Diceva Tucidide, il famoso condottiero e storico greco del V secolo avanti Cristo, che i popoli del mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie quando iniziarono a coltivare la vite e l’olivo. Non poteva certo conoscere tutte le proprietà e le virtù di questo prodotto e tuttavia ne aveva intuito l’importanza, sia per l’alimentazione che per la salute scoprendo la relazione tra olio e malattie degenerative.
Le proprietà organolettiche, la bontà e l’utilità dell’olio in cucina sono note. Non tutti sanno però che l’olio extra vergine di oliva ha sull’organismo notevoli e vari effetti benefici, questo grazie all’alto contenuto in acidi grassi monoinsaturi (Acido oleico), polinsaturi (Acido linoleico) e sostanze antiossidanti come i polifenoli e i tocoferoli.
Sistema cardio circolatorio: L’olio d’oliva interviene diminuendo il livello di colesterolo totale e, contemporaneamente, innalzando il livello del colesterolo HDL ossia quello “buono” in grado di “spazzare le arterie” dalle placche di colesterolo LDL accumulatesi.
Sistema scheletrico: L’olio d’oliva, favorendo il sistema di fissazione del calcio, è indicato per lo sviluppo del sistema scheletrico nei bambini e per rallentare i processi di decalcificazione e di indebolimento delle ossa nelle persone anziane. Per lo stesso motivo, inoltre, riveste un ruolo di primaria importanza per le madri in allattamento e in gestazione che abbisognano di molto calcio per svolgere questi delicati compiti.
Non poteva certo mancare il Sistema nervoso, quindi il cervello con tutte le sue funzioni.
Per comprendere meglio come l’olio di oliva possa influenzare positivamente le funzioni cerebrali dobbiamo da una parte tener presenti quali sono le sostanze contenute nell’olio che tornano utili a questo scopo e dall’altra conoscere un po’ più da vicino la conformazione e la struttura del cervello e la sua evoluzione nel corso del tempo
Teniamo presente che l’origine della vita sulla terra è avvenuta circa 3,8 miliardi di anni fa, quando ebbe modo di formarsi la prima molecola organica , chiamata dagli scienziati con l’acronimo “Luca” (Last Universal Common Ancestor)
Due miliardi e mezzo di anni fa si formarono le prime cellule . Un miliardo e mezzo di anni fa comparvero le prime forme viventi elementari. 400 milioni di anni fa i rettili e gli anfibi.
300 milioni di anni fa si forma il primo neurone (per la prima volta un calamaro, anziché avere centri nervosi sparsi su tutto il corpo, possedette un unico neurone centrale)
Il nostro cervello rappresenta il prodotto della stratificazione dei tre tipi di cervello apparsi nel corso della trasformazione evolutiva .
Il cervello più antico , detto anche rettiliano perché comune a gli esseri viventi più antichi e primitivi , specializzato nel controllo delle funzioni automatiche quale il respiro e il battito cardiaco , è identificato nel tronco encefalico , la parte allungata del midollo spinale e risale a circa 300 milioni di anni fa.
Successivamente , nel giro di circa altri 100 milioni di anni , si è sviluppato il cosidetto lobo limbico , o cervello emozionale , deputato alla riproduzione e alle risposte di difesa automatica all’ambiente , quindi alla sopravvivenza della specie.
L’ultimo stato della evoluzione è rappresentato dalla corteccia cerebrale , che ha permesso all’uomo il salto qualitativo dell’autocoscienza : ” Cogito ergo sum”
La storia dell’”uomo” inizia circa 70 milioni di anni fa, con l’evoluzione di vari gruppi di scimmie dalle quali derivarono i primi ominoidi e successivamente il primo ominide
L’evoluzione culturale prosegue successivamente con l’Homo sapiens di Neandertal (90.000 a. C.), poi con il definitivo Homo sapiens sapiens di Cro Magnon (40.000 a. C.).
La prima tappa evolutiva del cervello umano è stata quella di aumentare il numero di neuroni, la seconda di accrescere i contatti interneuronali, la terza quella della specializzazione del cervello in aree funzionali, le quali contraddistinguono le varie attività cerebrali.
Il cervello è quindi l’organo preposto al controllo ed alla coordinazione di tutte le funzioni organiche. Purtroppo, come vedremo, indipendentemente dalla nostra volontà, il cervello può “ammalarsi e non funzionare più bene”.
Il neurone è l’unità di base del sistema nervoso, una cellula altamente differenziata e specializzata per la raccolta, l’integrazione e la conduzione di impulsi nervosi. Dal corpo cellulare del neurone si diramano due tipi di fibre nervose, un assone e numerosi dendriti. L’assone è preposto alla conduzione dei messaggi che da un neurone vengono inviati ad altre cellule. I dentriti, al contrario, trasmettono al corpo cellulare del neurone i segnali nervosi provenienti da altri neuroni.
