Il Cibo Immaginario

Di fumetteria e di altre storie…

A guardare indietro il novecento è stato un secolo straordinario.

A guardare bene, di questo secolo straordinario, il fumetto è stato un linguaggio originale capace di trasformarsi più volte e di passare sostanzialmente indenne al secolo nuovo, che non abbiamo ancora capito come sarà, ma che certo in qualche preoccupazione in più del dovuto ci stringe.

Figlio del novecento, il fumetto quindi, ma con una genìa che affonda le radici nella storia più antica dell’uomo e nella sua esigenza profonda di raccontare quello che vedeva e di lasciarne traccia al futuro.

Prima del racconto a parole, prima di ogni alfabeto, sono state le immagini a disegnare la memoria, e chissà cosa devono aver pensato quegli artisti che non sapevano di esserlo, o forse non lo sappiamo noi che li abbiamo chiamati primitivi come se all’inizio non vi fosse luce, quando dipingevano nelle caverne di Lascaux o nelle grotte di Altamira o sulle rocce della Lunigiana, chissà se li ha mai sfiorati il pensiero dell’emozione che avrebbe colto lo sguardo di un futuro distante decine di migliaia di anni. 

E chissà se sia stato proprio Traiano a dettare il racconto della sua campagna di Dacia tradotto nei 200 metri di rilievi che si avvolgono a spirale sulla sua colonna coclide che ancora svetta nel cuore di Roma, una grande storia spesso richiamata come antesignana del fumetto moderno.

Esempi ne avremmo molti altri ancora, ma per prendere una posizione definitiva e dare la linea, adottiamo da subito la definizione data da Hugo Pratt, che capisce di fumetto, di mistero, di avventura e soprattutto di vita, e che lo intende come letteratura disegnata.

Hugo Pratt è andato avanti nel 1995, ma parlarne al passato è impossibile per chiunque almeno una volta abbia invidiato Corto Maltese per essersi inciso da solo la linea della fortuna sulla mano.

Letteratura disegnata, quindi, con l’irrazionale dono di essere linguaggio della realtà e al tempo stesso linguaggio dell’immaginario, ed è probabilmente in questa commistione difficile a distinguersi, e che rifugge a catalogazioni rigide e ortodosse, che si annida il successo del fumetto come linguaggio e come medium, contro il quale nulla hanno potuto le crociate di purismo letterario, sociale e politico, che nell’Italia degli anni cinquanta lo consideravano alla stregua di un fattore inquinante della cultura, della conoscenza e delle coscienze.

Esemplare e singolare nella sua dissociazione, è ad esempio la posizione del mondo cattolico che, se da un lato con l’Osservatore Romano nel 1951 si proclamava fautore della censura preventiva – quasi irridendo chi si appellava al dettato costituzionale della libertà di stampa perché, così facendo, “…si innalza a dignità di ‘stampa’ a quella del ‘giornalismo’ il ‘fumetto’: un maligno mostricciattolo, una deturpatrice caricatura dell’arte figurativa e di quella letteraria insieme”-, dall’altro con case editrici cattoliche, l’A.V.E. ad esempio, in quegli anni, del fumetto era tra i più importanti protagonisti editoriali di riferimento.

E non potendo certo essere da meno sul terreno delle battaglie di retroguardia, anche nell’allora partito comunista ritroviamo posizioni divergenti, da quella di Nilde Jotti – che nel 1951 accusava i fumetti di essere un frutto degenerato del capitalismo americano, di portare i giovani alla violenza e di sviarli dalle sane letture dei classici della letteratura – , a quella di Gianni Rodari, intellettuale organico e ingaggiato, che pur considerandoli portatori di violenza e sciocca distrazione, li vedeva però come una nuova cultura impregnata di fratellanza e pace, giudizio almeno aderente con l’ambizione pedagogica e educatrice delle masse di cui il brodo culturale comunista ha sempre avuto il sapore.

Tra le tali e tante suggestioni della letteratura disegnata, l’incontro con il rito profondo del mangiare non poteva essere che naturale, eversivo a volte, caratterizzante sempre.

