Non solo artista tra i più grandi del novecento americano, di cui abbiamo detto nel precedente articolo, ma artefice come pochi altri dell’immaginario pubblicitario che declina nella suggestione del realismo romantico e dei suoi stilemi.
Norman Rockwell incontra la pubblicità nel 1914, appena ventenne con una maturità artistica ancora in itinere eppure già scelta di vita, e tratterà temi pubblicitari più disparati e diversi tra loro, dalle banche ai dentifrici, che ha raffigurato partendo da scene iconiche di vita quotidiana nelle quali inseriva brand e raffigurazione di prodotti.
Vita quotidiana di cui il cibo e il mangiare sono rappresentazioni a tutto tondo nella narrazione artistica, creativa e pubblicitaria di Norman.
Norman Rockwell è un americano figlio del suo tempo, l’epopea della frontiera più che un mito è per lui ancora un ricordo generazionale che si tramanda nei racconti familiari, uno strato culturale nel quale trova terreno fertilissimo il movimento scoutista che l’inglese Robert Baden-Powell fonda nel 1907 e che in America attrae e fa crescere decine di migliaia di giovani.
Norman Rockwell rimane affascinato dallo scoutismo, la sua produzione artistica sul mondo dei boy scout è vastissima; per ben 50 anni ne illustrerà il calendario e le copertine di riviste e manuali, ed è proprio sul The Boy Scout’s Hand Book – il manuale gelosamente custodito che insegnava ai ragazzini americani a vivere in comunità e a confrontarsi con la natura, la grande natura americana, quella fatta di paesaggi sterminati e avventure infinite – che nel 1914 compare la sua prima pubblicità disegnata per la Heinz, aziendacon la quale collaborerà a lungo, e di cui vediamo una pubblicità del 1932.
Iniziato da giovanissimo, il rapporto di Norman con la pubblicità segnerà l’intera sua vita artistica. L’ultima la disegnerà nel 1976, due anni prima del suo passaggio avanti, per la private label Acme Lancaster Brand dei super market Acme; il tacchino è iconico nella liturgia americana del cibo e il bambino è quello di sempre, lo stesso sguardo tra lo stupore della scoperta e la sfida dell’avventura, le stese lentiggini, lo sguardo con cui Norman deve aver guardato il mondo anche nel silenzio dei suoi ultimi anni di vita.
La pubblicità di Norman Rockwell è potentissima, suggestiva, profonda; centinaia di immagini pubblicate migliaia e migliaia di volte, viste milioni e milioni di volte, definiscono il perimetro di un linguaggio relazionale con lo spettatore della scena – le sue pubblicità non sono mai solo di prodotto, sono scene di vita in cui riconoscere il vissuto o l’immaginario personale -, lo sollecitano nella sua sfera emotiva più intima e intercettano archetipi. I bambini, ad esempio, soggetti tra i più ricorrenti nel suo universo artistico; facile notare, infatti, quanto i tratti del bambino che nel 1918 appare nella pubblicità del latte condensato Borden’s non siano dissimili da quelli del bambino del 1976, segnando, di fatto, la coerenza del percorso artistico di Norman.
Del 1918, in un contesto storico permeato di patriottismo per la partecipazione americana alla Grande Guerra, è anche la pubblicità che Norman disegna per la Del Monte, dove vediamo uno zio Sam – raffigurazione dell’identità nazionale americana, disegnato per la prima volta nel 1917 da James Montgomery Flagg in un manifesto dell’US Army che invitava all’arruolamento – di ritorno dal mercato con una cesta piena non di frutta e ortaggi freschi, californiani ovviamente, ma inscatolati dall’azienda.
Nel 1921 Norman Rockwell è già un personaggio.
Il contratto pubblicitario che firma con la Orange Crush Company è stratosferico: 300 dollari per ognuna delle dodici pubblicità che gli vengono commissionate, per avere idea del valore basti pensare che nel 1922 un’automobile Maxwell costava 885 dollari. Le fonti non sono concordi, ma nonostante l’importante compenso, sembra che della serie ne abbia realizzate solo sei.
