Ci sono pochi prodotti che sanno raccontare un territorio con assoluta aderenza di gusto ed evocazione cromatica, la Susianella ne è un raro esempio. Gli Etruschi, potente e raffinato popolo che abitò queste terre ben prima dell’Impero di Roma, ne ideò la ricetta: un macinato grossolano di frattaglie di suino, fegato soprattutto, ma anche corata (pancreas, cuore, reni e lingua), con aggiunta di grasso ottenuto da pancetta e guanciale. Il tutto conciato con sale, pepe, peperoncino, finocchietto selvatico e poi insaccato in un budello naturale di maiale.
La diffusione della Susianella ha attraversato secoli di abitudini alimentari che si sono succedute nell’andirivieni di popoli in terra di Tuscia, fino a conoscere un vero e proprio boom nel Medioevo, quando l’uso di lavorare le frattaglie degli animali, permise di sfamare i ceti più poveri della popolazione. D’altronde proprio nello stesso periodo storico, da Firenze, patria della concia di pelli e della lavorazione di carni bovine, si diffonde la pratica della lavorazione del cosiddetto quinto-quarto, con la nascita del famoso Lampredotto. Il gusto deciso della Susianella, legato alla componente di fegato presente nel preparato, è stato il suo fattore di successo prima e l’elemento di declino dopo, quando i palati hanno iniziato a raffinarsi e poi ad omologarsi, con un appiattimento gustativo dettato da una produzione alimentare soprattutto industriale e chimicamente sofisticata.
Ma quel gusto, quel sapore quasi oscuro che richiama note di sottobosco e di cioccolato, continua a sposare appieno le ombre di Viterbo. La pietra scura è nella cinta muraria della città, nella pavimentazione, nelle ossa dei palazzi storici e nella polvere che si ribella alla staticità delle pietre. Tinge i connotati misteriosi di un luogo conosciuto come la “Città dei Papi”. Non solo perché Viterbo è stata sede papale dal 1257 al 1281 (poco a dire il vero), ma anche perché tra le mura del gotico Palazzo dei Papi, a Piazza San Lorenzo, in un coacervo di pressioni politiche, di animosità nazionalistiche e di feroci lotte intestine, si è svolto il più lungo Concilio papale che la Storia ricordi: dal Novembre del 1268 al 1° Settembre del 1271. Forse è stato il colore scuro del peperino a condizionare le sorti della città, o magari una città come Viterbo non poteva avere altro colore: è ambivalente, eternamente combattuta tra la voglia di essere città e una realtà che negli anni è stata caratterizzata dalla chiusura economica, da una volontà politica spesso volutamente miope, dal connubio Viterbo-Insediamento militare.
Solo l’apertura delle Università negli ultimi vent’anni ha spinto per dare un volto nuovo, giovane e anche internazionale, ad un capoluogo che ha rischiato di rimanere vittima di se stesso, autarchico, ma senza le risorse o le opportunità per esserlo. Oggi Viterbo è sinonimo di Terme: le avevano scoperte gli Etruschi ed esaltate i Romani nei loro soggiorni rigeneranti, tra i vapori delle acque sulfuree e il tufo dei mosaici. Ma la città è rappresentata anche dal gorgoglio delle fontane: si dice ce ne siano oltre cento, ognuna diversa, ognuna con una sua storia, ognuna in una piazza. La Macchina di Santa Rosa, dal 2013 Patrimonio dell’Unesco e quest’anno simbolo discusso della città all’Expo di Milano, è l’orgoglio cittadino: una gigantesca macchina di luce, alta oltre 30 metri, che attraversa le vie della città nella notte del 3 Settembre, sollevata da cento Facchini dell’antico Sodalizio di Viterbo, a imperitura memoria dei miracoli compiuti dalla Santa viterbese e della traslazione del suo corpo all’attuale santuario.
Negli ultimi anni, anche grazie all’azione pressante e presente di Slow Food, Viterbo è stata in grado di recuperare sapori e produzioni che sembravano dimenticate. La Susianella è quindi diventata una produzione tipica della città, spesso frutto di una filiera produttiva cortissima. Sono solo due i produttori che si vantano di condurre verso il futuro questo antico salume fregiato dal Presidio Slow Food; uno dei due, i fratelli Stefanoni, sono anche allevatori di quegli stessi maiali da cui deriva la materia prima. Difficilmente si trova la Susianella fuori dal viterbese, o meglio difficilmente la si trova fuori dalla cinta muraria medievale, venduta in poche gastronomie di qualità nella caratteristica forma a ferro di cavallo, con una lunghezza che va dai 30 ai 50 centimetri.
L’invecchiamento ne definisce le caratteristiche cromatiche e gustative: più delicata e meno pletorica, laddove la stagionatura è quella minima dei 20 giorni; più ferrosa, sanguigna, di rimando al sottobosco e al cioccolato, quando la stagionatura massima dei sei mesi esalta le note tipiche del fegato. Forse per questo non si consiglia una stagionatura più lunga di questa.
di Tamara Gori
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