Di letteratura disegnata è stato maestro Antonio Rubino, del quale ogni definizione può andare stretta rispetto alla sua ecletticità culturale e creativa, e che qui portiamo ad esempio nella sua veste di illustratore, in particolare di illustratore per La Tradotta, giornale di trincea della Terza Armata, protagonista sul Carso delle dodici battaglie dell’Isonzo, mai sconfitta e solo costretta alla ritirata a Caporetto per attestarsi sulla linea del Piave ed essere poi decisiva nella battaglia di Vittorio Veneto. 

Ebbene de La Tradotta,  “…giornale d’indole gaia da diffondere largamente tra i soldati” nelle intenzioni del Capo Ufficio Informazioni della terza Armata che lo aveva voluto come diversivo per astrarre i fanti dal fango, dal sangue e dall’acciaio, il sottotenente Antonio Rubino sarà uno dei principali collaboratori e forse, con le sue illustrazioni surreali dove un tratto liberty si fonde con uno sguardo onirico, quello che ne lascerà l’impronta più importante e duratura.

1918 – La Tradotta – Rubino

Considerando che nel 1911 i maschi analfabeti italiani erano il 42,80% e che nel 1918 la situazione probabilmente non era di lunga migliore, si capisce che le immagini di Rubino avevano il potere di parlare a tutti.

Alla sensibilità di Antonio Rubino non poteva sfuggire quanto il mangiare fosse importante nella vita di guerra e quanto forte e unificante fosse la liturgia che il rancio si portava dietro, e così, da par suo, per versi e per immagini, ne rende una descrizione straordinaria nella tavola Tutti in pentola animata dal surrealismo di fagioli trombettieri, cipollotte danzatrici, pomodori felici di dare colore a spaghetti trasognati, forme di formaggio pronte ad autograttugiarsi e spighe di grano con falcetto d’ordinanza.

Un’impronta nella quale non si possono non scorgere le suggestioni che qualche decennio più tardi saranno protagoniste dell’universo immaginario di Benito Jacovitti, di cui la tavola illustrata per il concorso a premi della Nestlè nel 1957 è solo un esempio. 

Ovviamente, immagini e storie di cibo e di mangiare popolano tutta la narrazione per immagini, ma quello che rileva alla nostra di narrazione sono i personaggi che ne diventano caratterizzati e simbolici.

Tra loro, nel biennio 1940-1942, Ugo De Vargas y Manchuca – abruzzese nonostante il nome – dal Corriere dei Piccoli ci restituisce l’immaginifico Barone Pappafico, ibrido estetico tra Don Chisciotte e Sancho Panza, le cui surreali avventure finiscono puntualmente con il fargli mettere le mani su un tesoretto alimentare che, in tempo di guerra, di tessere annonarie e razioni, stimolava nei bambini fantasie golose e appetiti inevasi.

1941 – Corriere dei piccoli- Barone Pappafico

Nel frattempo su Cine-Comico, siamo nel 1935, aveva esordito in Italia il marinaio più rissoso e scorretto della storia, Popeye, per noi Braccio di Ferro, inventato nel 1929 da Elzie Crisler Segar, e la cui fortuna e abilità viene dal mangiare spinaci. Personaggio destinato a non uscire più dalla cultura pop, Braccio di Ferro è spesso accompagnato nelle sue storie un altro soggetto poco raccomandabile, Poldo Sbaffini, nella versione originale J. Wellington Wimpy.

1975 – Braccio di ferro

Poldo, più che un comprimario, è una rappresentazione sociale americana a tutto tondo; esordisce nel 1931 ed è figlio della crisi del 1929, disoccupato, di cultura vasta che ne fa immaginare un trascorso da benestante finito in disgrazia, è indolente, furbo, vive una vita sostanzialmente a scrocco ma, soprattutto è un infinito mangiatore di hamburger.  Il tratto americano è tutto lì ed è talmente profondo che Chester, la città dell’Illinois nativa di Segar, ha disseminato i suoi parchi di statue dedicate ai protagonisti del fumetto e, in tempi di furia statuo fobica, forse anche quella dell’irriverente, irascibile e scorrettissimo Braccio di Ferro qualche cosa se la rischia.

