Il Cibo Immaginario

I Bialetti e la rivoluzione del caffè

Ci sono uomini che cambiano il mondo, rivoluzionari li abbiamo sempre chiamati, forse in omaggio a quel moto celeste e perpetuo della Terra che regola il tempo e la vita, e perché in fondo anche le rivoluzioni, alla vita sono indispensabili.

Alcuni uomini invece non cambiano il mondo e i suoi massimi sistemi, ma cambiano le nostre cose quotidiane, piccole magari, ma talmente ripetute nel tempo da diventare ritualità diffuse e collettive.

È una strana storia quella del caffè in Italia; non ne coltiviamo neanche una pianta, non ne produciamo neanche un chicco, eppure il caffè, anzi l’espresso, dell’Italia è icona universalmente riconosciuta, parola tra le poche comprensibile a svariate latitudini senza bisogno di essere tradotta, sintesi efficace di una via italiana al gusto che si esalta nello svolgere lento del tempo, perché l’espresso si beve solo lentamente e si accompagna con una gestualità anch’essa essenziale al rito.

Ebbene se di uomini che cambiano il mondo ce ne sono pochi, appena di più sono gli uomini che cambiano il quotidiano e tra questi, eccezione numerica che conferma la regola, di Bialetti ce ne sono stati addirittura due, innovatori di tal fatta da essere sommessamente entrati in milioni di case al mondo rivoluzionando il modo di preparare il caffè.

Bialetti anno 1956

I Bialetti e la rivoluzione del caffè

Alfonso Bialetti è piemontese di Casale Corte Cerro, nasce nel 1888 e di lui sappiamo che da giovanissimo si trasferisce in Francia dove per alcuni anni lavora come operaio.

Alfonso Bialetti però non è un operaio qualunque, il suo mestiere è fare il fonditore e la metallurgia, dal mito greco di Efesto in poi, custodisce i segreti del fuoco, dei metalli, della fusione e della creazione, segreti che solo gli dei possono maneggiare.
E allora qualcosa di vero ci deve forse essere nel mito se Alfonso nel 1919, appena un anno dopo essere tornato in un’Italia uscita da poco dalle trincee dalla Grande Guerra, apre a Crusinallo la Alfonso Bialetti & C. – Fonderia in Conchiglia e si dedica alla lavorazione di un metallo avveniristico per il tempo, l’alluminio, seguendo una particolare modalità di fusione, in conchiglia appunto, di cui aveva appreso la tecnica nel suo periodo francese.

Qualcosa di vero ci deve essere perché ad Alfonso Bialetti non basta fare il fonditore e realizzare manufatti pressofusi, Alfonso si guarda intorno con estro creativo e chissà per quale misteriosa assonanza posa i suoi occhi su un oggetto comune, comunissimo, che proprio come un novello deus ex machina cambierà radicalmente nel meccanismo, nei materiali, nel disegno e nella funzione.
Pare ispirato al meccanismo della lisciveuse, una sorta di pentolone per il lavaggio dei panni dove l’acqua che bolliva nel basso s’incanalava in un tubo centrale per poi ricadere sui panni insieme alla liscivia, il detersivo del tempo, Alfonso decide di declinare lo stesso principio fisico in una macchina domestica per il caffè.
Accade così che l’estro diventa valore aggiunto della tecnica e il processo creativo si compie: nel 1933 Alfonso deposita il brevetto di un apparato domestico rivoluzionario, la Moka Express, caffettiera che, disegnata con vezzo di stile Art Deco da Luigi De Ponti, usa materiali innovativi come l’alluminio, il metallo degli aerei, lucido, resistente a tutto e caro ai futuristi, e la bachelite, materia plastica termoindurente sintetizzata appena nel 1907 e praticamente indistruttibile, e richiama nel nome la città yemenita di Mokha, a lungo luogo di provenienza delle migliori miscele di caffè.

Ma la tecnica non è tutto, serve anche il sogno e per la Moka Express il sogno è promettere agli italiani di fare il caffè buono come quello del bar.
La promessa non rimane per aria.

Moka Bialetti disegno Brevetto

La Moka Express cambia effettivamente il modo di fare il caffè, porta dentro le case l’espresso, che è molto di più di un semplice caffè e che prima si poteva bere solo nei bar, passa indenne gli anni delle inique sanzioni che videro il caffè sostituito da succedanei e infusi vari, famoso quello di cicoria, supera la Seconda Guerra Mondiale, si affaccia sull’Italia della ricostruzione diventando poi icona del boom economico e inesorabilmente andrà a soppiantare la cuccumella, la caffettiera napoletana inventata nel 1819 dal parigino Morize, che a sua volta aveva soppiantato l’uso del samovar.

