Recentemente si è tenuta in Cilento un seminario sulla dieta mediterranea. Abbiamo rivolto qualche domanda al nostro collaboratore Aldo di Russo, uno dei relatori invitati ad intervenire.
L’osservazione da cui è necessario partire riguarda il percorso che ha compiuto la dieta mediterranea affinché fosse inserita tra il patrimonio immateriale dell’umanità, certificazione che non dobbiamo leggere come un bollino prestigioso da inserire sulla carta intestata, un distintivo da portare perché si appartiene ad un club esclusivo. Ho letto attentamente il disciplinare con il quale Unesco ha approvato la domanda, ma confesso che ho imparato molto di più dalla lettura del disciplinare con il quale Unesco aveva respinto la domanda nel 2008, evidenziando come i valori antropologici e le funzioni culturali della dieta mediterranea non fossero del tutto evidenti.
C’era di che mangiare, ma non di che nutrire i comportamenti dell’uomo per sostenere quei valori etici che, a loro volta, nutrono la civiltà come il cibo nutre i nostri corpi, prevengono gli eccessi di violenza e intolleranza, deviazione dei nostri tempi, così come il cibo contribuisce al funzionamento del sistema cardiovascolare. Insomma, era troppo poco immateriale. Si trattava di una dieta ed aveva perso il suo significato etimologico intorno al quale dobbiamo discutere e riflettere: δίαιτα, stile di vita.
Alcuni ingredienti della Dieta Mediterranea
Infatti dobbiamo capire ed essere consapevoli che, per la prima volta, viene associato un regime alimentare ad una cultura. Quello che è avvenuto, che è stato certificato, e che è di interesse per l’umanità intera sono le ragioni di quello stile di vita affinchè vengano preservate, valorizzare, condivise e conseguentemente adottate. Nel frattempo la scienza ha dimostrato che la dieta mediterranea dal punto di vista alimentare è salutare, ma questa è un’altra storia. Attenzione. Non si tratta di preservare lo stile di vita, ma le ragioni che lo hanno determinato e protetto per un così grande lasso di tempo.
Sono ragioni complesse che certamente dipendono dal clima e dalla storia delle coltivazioni che l’uomo ha imparato a fare, ma è storia di migrazioni e storia di culture che si consolidano è storia di tradizioni orali.
La dieta mediterranea è un grande affresco di gesti che sono di mutuo riconoscimento e rispetto, di ospitalità, di vicinanza, di convivialità, di trasmissione intergenerazionale e di dialogo interculturale di rapporti tra popoli, rapporti simbolici ed etici che hanno prodotto oggetti concreti: architetture per stare insieme, mangiare insieme. La parola chiave non è mangiare, ma insieme. E non solo idee astratte fine a se stesse, hanno prodotto architetture conseguenti: Agorà, Foro, luoghi costruiti per il pubblico esercizio che non esistevano prima perché non esisteva la necessità di un pubblico esercizio.
Gli architetti hanno dato un corpo ad una necessità. Hanno prodotto paesaggi progettati a viti, a olivi, a grano che hanno scolpito e dato la forma alla nostra terra. Noi diciamo “che bello” Quando passiamo in macchina di fronte ai terrazzamenti a limoni della costiera, ma poi diciamo “che buono” quando ci sediamo a tavola a mangiare i prodotti di quello stesso progetto dell’uomo, dimenticando che bello e buono in Greco avevo lo stesso aggettivo, dimenticando che in latino il verbo da cui deriva la parola cultura significa coltivare la terra.
La dieta mediterranea è la grande narrazione della civiltà in cui viviamo veicolata nei millenni da storie piccole e grandi che hanno identificato i popoli con gli eroi forgiando identità, carattere e solidificando le tradizioni che oggi celebriamo.
Ma attenzione alle celebrazioni. La cultura non è un fantasma che si possa evocare, si produce. Solo producendola, solo articolando con i linguaggi oggi in uso le forme di una emozione che diventi esperienza cognitiva si ricostruisce il vettore di quelle ragioni che hanno scatenato lo stile di vita che a noi interessa. Occorre raccontare per ridare senso e significato a quelle ragioni per “svelare” ciò che si nasconde. Questa è la sfida, prima di tutto produrre una nuova cultura della progettazione culturale.
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