Popeye e Poldo – Statue – Chester- Illinois

Rimanendo sullo scorretto di cui la letteratura disegnata è ontologicamente permeata, facciamo un’incursione nel proletariato urbano al quale Reg Smythe ha dato etica ed estetica con Andy Capp, rissoso, mai senza birra, non proprio un gentiluomo con la moglie Flo di cui vive alle spalle, con la quale si azzuffa quasi quotidianamente e di cui è gelosissimo senza tralasciare di indugiare sguardo e desideri su cameriere di pub e vicine di casa. 

ANDY CAPP 1976

Comparso per la prima volta nel 1958 come striscia sul Daily MirrorAndy Capp arriva in Italia nel 1960 sulle pagine di quel fenomeno editoriale di costume che è La Settimana Enigmistica e dove, ribattezzato nella rubrica Le avventure di Carlo e Alice, rimarrà fino al 2008.

Personaggio singolare il nostro Andy Capp, distante anni luce da tutto il considerato culturalmente ammissibile, vivrà una vita di grande successo editoriale, ha ispirato adattamenti teatrali, cinematografici e televisivi, e a sua memoria Hartlepool, cittadina natale di Reg Smithe, ha dedicato una statua. 

Scorretta, ovviamente, ma speriamo che nessuno se ne accorga.

Sul fronte della scorrettezza non possiamo dimenticare un personaggio creato dai vulcanici e loro per primi irriverenti Max Bunker, al secolo Luciano Sechi, maestro dell’immaginario pop italiano, e Magnus, al secolo Roberto Raviola, artista del fumetto che con Max Bunker ha avuto un sodalizio culturale di vastissimo respiro e durata.

Ebbene, a loro dobbiamo anche Alan Ford, personaggio di sarcasmo parodistisco che si affaccia sulla scena italiana nel 1969, quando tutto sembrava dovesse cambiare, e anche velocemente.

1971 – ALAN FORD 1971

Alan Ford e il suo sgangherato Gruppo T.N.T., barbe finte sempre alle prese con il quotidiano di cui sottolineano tratti sociali e culturali di grande attualità, se la devono vedere con un altro sgangheratissimo personaggio, supereroe “negativo” con calzamaglia e mantello con tanto di fiasco come simbolo.

Superciuk compare per la prima volta nel numero 26 di Alan Ford, nel 1971, è ovviamente dedito al bere come una sorta di religione privata, nella vita normale è uno spazzino e la sua originale filosofia lo porta a frasi difensore dei ricchi contro i poveri. 

1971 – Superciuk

Qualche numero dopo, nel 28, a un attonito Alan Ford che gli chiede spiegazione del motivo per il quale uno spazzino, quindi povero come lui e tanti altri, dovesse farsi difensore dei ricchi, la risposta di Superciuk è da manuale, degna di essere studiata al primo anno di corso di laurea in filosofia o di scienze della comunicazione.

Disarmante e dissacrante, Superciuk risponde  che “…sono i proletari, i cenciosi che insozzano le strade! Appena finito di pulirle, loro gettano cartacce in terra, ed io a sgobbare ancora, ripulire, poi ancora ripulire.

Per inquadrare il momento storico, quelli tra le tante cose sono gli anni delle contestazioni con uova e lacrimogeni alle prime de La Scala di Milano.

Il racconto della cronaca e della storia, così come quello della libertà delle idee, trova spesso rivoli inaspettati e, da questo punto di vista la letteratura disegnata offre riflessioni di ampia portata.

Quella del rapporto tra cibo e letteratura disegnata è una storia lunga che ci farà compagnia per un po’.

Per ora ci fermiamo qui, con questa prima carrellata di personaggi amari, scorretti, irrispettosi, eppure di profondità inaspettate per chi ha la ventura non fermarsi alle apparenze.

Tornate da queste parti, perché degli altri, dei buoni, ma anche delle loro contraddizioni, parleremo la prossima settimana.

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Marco Panella

Nato a Roma nel 1963, laureato in Scienze Politiche con indirizzo internazionale, si occupa di comunicazione dal 1989 come imprenditore e consulente di aziende ed enti pubblici. Curatore di mostre e festival culturali, esperto di storia del costume italiano ed heritage communication, coniuga all’attività professionale interessi personali che spaziano dalla geopolitica all’etica dell’innovazione. Ha esordito nella narrativa con il romanzo nero Tutto in una notte, edito a settembre 2019 da Robin Edizioni.

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