Nel 1928 la Coca-Cola gli commissiona sei pitture a olio che Norman realizzerà sino al 1935: è un altro degli incontri fatali della sua vita artistica, le immagini saranno declinate in pubblicità sulle riviste e in una serie infinita di apparati e, nel corso dei decenni, andranno a contribuire in maniera fondamentale alla saldatura tra il brand e l’identità americana riconosciuta nel mondo.
I soggetti ricalcano gli stilemi che Norman usa in quegli anni.
Su sei scene, una sola – Concert on the steps – ritrae un frammento di vita familiare con patriarca, figlia quasi angelicata e immancabile cagnetto che si rilassano nel patio di una villa del grande Sud, ognuno con la propria Coca-Cola a portata di mano.
Nelle rimanenti cinque il soggetto è l’immancabile ragazzo americano proposto nei suoi momenti di vita spensierata, vuoi che sia il baseball o una pesca solitaria ma con cagnetto, tranne una sulla quale vale la pena soffermarci.
L’immagine in questione è titolata Office Boy – 4 p.m. – The Pause That Refreshes, a mio avviso la più importante delle sei perché di quel ragazzo anticipa i tempi e guarda al suo futuro.
Siamo in un ufficio, il ragazzo è vestito di tutto punto con tanto di pochette al taschino della giacca e solo una lettura superficiale potrebbe far dedurre che il ragazzo stia semplicemente portando la Coca-Cola dietro quella porta sulla quale è ben visibile la scritta Vice President; quel ragazzo sta entrando nel suo futuro, dietro quella porta c’è lui e c’è il suo futuro da upper class, un percorso e una vita in cui la Coca-Cola sarà sempre con lui.
Stilisticamente la saldatura è perfetta, il sillogismo semantico dell’immagine profondo e tale da non aver bisogno di testi a corredo. I tempi stanno cambiando e Norman li precorre; a breve, in pubblicità, l’unico linguaggio sarà quello delle immagini e sempre di meno saranno gli apparati testuali a corredo.
Il contributo di Norman Rockwell a configurare in termini identitari, iconici e globali i principali brand americani del food & beverage è decisivo: vale per Heinz, Del Monte e Coca-Cola di cui abbiamo già dato cenno, ma ovviamente non solo.
Vale per la birra, alla quale Norman dedica diversi lavori.
Nel 1934 per la Budweiser – vale la pena ricordare che il proibizionismo in America dura dal 1920 al 1932 – per la quale ritrae un accordo tra gentiluomini, che dalla figura potrebbero ugualmente essere bostoniani piuttosto che farmers, sancito da un brindisi fatto con boccali di birra.
Coeva è la pubblicità per la Schmidt’s beer; in un’atmosfera da City Club, il brand della birra è in effetti questo, è una partita a carte quella che i tre uomini, potrebbe essere a bordo lago, stanno giocando seduti su eleganti sedie Thonet e accompagnati dalle birre d’ordinanza. Due le particolarità dell’immagine; l’uomo con la pipa è con ogni probabilità un cameo dello stesso Rockwell che spesso si inserisce a mo’ di figurante nelle sue immagini, e poi c’è l’uomo sulla destra, vestito da commerciante che sembra aver lasciato l’emporio per una pausa e la cui matita infilato sull’orecchio anticipa il tratto di una successiva immagine del 1941, The Beerman, che non sono riuscito a collocare in termini di brand, e che a sua volta richiama da vicino lo stile di quella del 1950 brandizzata dalla Ballantine’s Beer.
Nel 1934 è anche la volta della Campbell’s.
I tempi della santificazione pop artistica di Andy Warhol sono ancora molto lontani, ma quel viso, elegante nel suo farfallino e con salute e simpatia che sprizzano da tutti i pori pur essendo apparentemente un po’ avanti con gli anni, ripreso da tre quarti mentre sorseggia un americanissimo tomato juice è rassicurante e invitante per tutti.
Ovviamente nell’universo rappresentativo del mangiare americano non potevano mancare chewing gum, burro di arachidi, margarina, pannocchie e corn-flakes.
