E vai ecco il carnevale, ed ecco i dolci di carnevale! Dieta o non dieta, oggi è giovedì grasso. E in onore al suo nome…si ingrassa! Fritti, al forno, colorati, voluttuosi, conosciuti o rari, i dolci di Carnevale sono quanto di più godurioso la tipicità culinaria italiana ci regala. Ogni regione ha il suo; ogni paese ne rivisita essenza e caratteristiche. Ma il fil rouge è solo uno: fanno allegria! Sarà la dose consistente di zuccheri che agisce a livello di amigdala e di endorfine, sarà che difficilmente si ripetono in altri periodi dell’anno, ma i dolci di Carnevale sono di per sé uno scherzo a tutti i buoni propositi che accompagnano ogni primo Gennaio.
Ma d’altronde le tradizioni sono tradizioni, e anche in periodi di abbondanza si devono rispettare. Il termine Carnevale deriva dal latino carnem levare (o vale), ossia eliminare la carne, ad indicare il lungo periodo di Quaresima di strettissimo magro che si sarebbe profilato dopo il banchetto luculliano del Martedì grasso. Origini antichissime per questa festa libertaria, fondata sul rovesciamento dell’ordine costituito: già le dionisiache greche e i Saturnali romani, o i più antichi Ludi Fescennini dei Falisci, rimandavano a celebrazioni in cui lo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie societarie lasciavano il posto d’onore a scherzi, dissoluzione e anarchia.
Ma attenzione. L’anarchia qui assume un’ accezione del tutto positiva, riprendendo i fondamenti della corrente filosofica e politica elaborata, nella metà del 1800, dal lucido pensiero rivoluzionario di filosofi come Pierre-Joseph Proudhon, Michail Backunin o scrittori come Lev Tolstoy, pescando a piene mani nell’Utopia di Thomas More o nell’Illuminismo di Rousseau, De Sade o Codillac. Un periodo di festa quindi, in cui il Caos prende il sopravvento sull’ordine costituito, in un ciclo di rinnovamento simbolico secondo il quale l’Ordine tornerà, ancora più forte e innovato, fino al prossimo periodo di dissacrante disordine.
Ma dicevamo i dolci di carnevale, tanti e diversi. Dalla semplice Schiacciata alla fiorentina, una torta soffice alta appena tre centimetri, in origine ben lontana dalle spurie versioni moderne che la vogliono farcita di creme o panna montata. O come il Berlingozzo, ancora in Toscana, ma con scie lunghe fino all’alta valle del Tevere in Umbria: anch’esso un dolce da forno, ma questa volta a ciambella, così antico da essere presente sulla tavola di Cosimo I De’ Medici, decantato da poeti nel Cinquecento e mutuante il nome dal termine tedesco bretling, tavola. In effetti il suo significato sembra proprio essere “spassarsela a tavola”, ad indicare il Berlingaccio, ossia proprio il Giovedì Grasso.
Un po’ più a nord, in Piemonte, per raccontare le Mantovane di Cossato, omonimo comune del biellese. Il nome infatti non fa riferimento alla città della Cultura per il 2016, Mantova appunto, ma alle tende di cui il dolce prende la forma, ossia una sfoglia semisferica farcita con gustoso ripieno di mandorle, marmellata di agrumi e uvetta sultanina. Ma il simbolo dei dolci di Carnevale rimangono le Castagnole. Fritte o al forno, semplici o farcite di crema pasticcera, rivestite di zucchero, di alchermes o di miele, sono tra i dolci più antichi di questa festa gaudente.
Diffuse tra Emilia, Romagna, Lazio, Umbria – nella variante degli Strufoli –, Veneto e Lombardia, se ne trovano tracce in un manoscritto del Settecento rinvenuto nell’Archivio di Stato di Viterbo, in cui se ne descrivono ben quattro ricette, di cui una con cottura al forno (e poi venitemi a dire che la leggerezza è prerogativa di questi nostri tempi!). Chiacchiere o dolci? Tutte e due, perché le chiacchiere o frappe sono protagoniste emblematiche del Carnevale, conosciute su tutto il territorio nazionale con i nomi più svariati: dalle bugie liguri ai cenci toscani, dai crostui friulani ai fiocchetti del Montefeltro, dalle maraviglias della Sardegna alle mervilles in Val D’Aosta (e in entrambi i casi l’origine francese è indubbia).
Sono un dolce dell’antica Roma, delle semplici strisce di pasta classica, spesso attorcigliata a formare un nodo o un fiocco, fritte, anticamente nel grasso animale, e spolverizzate con zucchero a velo. L’origine del nome? Si dice che sia da attribuire alla gran voglia di chiacchierare della Regina Margherita di Savoia che, sfiancata da questa sua passione, avesse chiesto al suo cuoco personale, Raffaele Esposito, di prepararle un dolce che lui prontamente battezzò chiacchiere.
Sorvolando sulle zeppole (e non sapete quanto mi costa!), spesso associate alla festa di San Giuseppe, soprattutto nella tradizione partenopea, planiamo in terra marchigiana per scoprire gli arancini fritti. Sono delle girelle realizzate con una sfoglia su cui viene passato succo e buccia di arancia, arrotolata, tagliata a fette larghe a forma di girella appunto, poi fritte e passate nel miele.
Altra terra, altri dolci di carnevale. Siamo in Abruzzo, ma anche in Molise, ancora nelle Marche e sicuramente in Umbria e parliamo di cicerchiata. L’origine del nome è da ricercare probabilmente nei termini di antica lingua eugubina: strusla (mucchio) e cicerchia, legume tipico delle zone umbro-marchigiane, per ottenere quindi il divertente “mucchio di cicerchie”. Si tratta di piccole palline realizzate con pasta a base di farina, uova, olio, zucchero, fritte in olio e mescolate a miele bollente che, raffreddandosi, ne solidifica la forma di ciambella con cui si presenta al suo pubblico goloso.
Ultima tappa -ma di certo la lista sarebbe ancora molto lunga- è il sanguinaccio dolce. Si tratta di un prodotto tradizionale della regione Basilicata dove viene preparato proprio durante il carnevale e accompagnato da biscotti secchi tipo Savoiardi. La crema è a base di cioccolato fondente amaro a cui si aggiunge sangue fresco di maiale che gli dona, oltre al nome, anche una nota acidula caratteristica. Chiudiamo con una bomba.
Non non di certo nel senso di notizia, piuttosto di dolce lievitato, tondo, fritto e riempito con marmellata; in Alto Adige (e in Nord Europa) è conosciuto come Krapfen, ma in alcune zone del centro Italia e soprattutto a Roma, è il bombolone ed è farcito con crema pasticcera. Perché a noi le cose leggere soprattutto a Carnevale, non ci vanno né su né giù.
di Tamara Gori
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