E dunque, eravamo rimasti alla mia scarsa tolleranza su alcuni termini o concetti del vino e su come vengono generalmente interpretati. Pragmatizzo e non procrastino, anche se con difficoltà, e ci provo. Parto da quelli più impellenti, che bussano nervosi attraverso sinapsi cerebrali asservite al giogo di una citazione di Mark Twain: “Imprechiamo finché possiamo. In paradiso non ci sarà permesso”.
I punteggi, quando sono senza argomentazione su un prodotto puntualmente messo al banco di prova, li trovo a dir poco inutili. Parlare serve. E se è vero che il dialogo condiziona, dovrebbe essere altrettanto vero che, chi è chiamato ad assegnare questi punteggi in qualità di “professionista” del vino, dovrebbe essere condizionato solo di fronte al dubbio. Francamente, invece di castigare per incomprensione, preferisco una luce che illumini un angolo buio, anche se aspersa da altri. D’altronde per me vale la logica che dietro ad una bottiglia di vino c’è sempre il lavoro di molta gente e questo non può essere trattato né con saccenza, né con superficialità.
Lo si sente dire spesso e probabilmente è una formula che funziona davvero e un obiettivo che si rincorre (non solo nel vino), quello del successo. Ma come disse il buon Battiato qualche anno fa durante un concerto, “il successo spesso, molto spesso, non è meritocratico“. Chi conosce il vino e il suo mondo dovrebbe esser consapevole che il vino per rimanere tale deve essere sottratto al potere del mercato e dei numeri – quindi al successo così formulato-. La pena altrimenti è la perdita di quell’identità estetica che lo rende unico ed irripetibile. Secondo una citazione di Paul Ricoeur, “all’ipertrofia dei mezzi corrisponde un’atrofia dei fini“. E laddove il fine del vino è quello di ritrovare un po’ di genio del luogo, quello atrofico del mercato è il raggiungere volumi golemici attraverso mezzi ipertrofici. Fare un vino corretto, mantenendo fede all’originalità data dalla tradizione e che sia da sostentamento per il produttore, è diverso dal renderlo riproducibile come in una catena di montaggio di fordiana elargizione.
Pensavo, dopo aver rivisto per la quarantesima volta Kill Bill vol II, alla frase di Bill: “Superman non diventa Superman; Superman è nato Superman. Quando Superman si sveglia al mattino è Superman, sono quelli i suoi vestiti. Quello che indossa come Kent, gli occhiali, l’abito da lavoro, quello è il suo costume. Per questo Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana ”. Territori particolarmente vocati – Pomerol, in grado di rendere austeri ed elegante il Merlot; la Cȏte d’Or, che riesce a “sottomettere” la barrique – non hanno bisogno di indossare i panni da supereroi per i loro vini. Sono già, per intrinseca natura, super! Che c’entra con il termine iniziale? Nulla! Ma io l’ho legato a enoico, come dire: un territorio enoico contro uno super-enoico. Lo so è una mia forma di dislessia o un problema di assonanze, ma di fatto riconduco il termine enoico direttamente ad eroico, parola che odio come poche altre cose. Mannaggia la Marvel!
Certo che conta l’esperienza, c’è gente che ha realmente sulle spalle una cultura in termini di degustazione -e non solo- in grado di soverchiare l’Himalaya. Ma questa cultura non si attiva in maniera aprioristica. In tal senso voglio solo ricordare, non essendo io né più così giovine, ne’ ancora vecchio, che Gigi D’Alessio ha sulle spalle venti milioni di dischi venduti e Berlusconi sta in politica da centodue anni… Vi sembrano una garanzia? A me no! E preferisco le giovani e scalpitanti linci alle vecchie iene che, immuni al fetore delle carcasse che le circondano, preferirebbero il dispotismo dello status-quo alle aperture e ai dialoghi. Insomma, io sono per il concetto che è meglio dire una cacchiata di troppo, che tacere all’infinito davanti agli Imam del vino.
Senza nessun fideismo verso una materia già di per sé complicata come la naturalità del vino, asserisco che il vino naturale esiste. Chi afferma il contrario -“Il vino naturale non esiste poiché è fatto dall’uomo” – o è in mala fede o manca di sensibilità e gli sfugge il concetto per il quale l’uomo non è esente dal sistema natura. Ne diviene semplicemente veicolo ogni volta che accompagna i processi di trasformazione, allo stesso modo delle api che trasformano il nettare in miele. Bisognerebbe diventare consapevoli che siamo insetti, batteri anche noi su ‘sta mattonella di terra; né migliori, né peggiori, semplicemente diversi.
Sostenere il contrario è pericoloso oltre che dannoso, poiché vuol dire dissociare le nuove generazioni da un circuito naturale già fortemente compromesso da quelle precedenti, invece di educarle a sentirsene parte integrante e a rispettarlo. Un sistema-natura troppo spesso concepito come mera proprietà privata, sulla quale riversare unicamente sfruttamento e profitto.
Va bene che ormai senza un neologismo anglofono non sei nessuno, ma anche nel nostro amato “itagliano” amanti-del-vino un po’ di problemi me li causa. Ci si avvicina più al titolo di un video di Youporn, che non ad un’aggettivazione realistica… Non so, ma a me i “trombatori di vino” danno da pensare e non proprio in un’accezione positiva.
Ci piace, ma… Se è vero che la bendatura della bottiglia toglie ogni possibile sudditanza psicologica legata all’etichetta, concedendo così libertà di pensiero sul vino testato, di contro alcuni punti vanno chiariti: l’ordine d’assaggio non può essere casuale. Assaggiare un sottile Ghemme dopo un Primitivo dalla fisionomia di un megalodonte da 18° gradi alcolici, è come voler fare la guerra ad un Panzer IV Tiger con una Honjo Masamune.
L’ordine d’assaggio va testato in precedenza; soprattutto se, per eccesso di figaggine, si vuole rompere con la formula canonica basata sull’ascesa del grado alcolico o sul generis spumanti-bianchi-rossi-spumanti. I macerati e i fermentati sulle bucce vanno assaggiati dopo, sicuramente dopo quasi tutti i bianchi. Altrimenti il rischio è lo scardinamento delle papille gustative. Affrancarsi dal pensiero collettivo delle etichetta-trofeo buone a prescindere è necessario, ma con i dovuti modi o otterremo esattamente l’opposto di ciò che volevamo perseguire.
Ora. Va detto che ho un numero ragguardevole di assaggi sulle spalle e più di una ventina d’anni d’esperienza. Ho portato al successo numerosi vini col mio personale fare enoico e sono seguito da molti, ma mai abbastanza, wine lovers. E nelle degustazioni alla cieca inserisco sempre una bottiglia “clandestina”, solitamente piena di gpl.
Chiudo perciò citando Montanari che cita Calvino:
“Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”.
E si sa, nel deserto viene sete!
di Raffaele Marini
Facilissimo da fare e gustoso da assaporare, il burro aromatizzato è quell'elemento fantasioso da aggiungere alle vostre…
Il mercato online dei vini e dei liquori in Italia si sta dimostrando il protagonista di una…
La combinazione di buon cibo e musica dal vivo è un'esperienza che coinvolge tutti i…
Per poter realizzare una torta di compleanno è fondamentale rispettare due requisiti: creatività e fantasia;…
In questo articolo potrei parlarvi di un posto bellissimo, Tignale sul lago di Garda, di…
Iniziare una dieta non significa privarsi completamente dei piaceri dolci, ma piuttosto scegliere con intelligenza…