Il cardo: un po’ di storia, un po’ di leggenda
Per individuare i primi segni del cardo bisogna riandare in Etiopia e in seguito li troviamo nei corredi funebri custoditi nelle tombe egizie.
Plinio, nella “Storia Naturale”, lo include fra gli ortaggi degni di nota. Simile al carciofo, è avvicinato a Dafne, pastore siciliano la cui morte provocò dolore, per cui spuntò una pianta piena di spine acuminate, il cardo appunto. Nelle leggende ariane il cardo è collegato al dio della guerra e dei fulmini, Thor e fin da tempi antichi germogli e semi di cardo verranno utilizzati per produrre il caglio dei formaggi. Ancora oggi questo avviene in alcune zone della Toscana.
Nel ‘500 il cardo arriva in cucina. Alla fine del XVI secolo ne parlano due medici della corte sabauda. Nel ‘700 Il Cuoco Piemontese riporta la ricetta a base di cardi: la bagna cauda, piatto simbolo della gastronomia del Piemonte. Nel corso dei secoli le coltivazioni di cardi hanno aiutato i poveri contadini a sopravvivere.
Il cardo è The guardian, la sentinella, il Cardo protettore, simbolo scozzese per più di 500 anni. In segno di ringraziamento per aver salvato il popolo scozzese dai vichinghi, nel 1200, da un attacco silenzioso, tanto che le sentinelle non si erano accorte di alcun movimento.
Gli invasori entrarono nel territorio dell’Ayrshire, nelle Highlands di notte e senza le pesanti calzature, a piedi nudi. Un grido di dolore echeggiò nella notte. I cardi, in fioritura, aggredirono gli aggressori con spine acuminate e quindi dolorose. Le sentinelle si svegliarono e poterono affrontare e respingere l’avanzata del nemico. Non sappiamo precisamente dove finisce la storia e comincia la leggenda o al contrario.
Il cardo fa la sua apparizione inciso su monete d’argento emesse nel 1470 durante il regno di Giacomo III. Racconta una leggenda, che caddero sulle foglie del cardo gocce del latte della Madonna, durante la fuga in Egitto, mentre nascondeva Gesù. Da qui il nome marianum.
Troviamo il cardo raffigurato da più artisti in numerose opere.
Pianta erbacea appartenente alla famiglia delle asteraceae, cresce e la troviamo sul mercato in inverno.
Il cespo ha foglie allungate, ampie, il colore è verde argentato. Il cardo, o carciofo selvatico, ha la forma simile al sedano, ma appartiene alla famiglia dei carciofi. Oggi le varietà si presentano prive di spine e vengono sottoposte a tecniche d’imbiancamento, privandole della luce, piegando la pianta in cavità laterali e ricoprendola di terra. E’ il motivo per cui si chiama gobbo in Toscana, Lazio e Umbria. In alcune regioni è chiamato carduccio.
Pellegrino Artusi chiama i cardi cardoni dal francese cardon e li definisce “insipidi”.
Il cardo ancora verde è fibroso e dal sapore aspro.
Molte sono le varietà. Ricordiamo Il Gigante di Romagna, il Bolognese, il Riccio d’Asti, il piemontese cardo di Chieri, il pregiato cardo di Tours, il Cardo triste, lo Spadone, il Cardo alato, il Cardo Gobbo di Monferrato, il Pieno inerme a costa bianca.
Da ricordare il Cardo selvatico, che cresce spontaneamente e il suo uso è simile al cardo coltivato.
Anche se poco ricercati, i cardi sono versatili in cucina e possono essere cucinati in più modi. Hanno poche calorie, hanno un sapore delicato che richiama il sapore del carciofo e del sedano. Richiedono tempo sia per pulirli che per cucinarli.
Al momento dell’acquisto verificate che i gambi si presentino bianchi avorio e compatti e non avere punti verdi. I cardi che tendono ad aprirsi, non sono più freschi. Riepilogando: Vanno scelte piante dal colore chiaro, chiuse e prive di macchie, con costole larghe. Si eliminano le foglie ed è ottima la parte centrale interna.
Particolare è il liquore di cardo selvatico, è bevanda alcolica tipica della tradizione sarda. Confezionato in bottiglie di vetro trasparenti, ha colore giallo paglierino e sapore gradevole tendente all’amarognolo.
I cardi si cucinano gratinati al forno o fritti.
I cardi gratinati sono una pietanza dal gusto deciso preparato principalmente con la besciamella il cui sapore delicato si unisce perfettamente all’amarognolo dei cardi, L’aggiunta del parmigiano è il tocco finale per un piatto sublime.
Ricetta di Lorena Fiorini
Ingredienti per quattro persone
Sperate le costole del cardo, utilizzate solo le parti più tenere, pulitele eliminando le foglie, tagliatele a pezzi lunghi 15 cm e, se risultano particolarmente larghe, tagliatele nel senso della lunghezza.
Eliminate, con un coltello affilato, i filamenti più duri, immergeteli in una ciotola con acqua e limone, per evitare che il processo ossidativo provochi l’annerimento dei cardi. Strofinate le costole con il limone ed evitate l’annerimento delle mani usando guanti di lattice.
Passate i cardi sotto l’acqua corrente, inseriteli in una pentola quando avrete portato l’acqua, salata leggermente, a bollitura, e lasciate cuocere fino a farli risultare ancora teneri, per 2 ore circa.
A parte preparate la besciamella. Versate in un tegame parte del latte, 400 ml, salate, pepate, aggiungete una spolverata di noce moscata e portate a ebollizione. A parte sciogliete, nel latte residuo, la farina e versate il composto quando il latte inizia l’ebollizione. Mischiate in continuazione fino a raggiungere la densità desiderata. Togliete dal fuoco il tegame, aggiungete il burro fuso e il parmigiano grattugiato e mescolate il composto.
Imburrate una teglia con il burro, spolverate con il pane grattugiato. Sistemate le coste di cardo sul fondo della teglia e versate sopra la besciamella. Proseguite ponendo i cardi in modo da terminare i cardi a disposizione in strati sovrapposti. Terminare con la besciamella e una spolverata di pane grattugiato.
Ponete la teglia in forno a cuocere a 180° per ½ ora. Spostate i cardi in tavola e serviteli caldi.
Proverbio
“E’ come un cardo senza sale far col marito (o con la moglie) il Carnevale”
Ai veglioni si amoreggiava senza tanti scrupoli morali né sentimentali,
tanto si sapeva che “L’amor nato a Carnevale muore in Quaresima”.
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