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Il cibo buono, sano e nutriente fa buona economia, a condizione che…

Il rito del pasto, che compiamo tutti i giorni, è ovviamente un’abitudine che ci porta a non riflettere in modo sufficiente su ciò che mettiamo nel piatto, ma sappiamo che ciò che mangiamo ha uno straordinario impatto non solo sulla nostra salute, perché il buon cibo fa buona salute, ma anche sulla nostra ricchezza perchè il cibo buono, sano e nutriente fa buona economia.

L’agroalimentare italiano è uno dei must della nostra esportazione e lo è diventato grazie alla straordinaria qualità dei prodotti tipici che tante piccole e medie aziende sono state capaci di mettere sulle nostre tavole e su quelle di mezzo mondo. Insieme alla moda e al design, l’enogastronomia è certamente una di quelle eccellenze del nostro Paese che ci hanno resi famosi e che ci avrebbero potuto far diventare ricchi, se una classe dirigente poco accorta non avesse sottovalutato o sprecato risorse tanto straordinarie.

Abbiamo più volte affermato che il nostro cibo, la dieta mediterranea, non è solo una questione di gusto, non è soltanto problema alimentare ma stile di vita, quel modello “Italia”  ri-conosciuto e ri-cercato in tutto il mondo.  L’agroalimentare coniugato con la moda, i beni culturali e il turismo, può essere la chiave di volta di una ripresa della produttività e di una crescita del mercato interno e fattore di sviluppo del made in Italy sul mercato internazionale.  Merito di migliaia di piccole e medie imprese che fanno del “produrre” una questione di “sicurezza” e di “qualità”. 

Ma con quali strumenti, con quali sistemi/servizi di accompagnamento delle imprese? Quale sostegno alle imprese? In definitiva cosa si dovrebbe fare per recuperare valore alla nostra produzione agroalimentare di qualità per farne un soggetto della ripresa economica e del risanamento del nostro sistema produttivo.

Dobbiamo fare un’operazione verità

Uno stato di confusione, di paura per il futuro, attraversa questa nostra epoca. È come se sulla nostra società si fosse creata una cappa grigia che ci impedisce di coltivare speranze, un’assenza di ideali e di progetti che ci impedisce di costruire il futuro. Siamo entrati in pandemia mentre in giro c’era una sorta di diffuso rancore, addirittura di odio. Oggi in piena crisi non sappiamo a che santo votarci e rischiamo di finire prigionieri di una comunicazione di regime che ci vuole convincere che la rinuncia alla nostra libertà è un prezzo necessario da pagare.

A dire il vero è nato il dubbio che dietro le misure per la salvaguardia della salute adottate al di là del Parlamento ricercando un rapporto diretto tra capo del governo e cittadini si nasconda quella vocazione populista che a fasi alterne si manifesta nella politica di casa nostra. Se da una parte è chiaro quale potrebbe essere il disegno di potere di chi si trova a governare non si è ancora capito quale sarebbe il vantaggio che ne deriverebbe per noi comuni mortali. Sono domande legittime di fronte a decisioni che appaiono bizzarre per altro imposte con un vocabolario paternalista e un decalogo di ciò che è consentito e ciò che non lo è a proposito della libertà dei singoli.

Non è semplice in una società confusa, stordita dagli eventi, individuare punti di riferimento e dare risposte. La comunicazione quotidiana ci parla di morti e di ripartenze. Ma da chi e da cosa ripartire. La crisi non è soltanto sanitaria ed economica, è tutto questo messo insieme, ma è anche crisi di valori e crisi sociale. Il coronavirus ha reso evidente, a meno che ce ne fosse bisogno, che la fine del Welfare del ‘900 e la profonda crisi in cui versa il Servizio Sanitario Nazionale è stata la vera causa del suo diffondersi.

La destrutturazione sistematica dell’apparato di protezione sociale, la chiusura di piccoli e grandi ospedali per risparmiare sulla spesa, lo scandalismo sulla sanità pubblica, decisioni folli come quella di consentire al personale medico ospedaliero di svolgere attività privata all’interno di strutture ospedaliere, politiche altrettanto folli a proposito delle forniture ospedaliere hanno corroso un sistema sanitario pubblico lasciando spazio a quello privato; tutto ciò non solo a determinato un’emergenza sanitaria ma ha finito per accentuare le diseguaglianze sociali e aumentare la tensione sociale in maniera allarmante.

