Davanti al bancone della frutta e della verdura anche l’occhio vuole la sua parte. Lo sa bene la grande distribuzione organizzata che mette in vendita solo prodotti esteticamente perfetti. Eppure questa prassi sta mettendo in ginocchio il settore, che non riesce più a produrli a causa dei cambiamenti climatici che ne modificano sempre più spesso forma e dimensioni. Con il rapporto “Siamo alla frutta”, Terra! denuncia l’insostenibilità dei meccanismi normativi e delle pratiche della grande distribuzione, che portano nelle nostre case prodotti sempre più standardizzati, e rivolge alle istituzioni e alla Gdo la richiesta di intervenire con modifiche urgenti.
Secondo l’Ong: “La grande distribuzione organizzata, l’Unione Europea e la miopia delle istituzioni nazionali influenzano le nostre abitudini alimentari attraverso scelte di mercato e rigide norme. E mentre lo fanno, firmano la condanna a morte dell’intero comparto agricolo, già alle prese con il cambiamento climatico, causando la perdita di migliaia di ettari di terre coltivate”. Si va dalla produzione di pere in Emilia-Romagna, che negli ultimi 15 anni ha visto calare le superfici di 6.000 ettari, alle arance di Sicilia, coltivate oggi su appena 82.000 ettari rispetto ai 107.000 di vent’anni fa. E poi il kiwi, la cui produzione a livello nazionale ha registrato dal 2014 al 2019 un calo di quasi 100.000 tonnellate, a causa di una malattia che sembra propagarsi, secondo alcuni studi, proprio per l’aumento delle temperature. Il rapporto, scritto da Fabio Ciconte, Direttore dell’associazione Terra!, e dal giornalista Stefano Liberti, è frutto di un’inchiesta sul campo che analizza gli impatti sull’agricoltura della tendenza a commercializzare prodotti esteticamente perfetti, selezionati geneticamente, coltivati, raccolti, passati al vaglio delle macchine calibratrici. E lo fa soffermandosi su quattro frutti simbolo della crisi che sta vivendo il comparto in Italia: le pere, le arance, i kiwi e le mele. Attraverso un’analisi comparativa di queste filiere, “Siamo alla frutta” fa emergere le principali problematiche e indica alcune proposte politiche a tutti gli attori coinvolti.
La frutta che vediamo sugli scaffali risponde a rigidi standard e a norme europee di commercializzazione. A stabilire la “selezione all’ingresso” sul mercato di frutta e verdura, con disposizioni generali e specifiche, è il Regolamento UE 543/2011, poi modificato dal 428/2019. Fino al 2008, la norma stabiliva finanche la curvatura massima di cetrioli e carote, intervenendo su 26 prodotti ortofrutticoli. Oggi vale solo per 10 di essi, tra i quali quelli analizzati nel rapporto. Se l’impianto generale del Regolamento impone che i prodotti siano interi, sani, puliti, privi di parassiti- agendo sulla tutela della salute dei consumatori e sulla commerciabilità- quello specifico agisce perfino sulla colorazione della buccia, sul calibro (il diametro) e sull’omogeneità dell’imballaggio, privilegiando l’attenzione alla forma estetica.
A livello europeo è in corso la revisione delle norme sulla commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli, un’opportunità per mettere fine all’eccesso di regolamentazione che impedisce margini di manovra ai produttori, esposti alla crescente variabilità del clima. Ma anche la politica nazionale può adoperarsi per incentivare la commercializzazione di una quota maggiore di prodotti fuori calibro. Infine, la grande distribuzione dovrebbe cambiare le sue politiche di acquisto e prendere un serio impegno per aiutare l’agricoltura in tempi di crisi climatica. Acquistando frutta fresca con lievi imperfezioni senza abbattere i prezzi, potrebbe tamponare la crisi economica del comparto, offrire prodotti comunque di qualità ai consumatori e fare una vera operazione culturale.
P.S. I consumi annui del gasolio in Italia sono il triplo della benzina. Ma cosa finisce nei serbatoi delle nostre auto diesel? Il Salvagente ha fatto un test in tre zone diverse del paese – Torino, Roma e Napoli – su 30 campioni di diesel e li hanno fatti analizzare nel Laboratorio chimico dell’Agenzia delle Dogane di Roma. I risultati sono pubblicati nel nuovo numero in edicola del mensile il Salvagente e sono tutt’altro che scontati. Il settore è imperversato da frodi fiscali – la stima sull’evasione dell’Iva legata al commercio illegale dei carburanti è di 10-12 miliardi di euro l’anno e dal contrabbando di gasolio proveniente dall’Est Europa ma anche dal Nord Africa.
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