Perché l’industria della pasta rifiuta la trasparenza sulle etichette? Ecco le verità…
Partiamo dal fatto che noi consumatori abbiamo il diritto inalienabile di sapere cosa si nasconde dietro un semplice piatti di pasta. Basterebbe indicarne le caratteristiche in etichetta, sulla confezione. Ma se è così semplice, perché l’industria della pasta è contraria a questa etichetta? Ci sono motivi validi per i quali debba aver paura della trasparenza nei confronti dei consumatori? Capiamolo insieme.
Sono stati firmati i decreti che introducono l’obbligo di origine del grano con cui viene fatta la pasta e del luogo di produzione del riso. Per due anni il nostro paese sperimenterà il nuovo sistema di etichettatura, nel solco della normativa già in vigore per latte e formaggi. Questa norma, però è stata al centro di un acceso dibattito con i pastai.
L’industria della pasta, soprattutto quella che produce marchi molto affermati in Italia, sostiene che questo decreto possa arrecare danni sostanziosi all’azienda stessa. Infatti, con questa propaganda nazionalista, il consumatore tenderà ad acquistare pasta prodotta 100% con grano italiano.
I pastai, per andargli incontro, dovranno produrre prodotti ad hoc ed in questo modo la qualità della pasta peggiorerà. Infatti, non solo il grano italiano non è sufficiente a livello quantitativo, ma è altrettanto insufficiente la qualità che serve a produrre un’ottima pasta.
In Italia, soprattutto negli ultimi anni, mentre la coltivazione di grano diminuiva, la produzione di pasta era in continuo aumento. Questo perché il grano italiano viene pagato talmente poco che spesso non vale nemmeno la pena coltivarlo e raccoglierlo. E’ economicamente più conveniente lasciare i campi incolti. Ecco perché la produzione di grano in Italia non è sufficiente per coprire il fabbisogno.
Il decreto grano/pasta in particolare prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture:
Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti indicazioni: Paesi Ue, Paesi non Ue, Paesi Ue e non Ue. Se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue”.
Per quanto riguarda il riso, il provvedimento prevede che sull’etichetta devono essere indicati i paesi di:
Anche per il riso, se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le diciture miste.
Le indicazioni sull’origine dovranno essere apposte in etichetta in un punto evidente e nello stesso campo visivo in modo da essere facilmente riconoscibili, chiaramente leggibili ed indelebili. I provvedimenti prevedono una fase di 180 giorni per l’adeguamento delle aziende a nuovo sistema e lo smaltimento delle etichette e confezioni già prodotte.
La trasparenza sulle etichette di ciò che mangiamo è un diritto di ogni consumatore, su questo non ci sono dubbi. Ma allora, non sarebbe corretto che questa trasparenza sia totale, comprendendo anche la provenienza di grano e farine impiegate per la produzione di pane, pizza e prodotti lievitati in generale?
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