di Fabrizio Mangoni
Aldo Di Russo, nel numero scorso di Mondo Mangiare sollecita molte riflessioni sulla polpetta, scomodando a ragione grandi pensatori da Parmenide a Galileo, da Kant ad Einstein (leggi Elogio della Polpetta).
È vero più di ogni altro cibo, la polpetta ci porta a considerazioni filosofiche. Alle sue riflessioni vorrei aggiungere qualche mia pensiero; che riguarda, una volta assodata l’assolutezza della polpetta, il suo rapporto con noi e col mondo che la circonda.
Da questo punto di vista, la polpetta è una e trina. Al di là delle infinite combinazioni degli ingredienti, riciclati o perseguiti, la polpetta si presenta in tre modi:
Il raggiungimento della “Croccanza”, aspira a racchiudere l’Essere, per dirla con Parmenide, in una sorta di affermazione assoluta di sé. Attenzione, qui non c’è dominio, né tanto meno pensiero unico; qui la polpetta si racchiude e protegge la tolleranza della varietà, della multietnicità, delle mille possibili sfumature nate dall’atto creativo dell’impasto. Una crosta simile protegge le Keftedes greche, che ci tentano nelle vetrine dei ristoranti sul mare, o le polpette indiane al curry, fatte a volte di patate e piselli o di lenticchie, o quelle russe con carni diverse mescolate; la polpetta è sempre protetta da una crosta che ti invita a scalfirla, per svelare la sorpresa che contiene. La crosta della polpetta è la base della sua seduzione; come molti psicologi della seduzione hanno affermato “sedurre” non è “condurre a sé”, ma “sed ducere” con una componente oppositiva, che significa “deviare”. Deviare la tua vita dal percorso che avresti fatto prima di incontrare la seduzione di qualcuno. Per deviare, il seduttore mette una maschera diversa dalla sua natura. La crosta è fatta del contenuto della polpetta, ma si avvale di altre materie come uova, farina, pangrattato, formaggio. A volte la crosta ti seduce col suo nero, quasi bruciato, altre volte simula il candore chiaro dell’interno; ma sempre di maschera si tratta.
Se la Polpetta croccante racchiude in sé i suoi valori, quella morbida, aspira a mescolarsi col mondo. Pensiamo ai Canederli tirolesi o tedeschi, che alcuni si ostinano a chiamare gnocchi, solo per la loro fine in brodo; ma si tratta in realtà di polpette amalgamate con pane raffermo, erba cipollina, uova, speck e cipolla. Non sono croccanti perché si cuociono, senza dissolversi, nel brodo. Analogo destino quello delle polpettine in brodo. Il sapore del brodo avvolge la polpetta di pane e carne, e ne contamina la superficie che accoglie liquidi sapori vegetali. Un trionfo dello scambio avviene nel caso delle Tajine di polpette, tipiche della cucina marocchina. Le spezie della salsa di cottura si confrontano con i profumi speziati delle polpettine di carne. Qui il pensiero di Aldo Di Russo, che supera la banale idea della etnia contro la globalizzazione, ci ricorda che la polpetta impone sé stessa, agli ingredienti che variano. Quello che sto tentando di suggerire è l’idea di scambio, di relazione, aggiungerei di tolleranza che la polpetta non croccante propaganda.
Infine, non per proporre una sintesi aristotelica, o per affermare una circolarità del ragionamento, vi propongo la terza modalità di essere della polpetta: croccante ammorbidita. La figura più emblematica di questa mutazione è la polpetta napoletana, fritta, croccante e immersa nel ragù. Il ragù colora la superficie, ma non penetra. La polpetta continua ad affermare la propria assolutezza. Tuttavia la maschera di seduzione è scomparsa per trasferirsi al colore della salsa. La polpetta va tagliata con la forchetta, e la salsa comincia a mescolarsi col suo contenuto. Più frantumiamo, più amalgamiamo; il ragù che porta con sé la memoria della carne dissolta, ritrova la sua ragione avvolgendo i resti dell'”unicità polpettesca”. Qui la polpetta supera sé stessa, si divide restando indivisibile, per utilizzare una definizione di Aldo Di Russo. E qui la filosofia eleatica del mio amato Cilento, ci soccorre. Per Parmenide la polpetta “è”, e così come qualunque cosa esprime sempre la stessa unica cosa. Ma l’altro filosofo di Velia, Zenone ci parla del concetto di infinito, dell’infinitamente piccolo e della relatività del punto di vista. Il piè veloce Achille non raggiunge mai la tartaruga, come il ragù non dissolverà mai la polpetta.
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