Giorgio Barchiesi detto Giorgione. Non certo per analogia con il grande pittore (consiglio una visita alla reggia di Capodimonte a Napoli per ammirare alcuni dei suoi quadri) quanto per la sua stazza. Ultimamente mi pare un po’ dimagrito: saranno le sue passeggiate in Orto e Cucina?
Giorgione ha il dono della simpatia, un linguaggio diretto e un continuo ammiccamento a quello che cucina. Ha sempre l’aria di fare una cosa per la prima volta, come se ne scoprisse il gusto con chi lo guarda. Ti fa venire voglia di rifare le sue ricette che sembrano sempre molto semplici ma, dalle sue espressioni mentre assaggia tutti i passaggi, molto gustose. Non ha trucchi né segreti nascosti, è un cucinare tutto davanti a te raccontando tutti i passaggi come quando mette “ un pizzico di sale” e ne vedi il pizzico o “qualche goccia d’olio” e vedi l’olio scendere dolcemente dalla bottiglia. Con i sapori e i condimenti non ci va leggero. Mentre i suoi piatti prendono forma ti viene di pensare “ deve essere buonissimo” sorridendo di fronte a tanta abbondanza.
L’ho conosciuto a Lucca durante una manifestazione sull’olio. Abbiamo preso un aperitivo in piazza, faceva molto freddo, aveva il suo cappello e una calda mantella nera. Mangiava con goduria le patatine e le olive e solo a vederlo ti invogliava a farlo senza pudore, con semplicità e tanta tanta simpatia. Un bel vocione caldo e un sorriso contagioso. Mi è sembrata una bella persona.
Sulla genovese si raccontano tante storie e tante legende. Qualcuno sostiene che è una salsa inventata dagli immigrati genovesi che si erano trasferiti a Napoli nel seicento. Comunque sia la sua origine una cosa è certa: è sconosciuta a Genova! Un po’ come l’insalata russa che chiesi in un ristorante di Mosca e il cameriere (un bel ragazzo siberiano) non capì. L’amico russo che era con noi e parlava italiano mi chiese cos’era e si fece una risata perché in Russia non l’aveva mai sentita né mangiata. Avevo letto una volta che era una ricetta di un cuoco francese, Olivier, che la preparava all’Hermitage a San Pietroburgo e allora gli chiesi l’insalata Olivier! Mi arrivò un piatto strano, tutto bianco e dal sapore curioso: niente a che fare con l’insalata russa che si fa a Napoli per Natale!
La genovese è un piatto unico perché con il sugo si condiscono gli ziti rigorosamente spezzati a mano e la carne è un ottimo secondo specialmente se accompagnata dalla purea di patate.
E’ una preparazione un po’ lunga e conviene stare nei dintorni della cucina per controllarla continuamente. Io comincio la mattina di buon’ora e avviata la preparazione leggo il giornale e mi faccio un buon caffè. Poi esco a fumare una sigaretta e metto in ordine mentalmente i programma della giornata. In cucina ho sempre un blocchetto per scrivere le cose da fare, la spesa, le telefonate e così via. Senza distrarsi troppo però, la cucina ha costante bisogno di attenzione specialmente per i piatti lunghi e complessi.
La scelta della carne è importante: io mi faccio preparare il primo taglio di manzo, lo faccio pulire e legare molto stretto, lo avvolgo con il Fiore di sale e con il pepe nero macinato fresco lo massaggio con qualche goccia di Tuscus Classic che penetrando nella carne gli conferisce un bellissimo profumo e lo lascio riposare una notte in frigo.
Al mattino presto preparo un trito di carote, sedano, lardo, salame, prosciutto crudo.
Metto le cipolle rosate sotto l’acqua del lavandino (in modo da non piangere) le sbuccio e le taglio a fettine sottili. Un po’ si piange ma le lacrime, diceva nonna Emma, fanno belli gli occhi!
Quando ho preparato tutti gli ingredienti li metto in una casseruola un po’ alta con il concentrato di pomodoro, il burro, la sugna e 3 cucchiai di Tuscus Classic. Appena diventa rosato metto la carne con il sugo che si è formato mentre è in frigo.
Sul fuoco molto basso metto una retina in modo da far cuocere tutto molto lentamente e giro in continuazione per non fare attaccare la carne al fondo della pentola che deve rimanere coperta.
Dopo un paio di ore levo la retina e alzo il fuoco per far rosolare la carne e il trito quindi verso un bicchiere di vino a più riprese e lo faccio evaporare. Se vedo che il sugo si è ritirato troppo aggiungo un po’ d’acqua o meglio un po’ di brodo vegetale, rimetto la retina sotto la pentola con il coperchio, abbasso il fuoco e lascio cuocere fino a che le cipolle non siano sfatte e il sugo non sia scuro e leggermente denso. A questo punto tolgo la carne e continuo a cuocere a lungo, assaggio il sugo per sentire se le cipolle si sono ben amalgamate e non risultano troppo evidenti al gusto. Per un buon risultato deve cuocere in totale 5/6 ore.
Se la cottura è fatta a regola d’arte non c’è bisogno di frullare altrimenti una frullatina lo rende ancora più cremoso.
Mentre si cuoce la carne e il sugo si addensa spezzo gli ziti cercando di farli tutti uguali. E’ un lavoro un po’ doloroso perché gli ziti sono assai duri.
Mentre gli ziti cuociono taglio la carne a fette, la metto nel piatto di portata e la guarnisco con la purea di patate.
Scolo la pasta molto al dente e la butto nella pentola con il sugo, la faccio insaporire per qualche minuto, aggiungo una noce di burro e una manciata di parmigiano. E voilà, la genovese è pronta!
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