Il Riesling Renano è un vitigno bianco dal quale si ottiene un vino fruttato e di carattere. Originario della Germania, si diffuse poi in Alsazia, Austria, Italia e Ungheria. Ma andiamo con ordine e quindi partiamo da come mi sono svegliato: oggi mi sento chef e quindi do una ricetta: Zeste di un limone biologico, 100 grammi riso venere, 100 grammi di riso Thai, un ananas e qualche tartufo nero; il succo di due limoni, 500 grammi di pietra di lavagna, 300 grammi di roccia calcarea. Immergete la roccia nel succo di limone; aggiungete le zeste e portate a leggera ebollizione; aggiungete i due risi precedentemente tostati in padella. Lasciate il tutto in infusione con il tartufo e l’ananas; dopo 15 minuti filtrate ed imbottigliate… Difficile vero? Allora apritevi una bottiglia di Riesling Bocksteinhof del Dr Fischer; Mosel per esser precisi. Saar per puntualizzare. Insomma dalle parti di Egon Muller, giusto per fare un nome a caso.
L’ho bevuta, felicemente, al ristorante Beccofino a Civita Castellana, nella Tuscia Viterbese. Il patron di casa e chef alchimista Sergio Brunelli – che vista la passione per il mare e le perle che tiene nascoste in cantina, in una vita precedente era sicuramente un pirata – ha tentato in tutti i modi di convincermi che il comune in questione fosse su un terroir in orogenesi e che lui riuscisse a saltare tra le stringhe temporali, arrivare in pieno Giurassico con tanto di mare popoloso, pescare il pesce e tornare da noi. Io d’altronde ho prontamente scartato l’ipotesi del teletrasporto che lo condurrebbe sino a Mazara, a reperire personalmente i gamberi rossi di Sicilia: sono uno poco fantasioso io!
Ma tornando al Riesling. In quella zona i bianchi sono mostri! Queste terre ricche di minerali, zinco, ferro e rame donati dall’ardesia, lasciano una firma d’autore inconfondibile. L’esposizione, la ripidità dei terreni, le escursioni termiche concesse generosamente dalla Mosella; tutto questo è inconfondibile. La Mosella è simbolo di viticoltura eroica nel mondo e non c’è termine di paragone. Neanche l’amata e blasonata Borgogna ce la può fare; è una competizione vinta – o persa, a seconda della prospettiva – in partenza.
Il Riesling del Dr Fischer – che ammetto, non conoscevo – non riporta in etichetta nessuna tipologia: Trocken? Kabinett? Spatlese forse, vista la dolcezza iniziale, solo in parte giustificata dalla dicitura ufficiosa feinherb. Ha una beva magnetica che fa cedere ogni barriera, e non c’è bisogno di attendere – anche se magari l’avessi una bottiglia vecchia in cantina! Il 2013, l’annata che parla di sé sul tavolo apparecchiato, sfata la leggenda che li vede pronti dopo almeno 10 anni di letargo e guai a berli prima (certo gli esperti della zona avranno da ridire… ma d’altronde sono “esperti”)! Per esser chiari e a detta di molti rigorosi giornalisti del settore, una bottiglia con così pochi anni sulle spalle dovrebbe essere poco di più di un prosecco senza bollicine.
E invece… La parte aromatica sale verticalmente al naso, elencando con doviziosa cura tutti gli ingredienti convocati nella ricetta folle che vi ho affidato in avvio del pezzo. In bocca entra morbido, ammaliante, capace di donare una continuità che evolve in un’ acidità succosa e in una sapida mineralità (sì, ho detto mineralità!). Irresistibile. E un’altra barriera cade: il tappo è rigorosamente tappo a vite! Perché fuori dagli italici confini – e non solo quelli geografici – la qualità non è commisurata alla quantità del sughero utilizzata per chiudere una bottiglia. Una bellissima poesia del grande Erri De Luca recita: “…Considero valore il vino finché dura il pasto…”. Io il 2 Giugno credo di averne sperimentato la valenza.
di Raffaele Marini
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