di Fabrizio Mangoni
La grande sala del castello era apparecchiata per il banchetto. Per stupire gli ospiti, due servitori portarono una gabbia con un leopardo ed un’altra con due struzzi. Poi arrivarono i musici, che iniziarono una melodia. Dal grande piano di marmo nero i servi portavano sulla tavola frutta, dolci e frittelle. Finalmente entrò il Principe accompagnato dal suo falconiere arabo. Avevano cacciato tutto il giorno portando alle cucine allodole e lepri. L’imperatore Federico prese posto sulla tavola più alta a lui riservata dentro la finestra di quel castello così particolare, così diverso dagli altri. Era un vero manifesto laico della cultura e della tecnologia; le otto torri ottagonali che si elevano sulla collina non servono a difendersi dall’attacco dei soldati, ma dall’assedio dell’intolleranza, dell’ottusità, delle superstizioni. Mentre i commensali assaggiavano i primi bocconi Federico fece entrare nella sala un poeta siciliano. Forse seguendo un’antica tradizione dei Califfi arabi, l’imperatore amava accompagnare i banchetti con momenti poetici e canzoni cortesi.
Il poeta cominciò:
Rosa fresca aulentissima ……
Per una qualche magia dell’eco, forse attraverso i tubi che alimentavano, dall’alto i lampadari ad olio, i versi giungevano fino alle cucine. Il cuoco Berardo che conosceva a memoria il testo latino delle sue ricette, provò a dialogare con quei versi:
Ora è il medico di Federico in persona che porta dalle cucine quel piatto all’Imperatore.
Per cavoli verdi alla maniera propria dell’imperatore, prendi le cime dei cavoli sani e mettili in una caldaia a bollire con della carne, e falli bollire per bene. Quindi levatili, immergili in acqua fredda. Metti dell’altro brodo in un’altra pentola, aggiungi finocchi bianchi e falli bollire. E quando sarà l’ora di mangiare, metti i cavoli in questa pentola con il brodo e fai bollire tutto per poco tempo.
La ricetta è riportata nel Liber de Coquina che fa parte di una serie di manoscritti datati intorno al XIV secolo. Di recente la professoressa Anna Martellotti, ne ha proposto una datazione anticipata o un riferimento ad un testo antecedente. Tra le motivazioni di questa attribuzione c’è anche questo riferimento all’Imperatore Federico II. Nel Liber troviamo molte ricette “ad usum Franci … alla maniera Francese, inglese e così via”, ma qui è la formula “Secundum usum imperatoris” che denunzia una esclusività della ricetta, una specifica appartenenza. Si tratta di un piatto leggero e salutare, a base di cavolo e finocchi, inusualmente privo di spezie e di sale, eccetto quelle che accompagnano il brodo di carne. È una ricetta che contrasta con l’immagine di epicureo goloso, attribuitagli dai suoi detrattori. Ma non dobbiamo dimenticare che tutta la cultura gastronomica araba, molte presente nel Liber de Coquina, è ispirata dalla medicina, e dalla tradizione antica di Ippocrate e Galeno. Inoltre molte ricette del Liber sono destinate alla cura degli infermi. Possiamo immaginare quindi che l’Imperatore fosse di tanto in tanto consigliato alla temperanza dai suoi medici, e che lui gradisse questa ricetta di cui probabilmente amava anche il colore. Nella cucina medievale il colore delle pietanze e delle salse rivestiva una notevole importanza anche in rapporto a significati simbolici. Della ricetta apprezziamo l’attenzione ai tempi di cottura. La cottura del cavolo viene fermata da un bagno in acqua fredda, mentre, in parallelo, va avanti la cottura più lunga del finocchio. Alla fine gli ingredienti si uniscono per un bollo finale, che restituisce loro una omogenea cremosità. Forse questa zuppetta venata di verde poteva essere servita all’inizio del banchetto insieme alla frutta che apriva l’arrivo delle pietanze sulla tavola.
Per quel banchetto Federico aveva ordinato a Riccardo di Pucaro della Curia di Foggia che al suo cuoco fossero portati dei buoni pesci del vicino lago Lesina per farne preparare una scapece e una gelatina. Il cuoco aveva preparato una scapece, probabilmente a base delle anguille del lago, secondo questa ricetta:
Per la scapece, prendi dei pesci ben puliti, come si deve, e friggili in olio abbondante. Falli raffreddare. Quindi, friggi delle cipolle tagliate a metà nell’olio rimasto. Poi, prepara uva secca, enulae prugne, e friggi assieme alle cipolle indicate, e leva l’olio superfluo. Prendi altre spezie scelte e zafferano, trita bene con delle mandorle spellate e stempera con vino e mettendo poco aceto, che non venga troppo acre. Quindi mischia assieme al resto. Al posto delle mandorle, puoi mettere mollica di pane ammollata nel vino e poi tritata. Poi metti sul fuoco fino a che inizia a bollire e poi levala subito. E sistemati i pesci su una teglia concava, versaci questa salsa. E se questa la vuoi fare agrodolce, mettici del mosto cotto e zucchero quanto basta.