È proprio in questi anni che entra in scena il secondo eclettico Bialetti, Renato, figlio di Alfonso, anche lui con i baffi e vero artefice del grande passaggio della Moka da prodotto venduto in maniera ancora quasi artigianale a prodotto industriale destinato al grande mercato.
Renato è un reduce, è sopravvissuto alla guerra e ai campi di prigionia tedeschi, e quando nel 1946 torna in Italia e si mette alla guida dell’azienda di famiglia deve aver pensato che fosse un gioco da ragazzi produrre e vendere qualcosa invece che pensare a portare salva a casa la pelle.

Renato è degno figlio di suo padre, anche lui innovatore e curiosa della modernità.
Renato capisce subito che per muovere le vendite, non solo bisogna far conoscere la Moka, ma soprattutto è necessario farla diventare un simbolo.
Renato riavvia la produzione industriale e ne implementa la capacità sino a 18.000 pezzi al giorno; ben presto le 70.000 caffettiere vendute dal padre nei dieci anni precedenti, diventeranno milioni.

Renato Bialetti è il sicuro artefice industriale del successo della Moka, ma il linguaggio dell’immaginario che al successo della Moka ha spalancato le porte lo dobbiamo a Paul Campani, pubblicitario eclettico e geniale che nei nostri racconti de Il Cibo Immaginario abbiamo già incontrato parlando di Gringo e della carne Montana, e dalla cui fantasia nel 1953 prende vita l’omino con i baffi, simbolo della Moka, certo, ma trasposizione pubblicitaria dei Bialetti stessi e dei loro baffi tramandati da padre in figlio.

Bialetti anno 1962

L’omino con i baffi si guadagna spazio nella pubblicità sui rotocalchi, alle Fiere Campionarie di Milano la Moka Bialetti è protagonista di allestimenti che rubano la scena a chiunque, la cartellonistica di strada ne rimanda l’immagine agli italiani che si mettono in movimento, ma è soprattutto con l’avvento di Carosello, siamo ormai nel 1957, che la Moka entra nelle case di tutti gli italiani e nel loro immaginario con la voce con leggera zeppola di Raffaele Pisu e il tormentone Eh sì sì sì…sembra facile (fare un buon caffè).

Renato Bialetti ha portato al successo l’invenzione di suo padre Alfonso, operaio fonditore prima di essere imprenditore; uomini, i Bialetti, che hanno costruito l’immagine dell’Italia nel mondo rimboccandosi le maniche, associando talento e fantasia con il rischio dell’impresa, ma attenzione, perché impresa prima di essere un lemma economico è termine evocativo che evoca l’ignoto e l’avventura, territori nei quali si addentrano solo uomini speciali che hanno qualcosa da dire e molto da raccontare e Renato, tra i suoi racconti, amava ripetere quello del fortuito e fortunato incontro con Aristotele Onassis.
Nella hall di un albergo proprio mentre cercava di convincere un gruppo di scettici buyers francesi delle doti della sua caffettiera, Renato, al quale i baffi dovevano aver reso anche un po’ di spirito guascone, scorge Onassis e audacemente molla i francesi per andare incontro all’armatore già famoso al mondo, collezionista di donne famose come veniva chiamato, e gli si presenta da giovane imprenditore italiano dicendogli “mi dia una mano, lei che ha cominciato dal nulla come me. Quando rientra nella hall dica che usa una mia caffettiera“.

Onassis, greco di Smirne, stette al gioco, forse divertito dell’osare di quell’italiano mai visto prima, e quando poco dopo ripassa nella hall, si avvicina al gruppetto, punta dritto verso Renato e con fare confidente gli batte una pacca sulle spalle da vecchio conoscente e lo saluta con un fragoroso “Renato, come va? Ma sai che non ho mai bevuto un caffè buono come quella della tua caffettiera?

Lo spirito dell’impresa è tutto lì.

Un’impresa che ha fatto inserire la Moka Express tra i dieci brevetti italiani che hanno cambiato il mondo, che la fa essere esposta al MoMa di New York e nella collezione permanente del Triennale Design Museum di Milano, ma che soprattutto la fa essere icona incontrastata del panorama domestico, sociale e culturale italiano.

Alfonso e Renato Bialetti sono stati operai, fonditori, inventori, imprenditori, reduci, industriali, comunicatori, hanno vissuto la vita con avventura e hanno fatto l’impresa, quella epica prima ancora che quella economica, e chissà mai che in quella caffettiera di alluminio e bachelite che ha attraversato e cambiato il novecento del quotidiano non abbiamo compiuto proprio la loro cerca del Sacro Graal.

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Marco Panella

Nato a Roma nel 1963, laureato in Scienze Politiche con indirizzo internazionale, si occupa di comunicazione dal 1989 come imprenditore e consulente di aziende ed enti pubblici. Curatore di mostre e festival culturali, esperto di storia del costume italiano ed heritage communication, coniuga all’attività professionale interessi personali che spaziano dalla geopolitica all’etica dell’innovazione. Ha esordito nella narrativa con il romanzo nero Tutto in una notte, edito a settembre 2019 da Robin Edizioni.

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