Lenticchia di Castelluccio. La fioritura del Piccolo Tibet.
“Grandi sono le forze della montagna; là la natura libera··agisce con strapotenza; la stupidità dei preti condanna ciò come una stregoneria”. J. W. v Goethe Faust (1832).
Questa è la suggestione con cui Goethe tradusse la magia dei Monti Sibillini. Non il primo. E non l’unico, se anche l’Ariosto nel suo Orlando Furioso ne traccia il mito; o se Benvenuto Cellini, Andrea da Barberino, Antoine de La Salle nelle loro opere citano la Sibilla e la avvolgono nell’alone di magia che ne contraddistingue i contorni. Siamo a Castelluccio di Norcia, nell’Umbria da sempre verde, ma a tratti e per alcuni momenti colorata dalla fioritura primaverile nelle piane dei Monti Sibillini.
Il periodo è questo, solitamente dalla fine di Maggio e per tutto il mese di Giugno, ma fortunatamente, molto ancora dipende dalla prudenza di Madre Natura. Monti strani i Sibillini, in cui il mito colloca l’antro della Sibilla, dispensatrice di profezie e di piaceri inusitati, sostituta cristiana di Cibele, divinità pagana e Grande Madre degli Dei. O dove i contorni del Lago di Pilato delineano la porta dell’Inferno. Sulle sue rive frastagliate nel XIII secolo si consacrava il libro del comando, invocando i demoni degli Inferi; maghi, streghe e negromanti affrontavano un viaggio dai pericoli infiniti e dalle perigliose vicissitudini pur di arrivare in queste terre magiche. Un pellegrinaggio profano e oscuro, condannato dalla popolazione e dalle autorità ecclesiastiche, che si ritrovarono ad erigere muraglie (funesta riesumazione contemporanea), senza lesinare fondi e risorse pur di bloccare i valichi verso quei monti; o a condannare all’impiccagione chiunque si fosse trovato su quelle rive infauste.
Leggende legate alla superstizione popolare? Una semplificazione che non rende merito e giustizia alla magia innegabile che circonda queste alture e le loro piane infinite, poste a sbarramento della nostra penisola per una lunghezza di almeno 30 chilometri. Un alone di mistero innegabile, se si guarda alle scritte sui muri delle case che ti accolgono nella piazzetta, punto di arrivo di Castelluccio; scritte che nessuno sa, o vuole più decifrare. Fino al secolo scorso (il XIX per intenderci), affrontare quel viaggio era pericoloso a costo della vita, un pellegrinaggio da intraprendere in gran segreto; e questa non è più leggenda: nel 1892 un botanico curioso della flora esclusiva di queste terre, venne ridotto in fin di vita dalle donne di Castelluccio che lo avevano scambiato per un mago. Difficile discernere il mistero da queste terre; esso gli appartiene per la legge sottile che lega indomabili le forze dell’Universo. Questo è il Piccolo Tibet, dall’aria rarefatta, dalle piane che spingono lo sguardo oltre i confini e oltre se stessi. Una natura maestosa che richiama ad una maestosità interiore. Un viaggio nel mondo e nell’anima.
I colori che prendono possesso di queste piane sono quelli inebrianti della genzianella, del narciso, delle violette o dei ranuncoli, dei papaveri o dell’acetosella, in un arcobaleno cromatico che volge dal giallo ocra, al rosso, all’indaco. Ma la regina che ammanta il Pian Grande e il Pian Perduto è certamente la Lenticchia di Castelluccio. Piccola, dal sapore inconfondibile, resistente ai parassiti e coltivata da sempre in stretto regime biologico, la Lenticchia di Castelluccio è chiamata “Lénta” dagli abitanti del luogo, che qui l’hanno trovata per generazioni lontane nel tempo: si hanno tracce di questo legume ricercatissimo nelle tombe neolitiche risalenti al 3000 a.C.
È ormai il prodotto identificativo di Castelluccio di Norcia, che difende fieramente la sua coltivazione e la qualità della Lénta, in una tradizione coltivativa che per alcune operazioni ancora oggi si compie manualmente. La semina della Lenticchia di Castelluccio è un rituale che si compie al momento del completo discioglimento del manto nevoso che copre questi monti nei mesi invernali. In realtà occorre aspettare la prima luna piena dopo l’Equinozio di Primavera, quindi dopo la Pasqua, per procedere con i lavori di aratura delle piane.
La semina si succede subito dopo, ma è nel giorno del primo di Maggio che i contadini scendono nei campi e ripetono riti ancestrali che la tradizione vuole protettivi dal fuoco, dalle tempeste, dalla siccità e dalle cavallette. Si gettano carboni benedetti e acqua santa nei campi, non prima di aver costruito una croce di ramoscelli al loro limitare, ripetendo una litania ad invocare San Benedetto e Santa Scolastica. Sono questi i segni di una ritualità vecchia quanto l’uomo o quanto la Lenticchia di Castelluccio; una commistione impalpabile tra sacro e profano, tra paganesimo e cristianità che rende unico questo luogo. E la fioritura che segue la semina proprio tra maggio e l’inizio di Luglio ne è la riprova: un’esplosione di colori e profumi che non ha pari e che ha fatto di Castelluccio di Norcia una meta obbligata in un turismo agreste-gastronomico di sempre maggior richiamo.
Nel mese di Agosto si procede alla raccolta della lenticchia; la carpitura si chiama questa operazione e una volta si praticava esclusivamente a mano, richiamando manodopera soprattutto femminile dai paesi limitrofi fin da Pescara del Tronto. Oggi naturalmente si raccoglie con l’ausilio di macchine, ma non per questo il coinvolgimento risulta meno impegnativo per i contadini. Un lavoro duro, ripagato dal prestigio della Lenticchia di Castelluccio: buccia sottile e tenera che non richiede l’ammollo prima della cottura, ricchezza di proteine, fibre e sali minerali che ne fanno un legume eccellente per il contenuto di fosforo, ferro e potassio e privo di grassi.
La sua diffusione merceologica come Lenticchia di Castelluccio IGP inoltre, risulta favorita dall’assenza di trattamenti per la conservazione, vista la sua naturale resistenza agli attacchi del tonchio, insetto le cui larve si nutrono proprio dei legumi. Ma chissà se anche questo non sia parte dell’alveo magico che circonda queste piane.
di Tamara Gori
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