Coppa e Renano. Bicchieri da vino, ultimo step.
Dopo aver parlato del Gotto e la Flûte e dei Ballon ed affini, eccoci dunque alla chiusura della trilogia sui calici da vino. L’ultimo atto di una testimonianza piuttosto restrittiva. Ho infatti saltato tutta la parte dedicata al Paleocenico, quello in cui si beveva dalle cortecce e dalle conchiglie. Il periodo dei corni scavati degli Egizi e dai Persiani, ed ho saltato persino i Fenici ed i loro primi vetri. Per non parlare poi dei Veneziani e di Caterina De Medici, che imbellettò le tavole francesi con questi arnesi. E dopo Indiana Jones e il Santo Graal, con non poca soddisfazione, ho derubricato anche il tulipano. Calice dei nostri giorni, è maggiormente utilizzato per i bianchi giovani ed aromatici, quali Sauvignon, Muller Thurgau etc etc. Per questo è a me totalmente desueto.
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Ora, senza essere ulteriormente pleonastico, puntiamo dritti verso i bicchieri. Quelli seri. Il Renano è il bicchiere per i bianchi, ma anche per i rossi. Ha lo stelo che gli dona grazia e il corpo dalle giuste proporzioni, tale da permettere una coscienziosa apertura odorosa ai vini che vi entrano. È simpatico e leggero. Non ingombra. Sta benissimo con l’apparecchiatura, senza cozzare con gli altri bicchieri sulla tavola. È garbato pur dicendo la sua. Si adatta benissimo a vini rossi giovani e fragranti; persino l’ormai quasi estinto novello sta bene in questo calice. Ma se utilizzato con serenità, permetterà di percepire con dovizia di sfumature odorose anche i vini rossi invecchiati. State pensando che, vista l’analisi dei calici nei precedenti pezzi, il mio parere sia iniquo? Pazienza!
Il Renano è il giusto compromesso tra il Tulipano e il Borgogna. La pancia larga, ma non troppo, permetterà una corretta ossigenazione; l’imboccatura ridotta convergerà il liquido al centro della bocca, scavalcando così un impatto diretto con le gengive, che altrimenti, nel caso di un rosso giovine o di un vino dall’esuberante energia tannica, creerebbe il famoso effetto “gengive asfaltate”* . Tutto questo concederà una valutazione del liquido quanto più complessiva possibile. Se non si fosse capito, è il mio calice preferito.
*(vedi anche alla voce astringente).
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And the last glass is… la Coppa!
Nasce come bicchiere da Champagne, ma forse prima gli champagne erano diversi. Oggi è preferibile bere Champagne nella flûte, più capace di indirizzarlo al centro della lingua, dove le papille gustative sono più addestrate a percepire le sensazioni dolci-amare. Al contrario la Coppa lo convoglierebbe ai lati della lingua, dove la sensibilità all’acidità esalterebbe proprio questa caratteristica sostanziale dello spumante d’Oltralpe, rendendolo più un “rasoio”, che un piacevole, brioso bicchiere. Insomma è una questione molto più reale che ideale.
Per un corpo senziente la sua condizione è epistemologica, è “teoria del puro sentire”. In altre parole, smettetela di fare i fighi con lo Champagne nella Coppa! Anche perché un fattore discriminante per la coppa è l’apertura della bocca. La sua ampiezza infatti farebbe perdere tutte le complesse e variegate sfaccettature che lo Champagne possiede. Insomma, la Coppa è adatta ai vini spumanti aromatici dolci, come Moscato e Brachetto. D’altronde se di dolcezza si parla, la storia – o la leggenda – vogliono che le misure di questo bicchiere siano state calcate dal seno della Regina Maria Antonietta. O della Marchesa de Pompadur? Chissà.
Per certo però nel 2014 la top model britannica Kate Moss ha prestato il suo seno sinistro – lo stesso che avrebbe profferto Maria Antonietta -, all’artista Jane McAdam Freud per modellare una coppa. Insomma, a due secoli di distanza, questa “forma” di bicchiere torna a far parlare di sé in maniera maliziosa. Cosa penso io? Che la coppa è probabilmente il bicchiere preferito da Milo Manara.
di Raffaele Marini
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