Ho sempre creduto che la resistenza fosse, più che un atto di forza, un atto di fede. La differenza è tutta nell’intenzione che muove l’azione. Un’azione che si oppone al potere, ad una forza che inizialmente sembra incontrastabile.
Il termine resistenza non è mai legato a chi detiene “lo stato delle cose”. Agli agglomerati. Alle multinazionali. Semmai ne è l’esatto contrario. Il diritto di resistere è legato alla difesa e mai all’attacco. Si ritrova nei piccoli, negli artigiani. Si basa sulla capacità di aggregazione di soggetti comuni contro un potere costituito. Contro uno stato tirannico o un invasore. Il 25 Aprile di settantadue anni fa segnava la fine dell’occupazione dell’esercito nazista, costretto a capitolare dopo l’insurgenza della Resistenza italiana. Ancora oggi questa data è segnata in rosso sul calendario, a ricordare quello che è definito il Secondo Risorgimento.
Ma in questi giorni c’è un motivo in più per parlare di resistenza: il vino, il confine al quale mi fermo, ma che in realtà potrebbe comprendere un ben più esteso comparto agricolo.
Parlare di enologia e del concetto di resistenza fa facilmente pensare a quei vini che, per un illogico e quanto scanzonato destino, hanno sofferto di mancanza di notorietà. Quei vini che si sono visti relegare ad un consumo di nicchia, alcuni dei quali hanno subito una vera e propria estirpazione a fronte di vitigni “qualitativamente” ritenuti superiori. Ma altro lega viticoltura e resistenza: è l’angustia di alcuni territori estremi su cui i produttori continuano ad allevare in condizioni tanto difficili da aver dato vita a quella dicitura che è viticoltura eroica.
Quest’anno però, come in poche altre date, il termine Resistenza trova ulteriore senso in funzione di quella natura, madre-matrigna, che ha decimato interi raccolti. Un soffio gelido esteso su ettari e ettari di vigneti, che ha ghiacciato in una morte democratica, anche se in un diabolico gioco di macchie casuali, grandi e piccoli territori; cru prestigiosi e vigneti anonimi; famosi produttori e sfamanti vigne per sbarcare il lunario.
Secondo la Coldiretti, in un bilancio del tutto provvisorio che registra come ultima data quella del 21 di Aprile, i danni sono calcolati in 100 milioni di euro per tutto il comparto agricolo.
Solo in provincia di Piacenza sono andati necrotizzati 250 ettari di vigneto. Sempre secondo la Coldiretti le zone più colpite sarebbero la Val d’Aosta, dove sono andate distrutte le vigne più alte d’Italia, quelle del Blanc de Morgex e de La Salle. In Piemonte sarebbero rimaste interessate le province di Alessandria, Asti, Cuneo, Vercelli e Novara, mettendo in ginocchio la produzione di Gattinara e Ghemme. In Lombardia le zone più colpite sembrerebbero la Valtellina, il Bergamasco e il Bresciano, con Grumello, Franconia e Marzemino.
Nel Veneto dei Colli Berici, in provincia di Vicenza, si calcolano perdite tra il 70 e l’80% tra Cabernet e Merlot. Ancora in Veneto, nella zona di Lunigo, sono andati distrutti i vigneti di Pinot Grigo, Pinot Bianco, Glera e Chardonnay; e una decimazione del raccolto si è avuta anche sui Colli Euganei, a Padova.
In Toscana, nella Valdichiana aretina e nelle zone del Chianti fiorentino e senese, i danni sono ingenti, ma ancora tutti da stimare. Altra regione che registra una perdita considerevole è la Sardegna: la Coldiretti denuncia migliaia di ettari di vigneti arsi dal gelo in provincia di Sassari.
Una situazione a cui i viticoltori di tutta Europa non sono estranei ormai da anni. Gli esempi eclatanti dei vignaioli di Borgogna o di Chablis dello scorso anno, hanno inondato tutti i social: immagini di fuochi tenacemente e testardamente tenuti accesi per notti intere, quasi a supplicare la temperatura di alzarsi e il gelo di non fermarsi su quelle terre e su quelle gemme. Anche quest’anno la scena è stata simile e quelle esperienze, mutuate da vignaioli resistenti in tutta Italia, sono arrivate anche da noi. Una risposta più o meno efficace a continue alterazioni climatiche di cui le gelate di questi giorni sono solo un assaggio.
La vendemmia 2017 infatti, si dovrà confrontare e non poco con una siccità perdurante per tutto questo inverno e per una Primavera inusitatamente asciutta, o al limite caratterizzata da rovesci improvvisi e violenti. E non va meglio in altre parti del mondo, soprattutto se guardiamo alla Swan Valley, una delle zone a più antica tradizione vinicola in Australia. Ormai a ridosso della vendemmia, infatti, l’intera vallata è stata sommersa dalle inondazioni che hanno caratterizzato questo inizio d’autunno nel continente australe.
Con queste anomalie i produttori dovranno sempre più fare i conti, pagando un prezzo altissimo in termini di sacrificio verso una natura che, sempre più, ci mostra la forza mutevole con cui non eravamo più abituati a dover Resistere.
Resistenza e resilienza. Le due doti richieste ai produttori per superare questo 25 Aprile, che ha indubbiamente il sapore amaro dell’incertezza.
di Raffaele Marini
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