La sinapsi è la giunzione tra due neuroni specializzata nella trasmissione dell’impulso nervoso. Tra due neuroni si frappone la cosiddetta fessura sinaptica. In questo spazio, attraverso l’intervento di sostanze chimiche neurotrasmettitori, si realizza la comunicazione tra cellule nervose.
L’uomo alla nascita ha nel cervello circa 100 miliardi di neuroni ma sono tutti vuoti, infatti mancano le esperienze, le informazioni, il deposito di queste, e mancano innanzitutto le connessioni tra loro. Queste connessioni i neuroni iniziano a costruirle dal primo istante di vita. Il cervello del neonato pesa circa 400 grammi e raggiunge i 1000 grammi al primo anno di vita. La crescita continua poi fino alla prima adolescenza, quando raggiunge il peso medio adulto (1230 -1275 per le femmine e 1350-1410 per i maschi). A partire dai 25 anni costantemente muore ogni anno circa l’1% del totale dei neuroni. Spetta solo a noi movimentare le informazioni acquisite, trasferendole nei miliardi di neuroni che non abbiamo mai utilizzati.
Con le informazioni nascono le ramificazioni neurali, con gli impulsi che vanno dalla periferia al centro, che fa le associazioni, poi le comparazioni di quanto immagazzinato, e quindi fornisce le risposte con altri impulsi, in base alle esperienze negative o positive già fatte.
La parte anatomica del neurone che ci interessa più da vicino è la membrana cellulare. La membrana è un sottile rivestimento che delimita la cellula, la separa con l’ambiente esterno e ne regola gli scambi con questo. E’ formata in prevalenza da lipidi e più precisamente fosfolipidi, che costituiscono per 1/3 la composizione delle membrane delle cellule nervose e sono quindi i mattoni dell’edificio cerebrale. Se mancano o non sono quelli adatti, i messaggi tra una cellula e l’altra non passano normalmente, le membrane diventano più sensibili alle sostanze tossiche e muoiono più rapidamente.
E’ accertato che l’olio d’oliva ha un benefico influsso sullo sviluppo del sistema nervoso e del cervello, in particolar modo nelle primissime fasi dell’infanzia. In età senile, invece, previene l’insorgenza di malattie legate al rallentamento ed al deterioramento delle funzioni cerebrali.
Un lavoro di Francesco Sofi, nutrizionista dell’Università di Firenze, dopo aver analizzato diversi studi pubblicati negli anni sul British Medical Journal, arriva alla conclusione che la dieta mediterranea, di cui una parte essenziale è data dall’olio di oliva, è in grado di ridurre del 13 per cento l’incidenza di malattie come Parkinson e Alzheimer.
Gli effetti benefici dell’olio di oliva sulla salute sono prevalentemente dovuti all’azione antiossidante di alcuni suoi costituenti come gli acidi grassi monoinsaturi, in prevalenza l’acido oleico, presenti in alte concentrazioni, il tocoferolo (vitamina E), e i composti polifenolici. Gli antiossidanti si legano a molecole altamente instabili che si formano nel corso del metabolismo cellulare dell’ossigeno, i cosiddetti radicali liberi. I radicali liberi sono dei prodotti di scarto della respirazione cellulare e derivano quindi dall’ossigeno. Se prodotti in larghe dosi, o lasciati accumulare, si legano con componenti essenziali della cellula nervosa, ne alterano la struttura e ne favoriscono la degenerazione.
I tessuti cellulari del sistema nervoso centrale sono particolarmente sensibili all’azione dannosa dei radicali liberi per molteplici ragioni. Il cervello, infatti, utilizza circa un quinto della domanda totale di ossigeno del corpo, e in proporzione sviluppa una maggior quantità di radicali liberi. Inoltre, il tessuto cerebrale contiene un’altissima quantità di lipidi polinsaturi, il substrato più esposto al danno ossidativo.
Ma soprattutto le cellule neuronali non sono particolarmente ricche di quegli enzimi che compongono la barriera di difesa antiossidante, nè di altre sostanze come la vitamina E che fungono da “spazzini naturali” contro i radicali liberi.
Ecco perché una dieta equilibrata che contenga fra l’altro una giusta quantità di olio di oliva, aiuta a preservare la salute ed in particolare la funzione cerebrale.
Recentemente uno studio epidemiologico-clinico nazionale denominato Italian Longitudinal Study on Aging (ILSA) ha dimostrato che l’assunzione quotidiana di olio di oliva rappresenta un fattore protettivo nel contrastare il cosidetto declino cognitivo che interessa le persone ultrasessantacinquenni, con compromissione quindi di varie funzioni quali memoria ed apprendimento, attenzione e concentrazione, ragionamento e capacità di pensiero astratto, linguaggio compreso ed espresso, per una durata superiore a sei mesi consecutivi.
Lo stress ossidativo, definito classicamente come l’effetto finale dello squilibrio fra produzione ed eliminazione di specie chimiche ossidanti, costituisce, come detto, uno dei fattori di rischio emergenti per la salute. Ad esso, infatti, risultano associati non solo l’invecchiamento precoce, ma una serie di quadri morbosi, spesso di natura degenerativa e ad andamento cronico.
