Tour gastronomico Palermo: Seconda puntata.
Alcuni dicono che mangiare è un atto agricolo. Secondo me mangiare è un atto politico. E non mi riferisco di certo all’accezione di politica che attiene ai circoli affaristici che si rifugiano nei palazzi che contano. Il senso politico a cui faccio riferimento è quello alto e filosofico che gli antichi Greci concedevano alla parola: l’indissolubile legame etico che c’è tra azione individuale e un ideale senso di giustizia per la comunità. Piazza Magione a Palermo è un luogo della memoria, quella più lontana e anche quella più prossima al nuovo secolo.
Nella ristrutturazione della piazza, in fondo al prato dove ora si girano video musicali e film sull’integrazione per le disabilità, rimangono ancora intatte le macerie a memoria della Seconda Guerra Mondiale; bombardamenti inutili su una città che non ha mai ospitato arsenali militari; bombardamenti vissuti come sfregio alla bellezza e alla tenacia isolana, i cui resti hanno ora il compito di non far dimenticare il passato. Ma in tempi molto più vicini a noi e forse anche come conseguenza indiretta di quella destabilizzazione, nel cuore della Kalsa ci si osteggiava nelle guerre di mafia, si sparava per la supremazia di una famiglia sull’altra; i picciotti si addestravano a diventare padrini, contendendosi il controllo del traffico di droga in città.
Poi le cose sono cambiate: il tessuto migliore di Palermo ha caparbiamente riconquistato il possesso degli spazi urbani, la normalità di una vita fatta di piccole cose. Alcuni hanno azzardato l’apertura di ristoranti e di attività, tacciati di pazzia pura. Ma era la loro scommessa sul futuro e l’hanno vinta. Oggi la Kalsa è uno dei quartieri più caratteristici di Palermo, fatto di giovani, di movida, concerti e locali. Qui si respira un’aria diversa, d’altri tempi, fatta di una cavalleria a volte manieristica, ma mai leziosa o fuori luogo. Allo stesso tempo però lo sguardo volge al di là da venire, verso un futuro fatto di agricoltura. Lo racconta molto bene Eugenio Randi, co-fondatore di Ciccio Passami l’Olio, storica pizzeria di qualità nella Kalsa palermitana.
Lui è uno di quei folli che, abbandonata la politica dei palazzi, è tornato alla passione della sua vita: l’amore per la terra. In qualche modo, e lo testimonia ciò che racconta, lui oggi continua a fare politica. “Su questa piazza siamo gli unici ad aderire all’associazione “Addio Pizzo”. Vuol dire che c’è ancora molto da lavorare, ma questa è la strada giusta. D’altronde su questa piazza è nato Falcone e nella via parallela, guardando verso il mare, è nato Borsellino: amici fin dall’infanzia. Quando decidemmo di aprire qui il nostro locale tutti dissero che eravamo pazzi! Oggi il tempo ci ha dato ragione di una lotta che la società civile deve intraprendere in prima persona, anche attraverso le azioni quotidiane”.
Parlare con Eugenio Randi è un po’ cavalcare lungo i viali della storia di questa città, attraverso i meandri dei suoi problemi e delle sue difficoltà a risolverli; che poi sono le stesse difficoltà di gattopardiana dimensione che attanagliano l’intera penisola. Le scelte di Ciccio Passami l’Olio non sono per niente scontate, a partire dal nome: “Passare l’olio è un atto semplice e quotidiano, che rivela per intero la convivialità del ritrovarsi a tavola, ma anche l’essenzialità di alcuni ingredienti che sono alla base della nostra cucina. È l’emblema della mediterraneità che vogliamo raccontare nei nostri piatti: il mangiare bene passa attraverso ingredienti eccelsi”. Per questo qui la pizza è a lievito madre, con lievitazione lunga anche tre giorni. I grani utilizzati sono grani siciliani di qualità, primo fra tutti il Timilia, ma in dialetto è assolutamente Tumminia! Grano antico fra le sette varietà siciliane recuperate dopo un’attenta azione di ricerca, tra archivi storici e sementi spuntate casualmente tra una zolla e l’altra di una terra rigogliosa da sempre.
La farina di Tumminia è integrale e biologica, difficile da lavorare da sola e per questo aggiunta a quella di Roccella, altra varietà nobile di Sicilia. “La selezione degli ingredienti è da sempre stato il mio cruccio; volevo che mangiare pizza non fosse sinonimo di mangiare qualità infima. Allora ho selezionato tutto: l’olio è il nostro olio EVO; arriva dagli oliveti di famiglia a varietà Biancolilla e Nocellara e lo ritrovi in tutti gli impasti, non solo come condimento. Il pomodoro è il Siccagno; da noi si chiama così perché è in grado di crescere anche in terre molto aride e necessita di soli 50 litri di acqua nell’intero ciclo vegetativo. È il datterino siciliano, succoso, saporito e racchiude tutta l’essenza di questa terra; certo, più costoso del Sammarzano, ma a noi va bene così”. Tortino di melanzane con basilico, menta e caciocavallo siciliano, ricoperto con pomodoro fresco.
Pizza con farina integrale Tumminia, granella di pistacchi di Bronte, pomodoro Siccagno fresco e mozzarella di Bufala di Padula (SA). Donzelle fritte, pizzette tipiche farcite con acciughe, menta e pomodorini dolci o in mille altri modi. La cassata siciliana come era una volta, antica ricetta di famiglia. Insomma, mangiare è atto agricolo o politico? Dubbio amletico o di amletica soluzione; ma mangiare così va bene anche a noi!
di Tamara Gori
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