Pinot Noir. Fama e sottrazione.

Pinot Noir: nulla è come sembra. E’ il vino più insigne al mondo, la quintessenza dell’eno appassionato. E’ leggenda e mito. Eppure al primo incontro ravvicinato, il Pinot Noir spiazza totalmente, soprattutto per la sottrazione. Come spiegare allora la fama che lo precede? Impossibile, come impossibile è spiegare l’attrazione che un’opera come la Monnalisa esercita. Più che guerriero spavaldo è Cavaliere il Pinot Noir. E visti i risultati che solitamente lo accompagnano al di fuori della Borgogna, potremmo aggiungere errante. Più idealistico che materiale, come il Don Chisciotte di Cervantes anche lui ha i suoi mulini a vento.

Don Chisciotte, il Cavaliere errante

Non si lascia avvicinare per gradi: l’impatto è netto e la rottura insanabile; come la nota pubblicità delle scarpe di qualche anno fa, “O si odia o si ama”. Nella maggior parte dei casi è difficile per gli assaggiatori in fase di “luna di miele”: bisogna educare l’assaggio per poi disimparare ogni regola canonica acquisita per poter essere sedotti da Lui.
E’ la norma: i rossi importanti sono opulenti, morbidi, stratificati e concentrati, dai colori impenetrabili e di estrema potenza tannica. Il Pinot Noir invece trasgredisce tutte le leggi: fa poesia, basandosi sul concetto di “vuoto lirico”. Già nell’impatto visivo, a causa della mancanza di pigmenti, il colore risulta scarico con forte tendenza al granato; è uno dei rari casi in cui con l’invecchiamento il vino tende lievemente a scurirsi. I profumi in gioventù raccontano di piccoli frutti rossi, lampone, fragola e ribes; le note vegetali sono quelle della foglia di pomodoro. Se è vero che il vino è “liquido odoroso”, lui più di ogni altro ne è l’emblema: dello spettro olfattivo ha fatto la sua lancia. Con la maturità arrivano i sentori di cuoio, concia e animale; quest’uva è stata in grado di far diventare interessante, per gli esperti in materia, anche l’odore di merde de poule. Come un cantore senza estensione vocale, ma con profonda articolazione canora, richiede un ascolto concentrato: è il Faber dei vini.

Pinot Noir. Fama e sottrazione

In Italia è Pinot Nero e non è semplice semantica: ci proviamo, ma il risultato è caricaturale: troppo legno, troppo pesante. E’ difficile e selettivo il Pinot Nero: viene bene solo in rari territori e i risultati fuori dalla Côte de Nuits sembrano quelli di un purosangue selvaggio costretto a correre al trotto e condotto da un fantino imberbe. Qui la mano del produttore gioca un ruolo determinante, soprattutto dove la frammentazione dei Cru tra diversi produttori necessita, in maniera imprescindibile, di far esprimere le peculiarità del finage, senza soverchiarlo con ornamenti indesiderati. E’ dogmatico: per lui la barrique diviene strumento di emancipazione e non semplice make up.
Nei territori dove è adottato da secoli, il Pinot Noir è in grado di restituire come nessun altro vitigno al mondo il climant d’appartenenza. E nella Côte de Nuits, dove le viti hanno poca terra a disposizione e le radici sono costrette a penetrare immediatamente nella roccia calcarea di antichissima origine, i suoi Cru emblematici ne sono testimonianza pura.

Terroir tipico del Pinot Noir

Marsannay è l’entrata nord della Côte de Nuits; produttori rivoluzionari sono intenti a cambiare la sorte di un Cru destinato alla quantità, ma che ad oggi sforna anche qualità e godibile immediatezza, in un rapporto col prezzo eccellente.
Gevrey -Chambertin ha contribuito “importantemente” alla fama della Côte D’Or. E’ circondato da Gran Cru e Premier Cru, ma regala l’interpretazione più virile dei Pinot Noir di Borgogna, mantenendo come rumore di fondo l’eleganza del vitigno, ma riuscendo a donare vini polposi e serrati da trama tannica.
Scendendo verso Beaune incontriamo il cru che dona i Pinot Noir più armonici e femminili: le viti sono piantate direttamente sulla roccia madre, poca argilla molta finezza; quello di Chambolle-Musigny è una beva giocata sulla seduzione.

Al di là del piccolo corso d’acqua di Vouge, c’è uno dei Clos più frammentati (50 ettari divisi tra circa 80 produttori), quello di Vougeot: arabeggiante, balsamico; territorio che parte dalla collina per arrivare in pianura, donando un spettro ampio ai suoi vini, soprattutto nei blend che includono tutte e tre le altitudini. Ma attenzione, la frammentazione può giocare brutti scherzi.
Vosne-Romanée: nobiltà e classe; racchiude i climant più prestigiosi della Côte de Nuits. E’ uno dei territori più istrionici: diviene fine come la seta e avvolgente come il velluto nel cru della Tâche; teso come una corda di violino e di aristocratica eleganza in un Grand Echezeaux; potenza e chiusura nei Richebourg. E’ ancora più a sud che incontriamo Nuits-Saint-Georges, uno dei cru più “vibranti”. Regala vini dal profilo più austero che elegante, intensi e strutturati; sono per molti tra i più longevi, anche grazie alla presenza tannica che in questo cru trova la sua forza espressiva. Come ultima tappa “sudista” si raggiunge Beaune. Priva di Grand Cru, qui il Pinot Noir acquista calore e solarità, per alcuni cedendo in eleganza; anche se, ad abiurare queste constatazioni interviene fiera la vigna dell’Enfant Jesus di Buchard Père &Fills a Grevés.

Bouchard Père & Filles. L’entrata del loro vigneto a Beaune

E se questo è necessariamente solo un sunto di quello che sono i Cru di Borgogna, per approfondire non rimane che andare in enoteca, acquistare diversi Premier Cru e Gran Cru, aprire le bottiglie e poi… chiamarmi!

di Raffaele Marini

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