La parola all'esperto

La disputa dei dazi e il futuro dell’agroalimentare italiano

Nella disputa dei dazi tra Europa e Usa, l’Italia stavolta la spunta.

Pericolo scampato dunque per olio pasta e vino, niente da fare invece per i balzelli del 25% già imposti dalla Casa Bianca lo scorso ottobre su altre eccellenze del Made in Italy.

Sono passati 10 mesi dal primo duro colpo sferzato da Donald Trump all’export dei prodotti italiani in America e la minaccia di nuove ritorsioni ha fatto tremare il comparto agro alimentare del Bel Paese.

Oggi però a distanza di meno di un anno da quell’aumento dei dazi che ha già duramente colpito parmigiano reggiano, grana padano, prosciutto, limoncello, liquori amari e chi più ne ha più ne metta, per un valore di oltre mezzo miliardo di euro, sembra possibile tirare un sospiro di sollievo.

Dopo la pubblicazione sul sito del Dipartimento del Commercio americano (USTR) della lunga lista di prodotti che avrebbero potuto subire la revisione periodica delle tasse sui beni in ingresso sul mercato americano e che per l’Italia avrebbe riguardato un danno di 3 miliardi di euro, Donald Trump ha deciso di “graziare”, almeno per ora, lo Stivale.

Ma le novità sono diverse.

Sembra svanita in primis l’ipotesi di aumentare i dazi fino al 100% dagli attuali 15% e 25%, Grecia e Gran Bretagna vedranno risparmiati alcuni beni il cui valore equivalente sarà invece aggiunto a Francia e Germania.

Dalla revisione semestrale delle misure attuative della sentenza dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) non si registrano invece aumenti per i già tartassati formaggi italiani e non compaiono, come invece si temeva, olio pasta e vini.

“Una decisione – ha dichiarato su Twitter Ivan Scalfarotto, Sottosegretario al ministero degli Esteri – che premia il lavoro di Farnesina e Ambasciata a Washington a favore della nostra economia e delle nostre imprese”.

A turbare però notevolmente l’andamento di rapporti commerciali che sembravano vivere di solide alleanze e di quote di mercato sempre più rilevanti, è stato il brusco passaggio da una politica economica liberista e di mercato globale ad una meno libera e più proiettata verso il protezionismo e le barriere, tipiche di atteggiamenti quasi isolazionistici.

La logica dei dazi è infatti caratteristica delle fasi di crisi economiche generalizzate come quella che stiamo attraversando, resa ancora più complessa dal momento di grande “disordine” internazionale; ed è tesa al rafforzamento e alla messa al riparo delle economie nazionali indebolite o comunque fortemente esposte all’attacco di aggressive politiche espansionistiche.

Ripercorrendo brevemente la storia delle tendenze economiche degli ultimi anni si notano infatti inclinazioni protezionistiche nell’economia europea ed americana già alla vigilia della Prima guerra mondiale, che si rafforzarono poi nel periodo tra le due guerre quando la crisi di Wall Street nel 1929 spinse le singole economie nazionali ad una rigida chiusura.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale prevalse la filosofia statunitense del multilateralismo e della libertà totale degli scambi secondo le linee guida stabilite alla Conferenza di Bretton Woods del 1944, che segnò la fine dell’isolazionismo economico americano e del predominio del dollaro sulle altre valute.

Da allora si crearono organismi atti a tutelare il libero scambio come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.

Dopo la depressione mondiale a seguito delle crisi energetiche del 1973 e del 1979, si sono manifestate nuove spinte protezionistiche, che si sono gradualmente indebolite per la rapida integrazione dei mercati sia economici che finanziari che caratterizza i nostri tempi.

“Occorre impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza coronavirus” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

“L’Unione Europea – ha aggiunto Prandini – ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che come ritorsione proprio all’inizio di agosto di sei anni fa ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che è costato al Made in Italy 1,2 miliardi ed è ora paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa.”

E’ importante infatti sottolineare che, sebbene a causa della pandemia da Covid19 il mese di giugno ha visto emergere un dato al ribasso dello 0,9%, gli Stati Uniti rappresentano per il nostro paese il primo mercato extraeuropeo per i prodotti agroalimentari per un valore totale solo nel 2019 pari a 4,7 miliardi di euro, in aumento nei primi sei mesi del 2020 del 4,8%.

Considerando dunque che l’Italia non ha nemmeno mai fatto parte del consorzio Airbus ed è quindi estranea, se non in quanto parte dell’Unione europea, alla diatriba sugli aiuti di stato che avrebbero sfavorito la statunitense Boeing a vantaggio dell’europea Airbus, è necessario quanto prima ottenere la rimozione di ogni tipo di “barriera” per proseguire, piuttosto che sullo scontro, in un percorso di consolidamento di un dialogo costruttivo e incentrato sui benefici reciproci.

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Raffaele Coppolino

Nato nel 1980 e diplomato al Liceo Scientifico Nino Cortese di Maddaloni nell’anno 1999. Iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” interrompo gli studi per entrare nel mondo del lavoro. Dal 2004 muovo i primi passi nell’Industria Alimentare, nel settore della distribuzione e della vendita e tuttora vivo la professione con lo sguardo attento di chi si impegna a promuovere e tutelare un comparto trainante dell’Italia. Appassionato dello Stoicismo, determinista e fervido ottimista, per me il bicchiere è sempre “mezzo pieno”!

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