Vino e carnevale, un abbinamento “forte”, a tratti irriverente, così come l’articolo che proponiamo. Attenzione! Il pezzo è ad alto contenuto di cazzeggio. Si consiglia la lettura ai soli tracannatori a casaccio. Da assumere dopo il veglione mascherato!
La sacralità che accompagna con seriosità rituale ogni ingessato commento sul vino e sulla disciplina marziale del suo abbinamento col cibo, scema nei coloriti giorni del Carnevale. Ma d’altronde si sa, questa festa è contro ogni forma di imposizione, di potere e divisa. È anticlericale, pagana e anarchica per eccellenza; per cui, con beneplacito del fegato, messo già alla prova dall’appena trascorso Natale e a cui serviranno pressoché a nulla i quaranta giorni di depurazione che precedono la Pasqua, proviamo tre abbinamenti, essenziali, apodittici e poco consueti. Dopotutto si sa: è Carnevale… E quindi, col sano proposito che per scherzare bisogna esser seri, anzi serissimi, iniziamo a deflorare con discrasia ogni dogmatica inquadratura.
Passo primo. Vino e carnevale, ma anche maschera: Pulcinella. Eh sì, LA maschera! Partenopea, ilare, in continuo dileggio del potere e di certa origine popolare se non persino contadina. Conosciuta già all’epoca, romana estinta con l’arrivo del Cristianesimo, rinascerà nel ‘500 con la commedia dell’Arte. Questa maschera ben si abbina alla oltraggiante Lasagna di Carnevale napoletana, che vede come ingrediente principe il maiale -già, quel principe del maiale!- in spezzatino, salumi e quant’altro, e come principesse le polpette di parmigiano fritte. È un piatto “esorcizza–fame”, in quella Napoli che ha ben saldo il ricordo di questa sensazione. E se nell’abbinamento la contrapposizione è un’esigenza, di fronte alla debordante “giunonicità” della lasagna non si può che andare di snella eleganza.
C’è chi lo paragona ai migliori Pinot Noir d’Oltralpe, anche se l’intera bottiglia costa come la capsula del più pauperista tra i Cote de Nuits! Va riconosciuto che un tocco francese c’è, sia per la storia che nel nome originale: il Per ‘e Palummo, “zampa di piccione” sarebbe la traslazione nell’erudito Italiano, ma la luttuosa perdita di calore nella traduzione è incolmabile e quindi conviene chiamarlo Piedirosso: è un vino sapido, acido, di difficile amministrazione in vigna e in cantina, rivoluzionario anche lui proprio come Pulcinella. Nelle migliori versioni sarà in grado di penetrare la stratificazione del piatto e ripulire da cotanta succulenza con sapida austerità. Tre nomi da provare su tutti: Giuseppe Fortunato, IV Miglio e Cantine Astroni.
Secondo passo. Vino e carnevale ed altra maschera tipica regionale. Sproloquiatore senza contesto, né senso logico, è la maschera che incarna la “supercazzola”: Balanzone o dott. Balanzone. Di origine emiliana -e non poteva essere altrimenti-, è una delle poche maschere grasse del Carnevale. La sua “dotta” logorrea lo conduce inesorabilmente alle Chiacchiere, dolce nazionale di rivendicazione pluri-regionale. Tra le tante, anche quella del Dottore, l’Emilia Romagna, che le ospita con il nome di Intrigòun. Conosciute anche come Frappe o Bugie, finanche Maraviglias in Sardegna, nascono per soddisfare i desideri della Regina Margherita di Savoia: fragranti, zuccherose e semplici, “alleggerite” dalla frittura, sono assolutamente da provare con l’Albana di Romagna Passito Solesia di Altavita, Fattoria di Gessi, vino che nasce tra le colline velate dalla nebbia, dove le uve vengono asciugate dal maestrale e da cui si trarrà un passito di naturale concentrazione e irresistibile beva. Altrimenti, restando in tema carnevalesco, la Malvasia Frizzante di Camillo Donati… e lo so, qui qualcuno bestemmierà, ma il Carnevale è anche blasfemo!
Terzo passo. Vino e carnevale e la sua maschera per eccellenza. Sembra quasi la realizzazione del sogno americano; è la povertà infatti a far metter insieme gli scampoli che daranno vita all’abito più colorito e famoso del Carnevale. Di carattere brioso e sfaccendato, sempre con la battuta pronta, è probabilmente la Maschera più famosa di questa festa: Arlecchino, insaziabile mangione, a dispetto della sua fisicità agile e vivace; servo per nulla servile, di origine bergamasca, ben si sposa con i Farsòe, variante cremosa degli strufoli o castagnole che dir si voglia. Nella versione lombarda, oltre ad esser riempiti di crema, hanno anche l’aggiunta di liquore nell’impasto. Richiamano la maschera anche nei colori quando vengono ricoperti dagli zuccherini. Abbinamento in briosità, con un Lambrusco mantovano, preferibilmente un Salamino o il Ruberti, nella versione meno “selvatica” dell’Incantabiss dell’azienda Fondo Bozzole.
E adesso scusate, ma il Carnevale stringe, il tempo mormora e gli abbinamenti chiamano. Insomma, le ultime ore di goliardica irriverenza festaiola vorrei passarle…a sperimentare accostamenti. Quindi, buona maschera a tutti!
di Raffaele Marini
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