La polenta, dal paiolo di rame e al bastone di nocciolo alla pentola a pressione
Un po’ di storia
Erano romani i “mangiatori di polenta”, chiamati “pultiferi”, il cui termine deriva dal latino puls, Questo a significare quanto la pietanza fosse comune a quei tempi. Piatto forte, ricavato dalla farina di farro, faceva parte dell’alimentazione delle popolazioni antiche, soprattutto di origine contadina.
Per trovare le prime tracce della polenta dobbiamo risalire a uno dei primi cibi impastati nell’antichità, entrati a pieno titolo a far parte della tradizione culinaria, arricchendosi nel tempo di nuovi ingredienti e nuove lavorazioni. Furono le popolazioni assiri e babilonesi, e gli antichi egizi e i greci i primi a coltivare la pianta di mais. Per rintracciare indizi, dobbiamo riandare in antichi reperti archeologici.
Un impasto di fave e panico, devoluto come pietanza ai poveri, appare a Lucca in una documentazione datata 765 d.C.
Ancora oggi troviamo in alcune regioni del Sud Italia, la polenta a base di fave, che accompagna verdure, e tra queste prevale la cicoria.
Nel tempo la farina di mais venne abbinato ad altre farine ricavate da ingredienti di valore inferiore non utilizzabili nella panificazione e che, insieme ai fagioli essiccati e ridotti in farina, venivano utilizzati per realizzare quel piatto presente sulla tavola di tutti giorni, a garantire la sopravvivenza. Nel Medioevo si affacciarono le fave, pestate nel mortaio e sminuzzate, cotte con olio, cipolla, salvia, o fichi, o miele.
Ancora nel Medioevo, alla farina di mais, si affiancò, soprattutto presso gli abitanti di montagna e collina, una polenta più dolce ottenuta, dopo aver essiccato le castagne nei seccatoi, un composto di farina e acqua posta nel paiolo a cuocere, rimestando in continuazione fino alla cottura.
Nei secoli antecedenti la scoperta dell’America, i greci impiegavano l’orzo, altre popolazioni orzo e farro, segale, miglio, grano saraceno e, in minor uso, il frumento.
Nelle nostre regioni bisogna arrivare a Cristoforo Colombo e all’introduzione in Italia del mais, intorno al 1600, per avere in tavola l’ingrediente base per la realizzazione della polenta, che troviamo nei documenti datati 1630 relativi alla carestia di Venezia.
Di facile preparazione, era sufficiente un paiolo di rame e un bastone di nocciolo, donava sazietà e risolveva il problema dell’alimentazione quotidiana, in particolare presso i contadini, per vincere la fame. All’inizio viene utilizzato come cibo per gli animali, successivamente trova spazio in cucina per preparare la polenta.
La polenta la rintracciamo nei secoli non solo presso le classi più povere, ma anche tra i benestanti ed è tra loro che nascono piatti documentati e diffusi nella tradizione culinaria italiana.
La polenta di mais condusse la classe più povera a un’alimentazione unica, radice di più epidemie, nell’Ottocento, di pellagra, dovuta a carenza alimentare, soprattutto in Veneto, Emilia e Lombardia
Il mais fa parte della famiglia delle graminacee, cresce in pannocchie, necessita di abbondante acqua e possiede più varietà di colori, la coltivazione è notevole al nord. Le specie coltivate possono raggiungere l’altezza di e metri e ½, mentre le varietà selvatiche possono raggiungere fino ai 12 metri.
E’ una malattia causata da carenza di vitamina PP (acido triptofano) e triptofano.
Reca disturbi all’apparato digerente
Porta al cretinismo e a disturbi psichici. In casi estremi, può portare alla follia e alla morte.
La luce solare favorisce i disturbi alla pelle. E’ causa di un eritema rosso cupo, con gravi eruzioni sulla pelle, nelle parti scoperte più a repentaglio: viso, mani, avambraccio, collo.
La popolazione contadina a rischio fa nascere un movimento di migrazione verso altre zone.
In Toscana viene combattuta mettendo a contatto con la polenta i cavoli, ricchi di vitamine.
La prima apparizione in Italia e in Europa della pianta in pittura risale al 1517, a Roma, nella Loggia di Amore e Psiche a Villa Farnesina.
A Firenze, a Palazzo Vecchio troviamo la pannocchia ritratta in un affresco
Pietro Longhi realizza un quadro sulla polenta nel l 1740, oggi al Museo del Settecento Veneziano a Venezia.
La polenta è in una poesia di Ugo Foscolo:
Tornava dalla fiera alla polenda
Sì come suole, il villico mercante
Nelle metamorfosi di Apuleio, il protagonista incontra un compagno di viaggio, che gli racconta:
L’altra sera, per esempio, mentre cercavo di mandar giù un boccone troppo grosso di polenta incaciata (si faceva a chi ne mangia di più) ecco che quella roba molle e glutinosa mi si attacca in gola e mi blocca il respiro, che a momenti soffoco.
