E’ giunto in edicola il terzo numero del terzo anno di vita di un inserto del Corriere della Sera dedicato al mondo della cucina comprendente cuochi, ricette, ambiente, cultura gastronomica, strumenti per cucinare, arredo, storia dell’alimentazione, nutrizione e altro ancora, in totale 100 pagine!
Un’edizione straordinaria per la qualità dell’impaginazione e delle immagini. Il giornale è ideale per soddisfare curiosità e richiesta di approfondimento dei cuochi perché le ricette proposte sono adatte per una persona competente anzi molto competente, come potrebbe essere un cuoco Tre Stelle. Data la diffusione dei programmi gastronomici, la nascita di Slow Food e delle Università di Scienze Gastronomiche per merito del Prof. Petrini , l’arrivo alla ribalta di cuochi che hanno fatto fortuna con la pubblicità, mi sembra giusto che venga redatto e diffuso su tutto il territorio nazionale un giornale specializzato e specialistico col quale io mi trovo a disagio come avendo nella mani un giornale di astrofisica.
In seconda pagina viene proposta la seguente ricetta: Agnello fuori di testa! Questo è il nome del piatto. Fra gli ingredienti leggo: Uno spiedo d’agnello, un cucchiaio di erbe aromatiche q.b., “fondo di agnello” e ancora q.b., “brodo di pecora” Ma come si fa a calcolare quanto basta del fondo di agnello che non so cosa sia?
Passiamo alla preparazione: Si tratta di selezionare una testa di agnello cioè sceglierla, immagino.
“Cuocetela sotto vuoto a 65°C per otto ore.” Io ho molti amici benestanti che non mi hanno mai parlato di poter cuocere sotto vuoto ad una temperatura fissa per 8 ore. Vorrei conoscere questo cuoco o cuoca che può passare otto ore in cucina per passare poi la busta in acqua e ghiaccio. Successivamente si deve estrarre dall’agnello occhio, lingua e cervello per passare il resto sui carboni ardenti – proprio così –ardenti.
“Versate poi 200 grammi di olio in un barattolo pacojet con 20 grammi di alloro arrostito e congelate.” Capito?
Non è finito perché dovete avere l’olio di timut al quale aggiungere 5 gocce di acidulato di umebosciche non so chi lo vende. Vi risparmio il resto per non avere problemi digestivi.
Il secondo esempio è altrettanto interessante si tratta di ”rombo con salsa di riso, sakè e foglie di shiso rosso”.
Ingredienti: per il consommé l lt di dashi,, che il cuoco si è affrettato a dirci che è un brodo di pesce. Poi 200 grammi di lische di pesce.
Non riesco ad immaginare quanti pesci ci vogliono per fare 200 grammi di lische. Mentre per la salsa di riso bisogna mettere insieme 50 grammi di riso giapponese da sushi, mezzo kg di burro e mezzo litro di consommé. Quando le lische saranno arrostite vanno versate nel dashi bollente sic! e lasciarle riposare per 30 minuti perchè saranno stanche. Da ultimo FILTRARE E CONSERVARE IN FRIGORIFERO. Meno male.
Per fortuna c’è a Roma un negozio che vende tutti prodotti alimentari giapponesi e sudcoreani. Il cuoco, autore della ricetta vive a Mentone per dirvi che non è necessario andare in Giappone perché a Roma all’imbocco di Via Cavour c’è un negozio che vende alimentari coreani e giapponesi.
Il Timut è un pepe del Nepal, mentre l’Umeboshi è un’albicocca giapponese che fornisce un sapore gradevole alla carne.
Tutto questo è divertente ma a pag 4 di COOKIS diventa un giornale molto serio ed interessante perché ho potuto leggere un articolo colto di Elisabetta Moro col titolo: Chi ha paura di un granello di sale? Quando ho finito di leggerlo ho cercato di sapere chi fosse questa signora bravissima ed ho scoperto che detiene la Cattedra di antropologia culturale a Milano. Mbe volevo dire.
Cosa ha scritto la Professoressa? Prima di tutto ha ricordato la famosa “marcia di Gandhi in India. Partito con 70 seguaci ha percorso 320 km a piedi per raggiungere, seguito da un milione di indiani, le saline, a quel tempo prepotente monopolio degli Inglesi, per raccogliere un pugno di sale nelle sue piccole mani e rivendicare che le risorse del paese erano di proprietà degli Indiani. Oggi il sale è una voce fondamentale dell’export con i suoi preziosissimi cristalli del lago salato di Sambhar nel Rajastan.
Da qualche anno spopola il sale Rosa dell’Yimalaya estratto dalla miniera di Khewra in Pakistan. Dal subcontinente arriva anche il “sale nero” che ha lo stesso gusto dell’uovo sodo chiamato anche “sale vegano” perché libera dai sensi di colpa nei confronti delle galline.
La Moro ha raccontato anche che nel Cinquecento l’Inquisizione considerava la cucina insipida un sicuro indizio di stregoneria e che le streghe erano ritenute intolleranti al sale. Così Gesù sorprese gli apostoli quando rivolgendosi a loro disse: “Voi siete il sale della terra”.
Valore religioso ma anche economico del sale tanto che lo stipendio si chiama salario dato che molti secoli fa veniva concessa a militari e magistrati una indennità per l’acquisto del sale. Non ha menzionato la Via Salaria! Oggi stiamo mitigando l’ossessione salutista contro il sale cucinando “cum grano salis”.
Sono contento di aver trasmesso ai miei amici che leggeranno questo articolo il sapere della Professoressa Moro. Nella mia ricca biblioteca c’è pure un bel libro scritto da Pierre Laszlo, chimico di fama internazionale con un grande talento divulgativo, dal titolo “Storia del sale” (Donzelli Ed 1998) che ho anche letto, a suo tempo, senza ricordare alcunché. Tuttavia avendo sottolineato alcune righe che mi avevano colpito posso condividere con voi il piacere di alcune osservazioni interessanti che riporto integralmente:
pag 83 “la culturizzazione è sovente una violenza fredda, che precede la violenza calda della cucina: i polpi che vengono “battuti” per renderli teneri, la pasta passata al rullo, gli ingredienti polverizzati in un mortaio, la panna che viene montata o le uova che vengono sbattute. Inoltre lo stesso verbo cucinare applicato ad una persona ha anche un secondo significato quello di sottoporla ad un tipo di interrogatorio caratterizzato dal ricorso alla tortura per farle confessare il suo delitto.
Si fa da mangiare, e il verbo fare ha in questo caso il senso forte, oggettivo,
dell’induzione di un processo psichico e chimico spesso molto complesso ma talvolta razionalizzabile e il senso soggettivo di un’azione volontaria o di una procedura intenzionalmente perseguita. A tal proposito la sintassi delle ricette è rivelatrice: far rinvenire, far bollire, far spurgare, far marinare, far macerare……”.
Nessun accenno si fa invece giustamente alla Via Salaria che non è affatto la via del sale ma etimologicamente derivante dalla parole latine als-alos che in tutte e due i casi stanno per indicare il mare. Infatti la Salaria è una strada consolare che collega il mar Tirreno con l’Adriatico.
Mi hanno sorpreso due proverbi; “Porta il sale quando l’uovo è stato mangiato” e l’altro “Un uovo senza il sale non fa ne bene ne male” Il primo è un proverbio olandese che impone d’intervenire al momento giusto mentre il secondo, francese, suggerisce che senza un pizzico di sale cioè senza emozione la vita non sa di nulla. Se esistesse ancora il Redar |Digest potrei propormi come redattore.
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