E’ arrivato il mese scorso come il figlio minore del best seller Masterchef. Un arredo minimalista con un lungo corridoio di stand attrezzato con una cucina tipo familiare, con il nome scritto sul frontespizio come fosse un’azienda, una saletta protetta da un vetro per i giudici (Joe e Lidia Bastianich e Antonino Cannavacciuolo) che tra una chiacchiera e l’altra guardano il popolo che si arrabatta in cucina tra un litigio, un bacio e una canzone, un montaggio con i tempi giusti, un grande cartello per farci ricordare in quale programma siamo capitati (FFF, Family Food Fight).
Un format australiano prodotto da Sky che ha debuttato da noi il 12 marzo e la prima serie è finita il 16 aprile con la proclamazione dei vincitori.
A sfidarsi ai fornelli 6 famiglie composte ciascuna da 4 membri provenienti da diverse parti d’Italia che in ogni prova devono preparare un menù a volte deciso dai giudici le cui ricette sono sul grande libro della cucina che è in ogni stand e a volte affidato alla decisione delle famiglie. Il meccanismo è quello dell’eliminazione per arrivare al finale con 2 famiglie che lottano per il premio molto importante di Euro centomila. E scusate se è poco!
Fin qui tutto come al solito. Ma la chiave vincente è da un lato la simpatia delle famiglie che restituisce momenti di totale allegria e dall’altro l’ironia dei giudici con Joe e Antonino che si sfidano a pronunciare correttamente l’uno il napoletano l’altro l’americano mentre con calma serafica e un sorriso coinvolgente Lidia riesce a tenerli a bada. C’è la gara ma non c’è la tensione e la pressione di altri show cooking dove i concorrenti sono spesso soli contro tutti, si costruiscono strategie, si sviluppano alleanze ma anche guerre sotterranee, i giudici recitano spesso la parte dei cattivi, il pubblico si affeziona e si disaffeziona a seconda delle serate. Insomma molti sono ansiogeni mentre la cucina è gioia, divertimento, allegria.
In FFF il clima è quello che si determina in casa quando si prepara il pranzo della domenica o la cena di Natale e tutti vogliono mettere bocca sul menù, sugli ingredienti, sui tempi di cottura… come accade spesso nelle nostre cucine.
Una piacevole sorpresa anche se varrebbe la pena studiare una app che ci restituisca i profumi di questi piatti squisiti anche se a volte i giudici li definiscono sbagliati: manca questo, manca quello, troppo sale, troppo crudi, etc. ma sempre con toni bonari.
Mentre la gara andava avanti ho preparato…
Nelle case napoletane, fino ad una ventina di anni fa, era uso fare i maccheroni al forno in un ruoto ( teglia) di alluminio che è come una padella senza manico con un diametro di circa 30cm ed un’altezza di circa 8/10cm, rigorosamente senza buco! Oggi spesso si utilizza anche la pirofila rettangolare anche più elegante da portare a tavola. Non è facile trovare oggi il ruoto, è più facile trovarlo più basso per la pastiera, quello più alto ma con il buco che si usa per il babà.
E’ il piatto tipico della domenica, un po’ abbrustolito e riposato. Lo si prepara un po’ alla volta cominciando il sabato nei ritagli di tempo. Così il sugo lo si prepara e lo si lascia cuocere di solito per il tempo che passa per pranzare così poi si spegne e si lascia raffreddare piano piano non senza aver prima intinto una mollica di pane per controllare che il sapore sia giusto. E’ questa una vecchia abitudine di quando ero piccola e arrivavo con difficoltà alla pentola. Me lo aveva insegnato Vincenza, la cuoca di casa. Era brutta con la voce gutturale e gli occhiali ma molto coccolosa con me. Devo dire che sarà l’idea della trasgressione che mi è rimasta ma ancora oggi mangerei pane e sugo! (alternando con pane e olio la conquista dell’età matura!) Da piccola facevo merenda con pane e zucchero o con lo zucchero caramellato molto scuro che avevo imparato a farmi da sola.
Il fiordilatte si taglia la sera e lo si lascia in frigo. Il resto si prepara la domenica mattina presto mentre tutti in casa ancora dormono ed io mi faccio il caffè mentre bolle l’acqua per la pasta.
Procedo con il sugo. E’ importante che il pezzo di carne che si sceglie sia sugoso e compatto. Lo lascio per qualche oretta in frigo con sale e pepe a macerare. In una casseruola metto 3 cucchiai di Tuscus Dop Tuscia, l’olio extravergine d’oliva che preferisco per fare il sugo perché si sposa benissimo con i pomodori. Aggiungo una noce di sugna (o strutto in italiano) con sedano, carote, cipolle, lardo, tritati tutti insieme. Comincio a far rosolare a fuoco lento, poi metto la carne e lascio cuocere fino a che la rosolatura arriva al punto. Aggiungo un bicchiere di vino rosso, alzo il fuoco e faccio evaporare. Abbasso di nuovo la fiamma e aggiungo i pomodori, metà passati e metà schiacciati con la forchetta, senza semi, senza buccia e senza liquido, che però tengo da parte. Prima dei pomodori, si può anche mettere un po’di concentrato di pomodoro. Metto il coperchio lasciando la cucchiaia a fare da spiffero, e lo dimentico sul fuoco, girando solo di tanto in tanto. Dopo un paio d’ore levo la carne che sarà ben sfruttata. Fondamentale è l’assaggio sia per il sale che per il sapore. Se non è scuro e non è saporito continuo a tenerlo sul fuoco molto basso per il tempo che ritengo necessario.
Metto a cuocere i mezzani (candele spezzate a mano o più comodamente sedani lisci) e li scolo molto al dente ( a metà cottura) . Li condisco con il sugo e il parmigiano in modo però che non si addensino e li lascio raffreddare e insaporire. Se sono troppo addensati aggiungo un cucchiaio di acqua dei pomodori che ho tenuto da parte. Sul fondo del ruoto metto un paio di mestoli di sugo ben stesi, metto metà della pasta, stendo la ricotta e il fiordilatte tagliato a fettine sottili e tenuto in frigo per una notte. Spargo un po’ di sugo. Copro con il resto della pasta, stendo il sugo e il parmigiano. Inforno nel forno ben caldo per una mezz’ora/ tre quarti d’ora facendo attenzione che alla vista non sia asciutta ma lasciando che faccia la crosticina.
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