In particolare, il Sistema Nervoso Centrale rappresenta, per le ragioni prima esposte (elevato consumo di ossigeno, alti livelli di ferro, concentrazione significativa di acidi grassi polinsaturi, etc.) uno dei principali bersagli dello stress ossidativo che, a ragione, viene oggi considerato uno dei principali cofattori di malattie neurodegenerative (malattia di Parkinson, malattia di Alzheimer, etc.). Se prendiamo in considerazione la malattia di Alzheimer è interessante sapere che uno studio di ricercatori americani dell’Università di Chicago ha scoperto che un composto dell’olio di oliva, l’oleocantale protegge contro la demenza di Alzheimer alterando la struttura delle proteine neurotossiche che si ritengono contribuiscano agli effetti debilitanti di questa malattia.
Uno studio, pubblicato nel 2013 da ricercatori della University of Louisiana di Monroe, ha concluso che elevate quantità di oleocantale diminuiscono l’accumulo di amiloide-beta nel cervello, una delle principali caratteristiche della malattia di Alzheimer.
La malattia di Alzheimer, il cui nome deriva da Alois Alzheimer, il medico che attorno al 1910 diede nome a questa forma di declino cognitivo da lui studiato, è la più comune causa di demenza. Tra il 50 e il 70% delle persone affette da demenza soffrono di malattia di Alzheimer. Si tratta di un processo degenerativo cerebrale che provoca un declino progressivo e globale delle funzioni intellettive associato ad un deterioramento della personalità e della vita di relazione. La malattia di Alzheimer colpisce circa il 5% delle persone con 60 o più anni: in Italia si stimano oltre 500.000 ammalati.
La malattia di Parkinson è presente in tutto il mondo ed in tutti i gruppi etnici. Il nome deriva dagli studi del dr. James Parkinson che attorno al 1917 descrisse il quadro sindromico chiamandolo «paralisi agitante». Quaranta anni dopo, Charcot descrisse di nuovo questa condizione clinica, chiamandola “malattia di Parkinson”. Si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza, forse, in quello maschile. L’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5% dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 ed i 40 anni. Prima dei 20 anni è estremamente rara. Sopra i 60 anni colpisce 1-2% della popolazione, mentre la percentuale sale al 3-5% quando l’età è superiore agli 85. Le strutture coinvolte nella malattia di Parkinson si trovano in aree profonde del cervello, note come gangli della base (nuclei caudato, putamen e pallido), che partecipano alla corretta esecuzione dei movimenti (ma non solo).
La malattia di Parkinson si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala consistentemente. I livelli ridotti di dopamina sono dovuti alla degenerazione di neuroni, in un’area chiamata Sostanza Nera (la perdita cellulare è di oltre il 60% all’esordio dei sintomi). Anche per quanto riguarda il Parkinson esistono alcuni studi che dimostrano come alcune sostanze contenute nell’olio di oliva riducono il rischio di ammalarsi di questa malattia. In particolare medici canadesi hanno esaminato otto studi pubblicati nella letteratura medica mondiale fra il 1966 e il marzo 2005, per valutare la possibilità, o meno, che una dieta ricca di vitamina C, vitamina E e beta-carotene (pro-vitamina A) riducano il rischio di ammalarsi di Parkinson. Ne è risultato che l’assunzione di vitamina E svolge un’azione preventiva nei confronti del Parkinson.
La SLA, Sclerosi laterale amiotrofica, conosciuta anche come “malattia dei motoneuroni”, “malattia di Lou Gehrig” (dal nome del giocatore di baseball la cui malattia nel 1939 fu portata all’attenzione pubblica) o “malattia di Charcot” (dal cognome del neurologo francese che per la prima volta descrisse questa patologia nel 1860), è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, ovvero le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale in grado di regolare l’attività di contrazione dei muscoli volontari.
La SLA è una patologia rara (incidenza: 1-3 casi ogni 100.000 individui all’anno) e, nella quasi totalità dei casi, sporadica (le forme familiari sono circa il 10% del totale dei pazienti). Verosimilmente si tratta di una malattia ad origine multifattoriale; attualmente le ipotesi più accreditate per spiegare la degenerazione neuronale sono due: un danno di tipo eccitotossico, dovuto ad un eccesso di Glutammato, e un danno di tipo ossidativo, dovuto ad uno squilibrio tra sostanze ossidanti e sostanze riducenti nel microambiente che circonda i motoneuroni colpiti.
Fondamentalmente la causa della SLA è ignota. Un importante passo avanti verso una risposta della questione risale al 1993, quando alcuni scienziati scoprirono che mutazioni nel gene che produce la superossido dismutasi (nota anche come SOD1) erano associate con la SLA familiare. Questo enzima è un potente antiossidante che protegge il corpo dai danni causati dal superossido, un radicale tossico.
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