«Già la parola ‘neologissimo’ è un neologissimo. Cos’è un neologissimo? Beh, è un neologismo (con una S sonora) moltiplicato per due, in modo che la S diventi sorda, e somigli al ssst! di silenzio!, perché bisogna fare silenzio di fronte a una parola che nasce, appena inventata, ancora calda come un uovo di gallina, non entrata nell’uso, anzi, che probabilmente non entrerà mai; ma (ecco cos’è un neologissimo) che sarebbe bello ci fosse, ben accolta e onorata dentro la lingua. Perché il neologissimo è una felice invenzione, che fa sorridere per la giustezza geniale della parola. Mentre i neologismi con un’esse sola, quasi sempre irritano le persone perbene, che maledicono le nuove parole di moda quando entrano transitoriamente nella lingua come merci taroccate, di plastica, sgargianti e false, che si guastano subito e se ne vanno, per fortuna, dicono tutti […]. C’è una regola per produrre neologissimi? No, non c’è; sono un fatto di ispirazione. Mentre i neologismi è facile farli, grecismi, latinismi, anglicismi, accoppiamenti di radici verbali eccetera, come tutti sanno. Forse per i neologissimi la regola è alzare lo sguardo, sbucare oltre la sfera della lingua corrente e attingere alla nube di Oort, serbatoio delle comete». (Ermanno Cavazzoni, dalla “Introduzione” a I neologissimi di Luigi Malerba (“I Quaderni dell’Oplepo”, n° 1, Oplepo, Napoli, 2013, p. 3).
Daniela Fabrizi
Caldo, freddo, macchiato
(Tre variazioni sul latte)
CALDO
Vanigliosamente schiumava
davanti allo specchio:
Chi è il latte più caldo del reame?
Spondando di fuoco,
scendeva per la gola:
Anestesìa Anastasia,
sorellastrava querulo.
Sentì improvvisa dall’alto
pioggia lucente di gocce di sale.
Sbiancolò una lacrima,
annaspando liquida
nel gorgo da cucchiaio.
Rapprivizzò il latte,
suo malgrado, e guardò sù.
Serve conforto?
chiese, strallifluo.
Incontrò gli occhi
e riconobbe un pianto antico.
Balsamizzarlo, potrebbe aiutare?
Bianco di profumo bambino
cremò bollente e le avviluppò il cuore.
Bastò sincero un attimo a salvallegrarla di tepore.
FREDDO
Brivideggiava l’alba
di New York
mentre atterrava.
Alloftando lo aspettava
l’appartamento
tra la Madison e la 58esima.
Indolente grattacielfata
sfumava la luna
aspettando il giorno.
Ascensorò al ventiduesimo,
aprì rapido con la combinazione,
entrò nella stanza senza pareti.
Un raggio esultante lamfieggiava
sul pavimento lucido
di legno smaltato.
‘Sdubbiatamente inutile
tutto questo luccicare’
disse a sé stesso in uno slancio di verità.
Aprì il frigo e trovò la brocchiglia
che aveva lasciato due giorni fa.
Scese leggero nel bicchiere il latte,
trascioccò di gelo il vetro trasparente,
si appannò di mano indecisa e pentita.
Dov’era il cuore se lei se n’era andata?
MACCHIATO
Disfreudiando psicoanalisi
divulgativa
guardò il seno della barista.
Il neo sfronteggiava
di un bel color caffè
incastonato in quella pelle
trillalbastrata e sorridente.
Gli prese un’allegrezza
di sabbia sotto il sole
mentre lei rimpiassettava
tazzine, bicchieri, cucchiai e brioches.
Profumava di tiepido
dormibeggiando il latte,
cui sembrava non mancare nulla.
Ma lei vide che non bastava,
travangendolo rise
come d’abbraccio inatteso.
Lo vuole macchiato? Rispose: sì, grazie,
brillanderei con te anche tutta la vita!
Il neo arrossì come fosse una guancia,
sposami oggi e sarà per sempre.
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