Giacomo Leopardi nella Guerra dei topi e delle rane:
Rodo il più bianco pan, ch’appena cotto,Dal suo cesto, fumando, a se m’invita;Or la tortella, or la focaccia inghiottoDi granelli di sesamo condita;Or la polenta ingrassami i budelli,Or fette di prosciutto, or fegatelli. (I, strofe 11)
Carlo Goldoni ne La donna di garbo
Che diavolo è sto bodin?
L’odor l’è prezioso, el par polenta
Oh, se el fuss polenta, la saria pur una bona cossa!
Vôi sentir (tira fuori di tasca una forchetta)
No l’è polenta, ma el ghe someia. (mangia)
L’è meio della polenta (mangia).
E ancora:
Nel 1700 l’Accademia dei Polentofagi raccoglie a Pisa, noti mangiatori di polenta.
La polenta di mais ha avuto larga diffusione soprattutto nelle regioni settentrionali, in sostituzione del pane.
Piatto versatile, mescolato con sostanze aromatiche, condito o rielaborato, servito come primo piatto, come contorno, condita con sughi, di carne, funghi e formaggi, pasticciata, sulla spianatora, condita con salsicce e spuntature di maiale, intingoli di baccalà o stoccafisso. So ama farla abbrustolire o friggerla, cuocerla alla griglia, o al forno.
Per la cottura una volta veniva acceso il fuoco a legna, la farina con l’acqua salata versata nel paiolo di rame, all’interno del camino, mentre oggi possiamo usare, per velocizzare e fare meno fatica, la pentola a pressione. Se cuciniamo per quattro persone, l’acqua sarà di 1 litro per 250 grammi di farina, più il sale. Il tempo di cottura è di 20 minuti circa. Per evitare che si attacchi alla pentola, potete spennellate con l’olio le pareti.
In commercio troviamo polenta salata o dolce, a grana fine o grossa, precotta, conservata sottovuoto, o istantanea, cotta a vapore, oppure polenta di macina a pietra, da cuocere nei tempi canonici, un’ora circa. Le principali tipologie: bramata, fioretto, fumetto, biancoperla, ecc.
Le ricette tipiche: polenta con burro e formaggio, conscia, al gorgonzola, di grano saraceno, al latte, con osei,
Una cosa è certa: più la fate cuocere e più diventa digeribile.
La polenta viene cucinata e portata in tavola secondo la tradizione. Versata sulla spianatoia di legno, la massaia la taglia con spago o con il coltello di legno, affettando la massa in due, poi in quattro pezzi e infine in fette uguali. I familiari seduti intorno alla tavola aspettano il loro turno, dopo che è stato servito il capofamiglia.
Ingredienti per sei persone:
Mettere sul fuoco una pentola con l’acqua e il sale. Quando l’acqua bolle, versare con la mano sinistra la farina di mais e con la mano destra mescolare con un mestolo di legno per evitare la formazione di grumi.
Quando la polenta si stacca dalla pentola, dopo circa mezz’ora di cottura, è pronta.
Mettere le fette di polenta in una zuppiera disponendole a strati, che verranno cosparsi con olio extra vergine d’oliva, meglio se di frantoio, pepe macinato al momento e cacio pecorino grattugiato in abbondanza.
La polenta, e in particolare il cibo, si affacciano nella letteratura italiana grazie ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Non descritti ironicamente intorno ai personaggi, ma, riscoperto il rispetto, vengono trattati, come del resto tutto il cibo, seriamente all’interno del romanzo. Un affresco, con dettagli pertinenti, un quadro che disegna un’epoca di grandi contraddizioni, di povertà e ricchezza. La cucina sapientemente illustrata da un lato dal cavolo di Perpetua e dall’altro dai capponi di Renzo.
La polenta è descritta nel sesto capitolo, nella notte degli imbrogli, a casa di Tonio, dove Renzo si reca per invitarlo all’osteria. Siamo in piena carestia, la sera è quella del 9 novembre 1628:
… lo trovò in cucina, che, con un ginocchio sullo scalino del focolare, e tenendo, con una mano, l’orlo d’un paiolo, messo sulle ceneri calde, dimenava, col matterello ricurvo, una piccola polenta bigia, di gran saraceno. La madre, un fratello, la moglie di Tonio, erano a tavola; e tre o quattro ragazzetti, ritti accanto al babbo, stavano aspettando, con gli occhi fissi al paiolo, che venisse il momento di scodellare. Ma non c’era quell’allegria che la vista del desinare suol pur dare a chi se l’è meritato con la fatica…
Alessandro Manzoni
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