In piena emergenza sanitaria per la pandemia di Covid-19, il 9 aprile 2020 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e con gli altri Ministeri competenti, ha ufficialmente riconosciuto un particolare regime di protezione al comparto agroalimentare italiano.
Secondo i dati di un rapporto di Federalimentare e Luiss Business School, l’industria alimentare è seconda per numero di imprese (56.750) solo al settore metallurgico e della meccanica e rappresenta il primo settore manifatturiero del Paese per fatturato globale, nell’ordine di oltre 133 miliardi di euro.
Nel contesto europeo, l’industria alimentare italiana si inquadra come secondo player dopo la Francia per numero di imprese, terzo (dopo Francia e Germania) per numero di occupati e quinto (dopo Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) per valore aggiunto generato.
I grandi e grandissimi player, localizzati perlopiù al nord del Paese, pesano molto in termini di performance. In particolare, le prime 50 imprese del sistema, raggiungono in totale circa 30 miliardi di euro di fatturato (intorno al 22% dell’intero settore) mentre, estendendo i dati alle prime 100, si raggiungono 41 miliardi, che rappresentano circa il 30% dell’intero settore (dati AIDA 2017).
La competitività del comparto alimentare italiano è centrata su un fattore molto preciso: la superiore qualità della sua offerta. Una qualità “organica” perché risultante dalle caratteristiche dell’insieme di cinque componenti tra loro interdipendenti:
È importante sottolineare che nei mercati esteri, questa superiore qualità organica è riconosciuta in termini di disponibilità a pagare un prezzo ben superiore dei prodotti concorrenti, sia locali sia di altri Paesi. Tuttavia, le nostre produzioni si trovano ad affrontare una forte pressione competitiva da due fronti: dal basso, dall’offerta di attori di grandissime dimensioni con forte vantaggio di produttività e costi, in grado di collocare sul mercato prodotti di standard comunque accettabili, ma con prezzi inferiori. In secondo luogo, sulla stessa fascia di mercato, da altre grandi imprese internazionali che attuano una strategia di differenziazione, sfruttando elevate capacità di comunicazione e distribuzione e riuscendo comunque a contenere i costi.
Visto l’obiettivo di tutela di un settore di particolare rilievo per gli interessi nazionali, l’estensione della Golden Power all’agroalimentare, viene accolta da tutti gli operatori del comparto e non solo, con grande entusiasmo, anche perché da anni si allunga sempre di più la lista di aziende italiane simbolo della nostra cultura alimentare passate in mani straniere.
Questo ampliamento del raggio di azione di una disciplina già esistente, non è l’iniziativa legata ad un piano industriale preciso, ma la conseguenza di una situazione emergenziale, pertanto, affinché non resti solo un mero esercizio di stile, bisognerà dare continuità al progetto, rendendo comunque possibile l’ingresso di capitali esteri a beneficio del sistema economico del Paese con la supervisione dello Stato e perseguendo la costruzione del valore e la tutela del Made in Italy.
La storia ci insegna che una crisi può rappresentare un punto di svolta.
Fu così anche dopo la Grande Crisi del ’29 quando Mr. Michael J. Cullen, nato da genitori immigrati e abile osservatore della situazione socio economica che lo circondava, nel 1930 aprì a Long Island il primo Supermarket d’America, inaugurando così una nuova era per la vendita al dettaglio dei prodotti alimentari. L’idea di Mr. Cullen era quella di vendere buon cibo a prezzi abbordabili e con coraggio, visione e perseveranza, riuscì nel suo intento.
A contribuire in maniera determinante alla realizzazione dell’impresa di King Cullen, è stata la sua grande capacità di leadership relazionale in un contesto di welfare aziendale.
Una relazione positiva tra management e dipendenti, assicurazioni, ferie e aumenti salariali, sono stati certamente gli ingredienti decisivi per il suo successo.
La Grande Distribuzione Organizzata (GDO) gioca un ruolo fondamentale nella tutela della catena del valore e del sano vantaggio competitivo e può fare ancora tanto nella valorizzazione della relazione tra coloro che fanno parte del processo produttivo e distributivo. Facciamo che sul mercato possa vincere la qualità al giusto prezzo e non la guerra dei prezzi a colpi di promozioni, ribassi e sottocosto, anche perché quel costo qualcuno lo sta pagando e a caro prezzo.
Le aste al ribasso non rappresentano certo la migliore strategia commerciale per tutelare un settore, quello dell’Agroalimentare italiano, che da sempre è riconosciuto in tutto il Mondo per il grande valore aggiunto in termini di qualità. Anche perché un domani poco lontano, queste dinamiche di acquisto potranno essere gestite da un semplice algoritmo attivato da un remoto computer in qualsiasi angolo della Terra, che poco potrebbe interessarsi della tutela delle Eccellenze Italiane.
Auspichiamo un ritorno diffuso alla filiera corta ed efficiente che riconosca il giusto valore del lavoro di tutti, portando sulle tavole degli italiani il buon cibo al giusto prezzo.
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