La pubblicità per le Beech-Nut-Gum è del 1937, da notare il formato a striscia che in Italia arriverà solo con gli Alleati e che diventerà l’idea di successo per la Perfetti e la sua Gomma del Ponte, americana di Lainate, provincia di Milano.
La pannocchia che nel 1898 si portava da sgranocchiare a tavola per la felicità dei bambini – fate caso al calendario appeso a parete – nel 1944 viene invece portata a tavola inscatolata dalla Green Giant con il brand Niblets, l’immagine di nonna e nipote è rassicurante, i cagnetti che fanno capolino ci sono sempre e fanno tanto famiglia, il bicchiere di latte è salute da bere e visto che i tempi cambiano, mangiare fresh corn off the cob è una delle vie della modernità che non rinnega, ma rinnova la tradizione.
La colazione è un momento liturgico della giornata alimentare americana, bisogna raccontarla bene.
Nel 1953 è la Kellogg’s a contattare Norman per affidargli l’ideazione della sua campagna pubblicitaria, come sappiamo l’universo adolescenziale è uno dei suoi preferiti e il risultato lo lascia intendere molto bene.
Sono quattro i ritratti di bambini che Norman realizza per la Kellogg’s: belli, simpatici, bianchi, biondini con qualche venatura di rosso, lentiggini a profusione, cappellino o fiocchetto in testa, magliettine o vestitino, i volti che mangiano felici i corn flakes occhieggiano non solo dalle pagine delle riviste, ma anche campeggiano anche dalle scatole che i negozianti espongono in bella vista.
Il successo è strepitoso, le vendite schizzano in avanti, l’America si riconosce in quello che è o in quello che vorrebbe essere.
Nel 1963 è la complicità di una coppia matura che si ritrova davanti al burro d’arachidi Skippy, mentre nel 1964, sotto lo sguardo divertito del papà, il nostro immancabile bambino spalma abbondante margarina Parkway della Kraft su una pila di pancake con un richiamo salutista nel testo, ma con un’abitudine che forse lo è un po’ di meno.
Nel 1964, in età più che matura, Norman termina la collaborazione con il Post; ha cambiato sguardo sul mondo, inizia a collaborare con la rivista Look e i suoi lavori respirano il clima dei delle battaglie per i diritti sociali.
Forse non è un caso che nel 1965 Norman disegni per la Pepsi-Cola un Babbo Natale, figura a lui familiare e sulla quale lui si è cimentato sin dagli anni venti, ma non si può non fare caso al fatto che proprio sul Babbo Natale sia stata la Coca-Cola – di cui la Pepsi-Cola è storico competitor – a costruire, e di fatto assolutamente a vincere, l’immedesimazione tra prodotto e celebrazione globale dell’evento.
La misura del ritmo del tempo arriva nel 1972.
La sintesi è epocale.
Non un prodotto, non un brand da trovare a scaffale, da bere o mangiare a casa o da ordinare al ristorante
McDonald’s è un mondo e, piaccia o meno, entrare in un McDonald’s significa entrare in un mondo a parte.
Nell’immagine Norman mette tutto il suo; il clima è quello della festa attesa che riunisce tutti, famiglia, bambini e adulti, figli e genitori e amici dei figli, l’uomo della provvidenza ha una M stampata sul grembiule e sul berretto e quando arriva è accolto da stupore e felicità. Il quadro è perfetto, nessun panorama, nulla che distolga l’attenzione dal momento centrale, la relazione tra il mondo McDonald’s e i suoi abitanti.
Personalmente mi colpisce un dettaglio, la mano; la trovo disallineata rispetto alla figura e al movimento, ma soprattutto la trovo troppo adulta rispetto al ragazzo che porta il vassoio, troppo grande rispetto alla proporzione del viso, troppo centrale rispetto alla narrazione della scena.
Forse con quella mano Norman ha voluto dire altro.
È una mia suggestione, nulla di più, non ho trovato letteratura in proposito e Norman non ce lo può più raccontare, ma da questo viaggio in due puntate nel suo universo immaginario esco con una certezza: c’è un mondo senza tempo in cui tutto può accadere e in quel mondo, sono sicuro, Norman sorride agli affanni e continua a incantare con tela e pennello.
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