E allora la risposta non può che essere una estrema difesa dei diritti del cittadino, vedi il diritto alla salute ma soprattutto i diritti come consumatore, cioè come soggetto economico. Figlio della società consumistica fino a qualche anno fa, il cittadino era un soggetto “debole” facile preda dei messaggi pubblicitari. Il cittadino oggi è capace di valutare in totale autonomia ciò che mette nella borsa della spesa: è diventato esigente, preparato, curioso e, soprattutto, attento non più solo al prezzo, ma a tutto ciò che ruota attorno al prodotto e alla qualità.

Ci troviamo quindi di fronte ad una figura sociale che chiede nuovi servizi in grado di fornirgli quelle informazioni necessarie alla individuazione dei prodotti e dei servizi che rispondono alla sua “attualità culturale”.

Ma è proprio in una situazione eccezionale come quella che stiamo attraversando, la prima vera crisi globale, che dobbiamo avere il coraggio di traghettare la nostra democrazia verso nuovi lidi ripensando le sue regole, i suoi valori e principi nella società dell’informazione e della conoscenza, per impedire che si affermino scorciatoie tecnocratiche, per uscire dal presentismo dominante e immaginare una nuova Polis.


P.S. – “La sfida da raccogliere starà nella capacità che avranno le associazioni dei consumatori di colmare gli spazi vuoti lasciati dai partiti politici e dai sindacati. Le associazioni dei consumatori possono rappresentare quel bisogno di partecipazione reale mortificato dalla politica, dando voce a quella protesta sociale che si colloca fuori dalle finte diatribe tra maggioranze ed opposizioni. Nel prossimo futuro ci aspetta una nuova entusiasmante sfida: trasformare le associazioni dei consumatori da rappresentanti di interessi di categoria a forza di cambiamento per una società equa e sostenibile”.(Ivano Giacomelli, segretario generale dell’associazione consumatori CODICI)

Con questo numero nasce una partnership tra Moondo e CODICI.

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Giampaolo Sodano

Artigiano, mastro oleario, giornalista e dirigente d’azienda, Giampaolo Sodano è nato a Roma. Prima di vincere nel 1966 un concorso ed entrare in Rai come funzionario programmi svolge una intensa attività pubblicistica come critico letterario e cinematografico. Nel 1971 è giornalista professionista. Nel 1979 è dirigente d’azienda della RAI. Nel 1983 è eletto deputato al Parlamento. Nel 1987 torna all’attività professionale in RAI ed è nominato vice-presidente e amministratore delegato di Sipra e successivamente direttore di Raidue. Nel 1994 è direttore generale di Sacis e l’anno successivo direttore di APC, direzione acquisti, produzioni e coproduzioni della Rai. Nel 1997 si dimette dalla RAI e diventa direttore di Canale5. Una breve esperienza dopo della quale da vita ad una società di consulenza “Comconsulting” con la quale nel 1999 collabora con il fondo B&S Electra per l’acquisizione della società Eagle Pictures spa di cui diventa presidente. Nel 2001 è eletto vicepresidente di ANICA e Presidente dell’Unidim (Unione Distributori). Dal 2008 al 2014 è vicepresidente di “Sitcom Televisione spa”. E’ stato Presidente di IAA. Sezione italiana (International Advertising Association), Presidente di Cartoons on the bay (Festival internazionale dei cartoni animati) e Presidente degli Incontri Internazionali di Cinema di Sorrento. Ha scritto e pubblicato “Le cose possibili” (Sugarco 1982), “Le coccarde verdemare” (Marsilio 1987), “Nascita di Venere” (Liguori editore 1995). Cambia vita e professione, diventa artigiano dell’olio e nel 1999 acquista un vecchio frantoio a Vetralla. Come mastro oleario si impegna nell’attività associativa assumendo l’incarico prima di vicepresidente e poi direttore dell’Associazione Italiana Frantoiani Oleari (AIFO). Con sua moglie Fabrizia ha pubblicato “Pane e olio. guida ai frantoi artigiani” e “Fuga dalla città”.

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