Mais nero peruviano. A 16 anni il sogno di una rivoluzione agricola.
Si può fare di un seme seme antico, praticamente ormai scomparso, una start up di successo a soli 16 anni? Lo ha fatto Carlo Maria Recchia, creando, da studente di prima generazione dell’Istituto Agrario, Mais Corvino, la sua azienda agricola in provincia di Cremona, completamente votata all’idea di agricoltura sostenibile e biologica. Non è una storia comune quella che vi racconto. Non lo è per l’età di chi ha fortemente voluto realizzare quel progetto. Non lo è per il seme da cui è nata l’ispirazione. Non lo è per il successo che ha contraddistinto questa impresa e per la tipologia di soci che ha coinvolto. Ma andiamo per ordine.
Carlo Maria non ha alle spalle una famiglia di agricoltori e la sua scelta di iscriversi all’Istituto Agrario è stata osteggiata e temuta dal padre chimico e dalla mamma insegnante. Nessuna esperienza sul campo (è proprio il caso di dirlo), nessuna garanzia per il futuro. Solo una grande sensibilità verso l’ambiente e la sua tutela. A 16 anni Carlo Maria Recchia scopre che nelle borealissime isole Svalbard, in terra di Norvegia, all’interno del Global Seed Vault, erano custoditi 40 semi dell’antichissimo mais nero peruviano, conosciuto già dagli Inca e praticamente mai arrivato in Europa. Si tratta di una varietà proveniente dalle Cordigliere Blanca e Negra, in quell’autentico angolo di paradiso che sono le Ande peruviane. Le proprietà nutritive sono fortemente legate al colore: le antocianine ne fanno un alimento dal poderoso potere antiossidante, con la capacità di agire in maniera positiva sulla circolazione sanguigna e sugli stati infiammatori dell’organismo.
Del mais nero Carlo Maria Recchia decide di fare il suo futuro. Si apre un iter lungo e farraginoso, prima sostenuto dall’Istituto a cui è iscritto e in seguito addirittura dal Ministero delle Politiche Agricole. Un’insistenza da goccia cinese che gli fa ottenere quei semi e gli apre la strada per la loro moltiplicazione. No, non parliamo di miracoli evangelici. Semplicemente un investimento di duemila euro per affittare un terreno vicino casa e seminare il mais nero: per due anni l’obiettivo era solo quello di moltiplicarlo per garantire una capacità produttiva che guardasse lontano. Oggi, a cinque anni di distanza, Mais Corvino produce farina, grissini, biscotti vegani, birra e pane. E il futuro parla di energy drink a base di mais nero in infusione e di una birra completamente gluten free.
Con un fatturato di 35 mila euro nel 2014 e l’ottenimento di una compartecipazione al 20% del capitale aziendale da parte di soci esterni, grazie alla partecipazione a Shark Tank, hanno fatto di questa realtà agricola un modello a cui guardare. Seguendo un motto che, più che uno slogan, ha il sapore di una regola di vita: “Eat better, not less”. Perché si può mangiare meglio. Si può mangiare con la consapevolezza di chi sa che mettere qualcosa in bocca può cambiare la vita propria e quella degli altri. “Può, un batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”, si chiedeva Edward Lorenz nel 1972.
Il cosiddetto “effetto farfalla”, ispirato dai di Ray Bradbury, ma anticipato nel 1950 da Alan Touring nel saggio dal titolo “Macchine calcolatrici e intelligenza”*, spiega in maniera inequivocabile il principio di causa effetto tra ogni nostra azione e le sue conseguenze più prossime. O quelle più lontane nel tempo. Anche il mangiare quindi, impone delle scelte: scelte di cibo, di qualità, di provenienza. Scelte di metodi di coltivazione, di storia legata al cibo, di salvaguardia di un ecosistema. A volte, come in questo caso, scelte di un sogno nato per scherzo tra i banchi di scuola, la migliore testimonianza del lascito che il sistema educativo può cedere ad un individuo.
Ma soprattutto di come si può vivere di agricoltura e ancor meglio di agricoltura sostenibile. In un Paese, il nostro, in cui fare agricoltura significa rievocare le radici più profonde del nostro retaggio culturale. Di quella Cultura con la C maiuscola, che nulla ha a che vedere con il nozionismo da automi programmati.
di Tamara Gori
* (“Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo a causa di una valanga, o la sua salvezza”. da -Macchine calcolatrici e intelligenza- di Alan Touring, 1950)
Foto di copertina: blog.webeers
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