Il biologico sembra ormai essere ridotto meramente ad una pratica esorcistica, un sogno lisergico che costringe l’acquirente (almeno quei pochi illuminati che lo scelgono) ad una selezione al ribasso verso il “meno peggio”.
Una volta si poteva contare sugli intellettuali, il cui intellettualismo etico era fondamentalmente al servizio del popolo e della comunità.
O sui filosofi: la philosophia naturalis e l’approccio platonico, col suo sguardo alla Natura come ad un unico organismo vivente, erano un servigio puro all’Universo cosmico.
E così l’agricoltura e ogni pratica ad essa legata avveniva con ossequioso rispetto, al pari di un rituale religioso. E oggi? Oggi la più fine brama è ambire a schiavizzarla, la natura. Uno stupro costante, finalizzato a far comparire il prezzo più basso sullo scaffale del supermercato, massimizzando il profitto; costi quel che costi. Un prezzo questo davvero troppo alto se si pensa che per ottenerlo si necessita della sottomissione delle cosiddette “risorse umane”.
In Italia il 3% degli agricoltori detiene il 50% dei terreni destinati all’agricoltura. Latifondisti di “casa nostra”, al giogo delle multinazionali.
Ma i “padroni del cibo” nel mondo sono un nucleo di poche persone che speculano sulla vita di tutti, padroni anche delle nostre vite. Tra le “cinque sorelle” che detengono il mercato mondiale dei prodotti a base di cacao e cioccolato c’è anche la Ferrero. Le politiche applicate da questi colossi dell’agricoltura industriale in Paesi come la Costa D’Avorio, dove la violazione dei diritti dell’infanzia è una regola costante, sono state denunciate anche nel Primo Dossier Nazionale sui Cicli di Produzione del Cioccolato e la Violazione dei Diritti dell’infanzia redatto da Save The Children. I cosiddetti “bambini fantasma” hanno un’età compresa tra i 5 e i 12 anni e le condizioni di schiavitù cui sono sottoposti dovrebbero bastare a farci capire che queste industrie del cibo non temono nulla e nessuno. La filiera ha come finalità sempre e solo quella di garantire alla parte privilegiata del mondo, la nostra, prodotti a prezzi stracciati sullo scaffale. E spesso dall’apporto nutritivo eufemisticamente dubbio.
I fautori sono Mars, Mondelez, Nestlè, Hershey e la stessa Ferrero. La denuncia internazionale contro la schiavitù e il lavoro minorile nel 2001 diede origine al Protocollo di Harkin-Engel. Alcune di queste multinazionali firmarono quel protocollo impegnandosi a contrastare questa catena di schiavizzazione. Ma come d’uopo, il protocollo venne subito aggirato: le multinazionali non acquistarono più direttamente il cacao, ma diedero vita ad un “gruppo di grossisti” con il compito di comperare direttamente alla fonte, per poi rivendere a monte. A loro stesse. Un avido escamotage affinché tutto cambi, ma nulla cambi. Ne è la prova l’efficace difesa addotta dalla Nestlè nei confronti della denuncia istruita dall’International Labor Rights Found per sfruttamento del lavoro minorile, da cui la multinazionale è uscita detersa come un bucato steso al sole.
Pensando a “casa nostra”, mi sembra ovvio che il preannunciato sprawl della corilicoltura, coperto dalle citazioni salvifiche di “produzione italiana” e “posti di lavoro”, voluto proprio dal Gruppo Ferrero e così festosamente sbandierato su ogni media italiano, non porterà a nessun arricchimento del territorio. Anzi, richiederà la genuflessione degli agricoltori e ancor di più dei contadini, poiché il gioco prezzo-prodotto sarà totalmente nelle sue mani.
Gli articoli, indoratori di aria salvifica, servono quindi solo a mascherare precariamente il lupo in agnello. Sorvolando colpevolmente su almeno tre elementi discriminanti.
Il primo è che con la colonizzazione delle nocciole c’è già stata l’incosciente distruzione di quel risaputo patrimonio che è la biodiversità, paesaggistica e colturale. E per quelle poche cellule di resistenza destinate a coltivazioni diverse dalla corilicoltura, sembra sia arrivata definitivamente l’ora dell’estinzione.
L’altro elemento, ormai non più evitabile, è la costante carenza di acqua. Per tutto, tranne che per le nocciole. Una pianta di nocciole, secondo stime non lontane dalla realtà applicata, “beve” circa 130 litri di acqua di falda al giorno. Approssimativamente 13 mila litri di acqua l’anno per appena cinque chili di frutto, la produzione media di una pianta nel pieno della sua vita vegetativa. Spesso una quantità di acqua che le moderne tecniche di agricoltura alternativa hanno dimostrato non essere assolutamente necessaria alla corilicoltura. Ma tant’è.
L’ultimo, ma non meno importante, è quell’uso spesso indiscriminato di fitosanitari richiesti per ottenere nocciole standardizzate per dimensioni e caratteristiche agronomiche, senza considerare l’impatto sull’ambiente e sulla salute delle persone. Tutte.
Di fatto l’operazione ha già avuto inizio: secondo alcune testate giornalistiche nazionali dovremmo addiritura ringraziare Ferrero e la sua zuccherosa crema spalmabile per aver scelto la Tuscia come terra dove impiantare le nocciole. Ancora.
Agricoltori divenuti imprenditori-prenditori da un lato e consumatori-consumati dall’altro.
L’unico cambiamento possibile e auspicabile è in quelle realtà agricole che con forza continuano a considerarsi contadine e vedono nella terra quell’antico concetto ad oggi dimenticato secondo il quale “la Terra su cui viviamo non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, ma l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli” .
Abbiamo la possibilità di far valere il nostro voto ogni giorno in maniera molto più forte di quanto ci sia concesso nell’urna: scegliamo, dando e dandoci dignità, i prodotti che finiscono sulle nostre tavole.
Perché no! Quella che ci cadrà addosso non è pioggia!
di Raffaele Marini
Fonti:
Osservatorio Violazione Diritti dell’Infanzia di Save The Children
Dolce Vita Magazine -“Chi sono i padroni del nostro cibo”-
Foto di Copertina: Paese News
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