arrivare sul suolo americano, nel 1957 i russi mandano in orbita lo Sputnik, conquistano lo Spazio e gettano nel panico gli Stati Uniti.
Un momento epocale di cui Campari coglie il segno e che l’illustratore parmigiano Nino Nanni traduce nella bella immagine che vede lo Sputnik e il Bitter Campari in orbita intorno alla Terra, quest’ultimo pronto a conquistare gli astri quanto il primo ed esteticamente prevalente rispetto allo stesso Sputnik, visto il posizionamento della bottiglia nella parte superiore che più che inseguire la sonda russa restituisce l’idea di esserne inseguita.
Lo Sputnik è ancora in orbita, ci rimarrà tre mesi, il mondo non si è ancora ripreso dallo stupore quando dopo appena un mese dal lancio del satellite, il 3 novembre, in tempo utile per celebrare i quaranta anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, l’URSS ne manda in orbita un altro: lo Sputnik II.
Questa volta c’è qualcosa di più, però, e allo stupore il mondo accompagna una commozione corale.
A bordo della navicella c’è il primo essere vivente lanciato nello Spazio; Laika è una cagnetta, non è previsto che rientri sulla Terra, lo Sputnik II non ha scudo termico, ha viveri e ossigeno per una settimana, ma sembra che non sia sopravvissuta che poche ore, probabilmente uccisa dagli sbalzi termici molto prima di essere incenerita insieme alla sua capsula al rientro nell’atmosfera terrestre.
La scienza non ne guadagna molto, ma l’immagine dell’URSS come prima potenza spaziale fa una fuga in avanti e può tranquillamente ignorare le proteste che la morte di Laika solleva in tutto il mondo.
In un clima che vede stupore e paura giocare spesso sugli stessi registri emotivi, arriva il Natale e appena dopo la pubblicità di Nino Nanni, Campari cavalca ancora il tema spaziale e forse stemperando gli animi, ma sicuramente precorrendo la scienza, adotta lo stilema della passeggiata spaziale, che sino ad allora non aveva ancora varcato il perimetro della fantascienza, e ci presenta un gioioso Babbo Natale in versione astronauta a spasso nello Spazio.
La corsa allo Spazio è iniziata e nei suoi primi anni la supremazia sovietica è netta e inequivocabile; del primo satellite e del primo essere vivente in orbita abbiamo già detto, ma saranno sempre i russi con il Lunik II a a colpire per primi la superficie della Luna nel 1959, russo è nel 1961 il primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin, così come russa è nel 1962 la prima donna, Valentina Tereskova, e ancora sono i russi nel 1964 a mandare in orbita la navicella Voskod I con il primo equipaggio spaziale con tre uomini, e russi i primi nel 1965 a far uscire dalla navicella l’astronauta Alexei Leonov per una passeggiata spaziale.
Gli americani sono in affanno, inseguono, ma l’american way of life è fatta di sogni e loro sono bravi a costruirli.
Il 12 settembre 1962 John Fitzgerald Kennedy, davanti alle 35.000 persone che allo stadio della Rice University lo acclamano come se fosse un giovane dio, annuncia il sogno che porterà l’America fuori dalla paura: “Abbiamo deciso di andare sulla Luna”.
Sono anni difficili per Kennedy, il fallimento dello sbarco alla Baia dei Porci per rovesciare il regime cubano di Fidel Castro è uno smacco che brucia ancora, il sud-est asiatico è in piena escalation militare e l’engagement militare americano è sempre più importante; i sogni servono anche a scacciare gli incubi, o quanto meno a non pensarci troppo.
La corsa alla Luna è partita e un primo importante risultato spaziale gli americani lo ottengono nel 1965 quando le due navicelle Gemini 6 e Gemini 7 fanno il primo rendev-vous nello Spazio avvicinandosi l’una all’altra fino a una distanza di pochi metri ad una velocità di circa 28.000 chilometri orari, missione completata il 16 marzo del 1966 quando il razzo Agena viene agganciato nello Spazio dalla navicella Gemini 8.
Fortunato Depero è morto pochi anni prima, nel 1960, e non ha potuto vedere in volo quella navicella così somigliante al suo sogno di aeropittore e alla bottiglietta di Campari Soda che aveva creato.
La coincidenza, però, non può sfuggire a Campari ed ecco che l’appuntamento viene celebrato con la pubblicità del 1966 che ritrae l’incontro tra un’astronave madre, la bottiglia di Bitter Campari a rappresentare il razzo Agena, con una navicella, la bottiglietta di Campari Soda a rappresentare la Gemini 8, a bordo della quale, insieme a David Scott, c’è Neil Armstrong; mancano ancora tre anni, ma la storia dello Spazio avrà il suo nome.
La Luna è il sogno che la notte del 21 luglio terrà gli italiani incollati alle televisioni in bianco e nero e a pendere dalle voci di Ruggero Orlando e Tito Stagno per aspettare l’uscita dall’Apollo 11, allunata da poche ore, del primo uomo che camminerà sulla Luna, Neil Armstrong appunto.
L’appuntamento era atteso, di questa attesa Campari fa patrimonio e continua a cavalcare l’onda della pubblicità a tema spaziale con una fortunata serie di immagini firmate dal milanese Franz Marangolo di cui ne mostriamo due, sempre del 1966, che lanciano il claim “Sulla Luna sì, ma con Campari Soda”
Nella prima immagine, stilisticamente pulita e leggera, troviamo due bottigliette di Campari Soda e due astronauti, uomo e donna, che viaggiano nello Spazio e che sembrano avere l’andamento fluttuante tipico dell’assenza di gravità, sono confidenti l’uno con l’altra, la donna leggermente in secondo piano rispetto all’uomo sembra affidarsi a lui ma, al tempo stesso, è pronta a sostenerlo. Un’immagine rassicurante, quasi familiare nell’idea di coppia che propone, che non ricorre al cliché seduttivo e che nei confronti dell’avventura oltre il limite estremo crea la stessa consuetudine del bere un aperitivo, Campari Soda naturalmente.
Nella seconda, invece, la bottiglietta di Campari Soda è stilizzata nella forma della navicella rossa incastonata sulla punta del razzo vettore e il cliché seduttivo ha la figura della stilosissima astronauta pronta la cui figura riflette perfettamente i nuovi canoni estetici che hanno mandato in pensione le forme della bellezza italiana maggiorata per affermare un tipo di donna moderna, agile e scattante alla Twiggy –grissino-, il nome con il quale è universalmente nota la modella inglese Leslie Hornby, icona di Mary Quant e della sua minigonna.
Non solo la nostra astronauta riflette il nuovo incipit della bellezza femminile che esalta la magrezza, ma veste anche uno stile che ha visto all’opera maestri come André Courreges, Pierre Cardin, Paco Rabanne e, tra gli italiani, le Sorelle Fontana, Emilio Pucci e Giancarlo Zannata con i suoi Moon Boot.
Nello straordinario e probabilmente irripetibile mood creativo che ha contraddistinto la Space Age investendo tutti i campi della creatività, dal design alla moda, dal cinema alla letteratura e all’arte, il tema dello Spazio pervade ovviamente anche la pubblicità che, da par suo, alimenta suggestioni, forma l’immaginario e spesso precorre il futuro.
Un futuro e una corsa alla Spazio che per Campari sono iniziati con il sogno di Fortunato Depero, futurista che voleva sfidare le stelle, capace ai sogni di dare forma e colore e di vedere prima di altri un’astronave in una bottiglietta di aperitivo miscelato monodose.
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