Si tratta di una preparazione che denunzia l’influenza araba sulla cucina siciliana e meridionale. Il sikbâg era una preparazione per fare un sugo di carne marinata in aceto e agrodolce, presente nei manuali altomedievali della cucina dei califfi di Baghdad. Era anche, come ci dice la ricetta, un modo per conservare gli alimenti. La possibilità di sostituire le costose mandorle col pane spugnato, è presente nei ricettari medievali di tutta l’Europa, per consentire preparazioni più economiche. Dobbiamo considerare anche che lo zafferano era una spezia, commercializzata dagli arabi, costosissima e che. in un banchetto come questo. veniva utilizzata a profusione. All’epoca si stima che cinquanta grammi di zafferano costassero come quattro o cinque buoi.
La musica lenta che aveva fino ad allora accompagnato il banchetto, cambiò di ritmo, con l’accompagnamento di percussioni. A molti commensali era riservata una vera sorpresa: due danzatrici entrarono muovendosi armoniosamente su grandi sfere di legno. Era un gioco di armonia ed equilibrio che simboleggiava la perfezione e la giustizia dell’Impero di Federico. Al termine della danza furono servite le carni. Oltre ai polli, furono serviti i risultati della caccia. Le allodole erano state lardellate, bagnate nel vino e coperte di spezie; le lepri erano servite in Civerio.
Il Civerio è una preparazione molto antica, basata su una doppia cottura, tipica delle carni nel Medioevo. La lepre viene prima spennellata di grasso e arrostita allo spiedo e tagliata a pezzi. Poi si prepara una salsa a base di fegato della lepre stessa, pane abbrustolito, cipolle soffritte nel lardo, acqua e vino in pari misura. Alcune ricette prevedevano anche l’utilizzo in questa salsa dell’aceto e del sangue della lepre. I pezzi di carne venivano alla fine cotti di nuovo in questo intingolo. Questo tipo di preparazione antica trova ancora una memoria nel Civet francese.
Mentre i commensali terminavano di saggiare la cacciagione, ad un cenno dell’Imperatore, fu portato al centro della sala un tavolo su cui poggiava una sfera fatta di strisce metalliche dorate che brillavano alla luce delle torce. Era un nuovo astrolabio. Un arabo cominciò a descriverlo nella sua lingua, tradotto da un servitore (per i commensali, non certo per L’imperatore che conosceva perfettamente quella lingua, avendola praticata, fin da bambino, nelle strade di Palermo). Dimostrò come servisse a calcolare esattamente il momento dell’alba e del tramonto. Federico lasciò il suo posto per avvicinarsi all’astrolabio e descrivere, facendo ruotare i cerchi metallici il movimento del sole e della luna. Subito dopo due servitori posavano sul grande tavolo di marmo un largo piatto che conteneva la Torta di Lasagne.
Se vuoi fare torta di lasagne, metti lasagne, uova fritte oppure lesse oppure sperdute e ravioli tagliati oppure interi, formaggio grasso grattato oppure tagliuzzato, e lardo a sufficienza; in questo modo fai degli strati, mettendovi delle spezie. E forma sopra a questi con la pasta un serpente in lotta con una colomba oppure qualsiasi altro animale desideri. Successivamente, prepara intestino ripieno di buona farcia e disponilo in circolo a formare come un muro di cinta. Quindi colora lo strato a piacere e metti al forno. Poi portala con gran sfarzo innanzi al signore.
Questa ricetta appare nel capitolo finale del Liber de Coquina, dedicato alle preparazioni composite. È, a mio avviso, una vera fusione di culture gastronomiche; abbiamo le lasagne o lagane dell’antica Roma, i ravioli ripieni di carne degli arabi e la torta con le sculture, probabilmente di pasta frolla, importata in Sicilia dai Normanni. La decorazione superiore fa riferimento ad un combattimento tra serpente e colomba. Sono invece propenso a pensare che i due animali non combattessero affatto. Penso che l’immagine si riferisce alla frase del Vangelo quando Gesù dice agli apostoli: “Vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque astuti come i serpenti e candidi come le colombe”. E non sono forse astuzia e candore le qualità di un principe illuminato come Federico II di Svevia?
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