Il caciocavallo dei Monti Alburni, terra carsica di grotte e valli, alto massiccio montuoso che separa le coste del Cilento dall’entroterra salernitano, propaggine a nord del Parco del Cilento e del Vallo di Adriano, è il prodotto di una terra misteriosa e orgogliosa, in cui i miti e le epopee hanno saldamente ancorato i loro piedi nella Storia, spesso riscrivendola a onore e gloria di future memorie.
A ben guardare le grotte che si affacciano su rupi bianche e inaccessibili, o i valli scavati dall’acqua che ha eroso millenni di roccia, questa sembra la terra evocativa e immaginifica dei Titani e dei Ciclopi, con poche falcate giunti qui dai Campi Flegrei per trovare rifugio dall’ira di Nettuno.
Una terra di resistenza i Monti Alburni: ai popoli che inutilmente hanno tentato di sottometterla e plasmarla; al tempo, che rischia di cancellare tradizioni e ritualità. Qui il brigantaggio ha trovato la sua ragion d’essere nelle trame fitte del tessuto sociale di questi monti, fucina di uomini, ma soprattutto donne, a cui è stato consegnato il drappo patriottico di guerrigliere. Eroi ed eroine capisaldi della dignità di questa terra di mezzo. E anche se non credo che Tolkien si sia ispirato ai Monti Alburni per la liricità della sua trilogia, di fatto questa è stata ed è fortemente oggi una terra di mezzo.
Da qui varcavano gli Appennini i popoli che giungevano da est per arrivare sulle coste campane; questo era il luogo d’approdo per chi, dalla Lucania, portava con sé il grano dalle prospere valli che guardavano allo Ionio. Da qui passavano e passano oggi, attraverso i tratturi antichi, le mandrie di vacche bianche di razza podolica che hanno popolato queste terre. Si narra siano le vacche più antiche conosciute e utilizzate dall’uomo. Inizialmente apprezzate soprattutto per la loro carne, oggi il loro nerbo resistente non incontra più i favori di palati omologati alla “scioglievolezza” degli allevamenti intensivi.
Per questo oggi il loro frutto più importante è il latte. Un pascolo, pressoché totalmente allo stato brado, che risponde ad una ritualità antica, perpetuata nei millenni con un rigore che non si piega ad un sistema che ha fallito nel concedere risposte efficaci ai bisogni del mondo. Anche il caciocavallo podolico diventa quindi una forma di resistenza: lontano dalle asettiche imposizioni comunitarie per le quali forse non esisterebbe già da tempo, gli allevatori dei Monti Alburni hanno continuato a ripercorrere ostinatamente gesti antichi, che le mani dei primi casari hanno plasmato e istituito.
Latte di mucche podoliche lavorato praticamente a freddo con temperature che non superano mai i 37 gradi; caglio di vitello per concedere un sapore più dolce, o più raramente di capretto per infondere una personalità più definita, quasi piccante; una doppia rottura della cagliata e aggiunta di siero caldo almeno due o tre volte.
Dopo alcune ore la pasta viene tagliata e filata fino ad ottenere la classica forma di piccolo otre. Il mantenimento è garantito dalla salamoia e l’invecchiamento, che in questo caso può protrarsi anche cinque o sei anni, è realizzato a cavallo di lunghe pertiche di legno a cui le forme vengono legate in coppia. È da qui che nasce il suo nome evocativo.
La faccia di rivestimento, dal tipico e inconfondibile colore bruno, è data proprio dalla lunga stagionatura, la stessa che gli conferisce profumi di pascolo e di macchia. Non potrebbe essere altrimenti d’altronde: i tratturi che attraversano come fitti capillari queste montagne, sono gli stessi che segnano i percorsi anche aromatici compiuti dalle mucche nella loro transumanza.
I pascoli di montagna tipici della primavera e dell’estate sono ricchi di sostanze balsamiche, al contrario di quelli invernali di pianura che donano invece una caratteristica gustativa più decisa. Lo sa bene Gennaro D’Urso, uno dei pochi allevatori che ancora realizza il caciocavallo podolico come una volta, manualmente, con fatica e passione immutate nel tempo. E non pensate di poter trovare questo tesoro prezioso dei Monti Alburni in un qualunque supermercato o nella vetrina di qualche gastronomia ricercata della capitale.
La limitata produzione e le tecniche così poco burocratizzabili impongono il viaggio e la ricerca fino in terra di Campania, direttamente dai produttori, per poter saggiare la vera natura del caciocavallo podolico dei Monti Alburni. Perché l’anima non può essere sradicata dalle sue radici più profonde.
di Tamara Gori
Facilissimo da fare e gustoso da assaporare, il burro aromatizzato è quell'elemento fantasioso da aggiungere alle vostre…
Il mercato online dei vini e dei liquori in Italia si sta dimostrando il protagonista di una…
La combinazione di buon cibo e musica dal vivo è un'esperienza che coinvolge tutti i…
Per poter realizzare una torta di compleanno è fondamentale rispettare due requisiti: creatività e fantasia;…
In questo articolo potrei parlarvi di un posto bellissimo, Tignale sul lago di Garda, di…
Iniziare una dieta non significa privarsi completamente dei piaceri dolci, ma piuttosto scegliere con intelligenza…