Ve lo ricordate il Natale?
Il Natale atteso, sognato, immaginato e immaginario, ma qualcuno può forse dire che non fosse bello il Natale immaginario, anche se poi quello vissuto finiva per essere un po’ diverso?
Quello era il Natale della meraviglia e, per intenderci sul significato di meraviglia, guardate la copertina disegnata da Mario D’Antona per L’Illustrazione del Popolo del 26 dicembre 1948.
La meraviglia è lì, in quel capannello di umanità assiepata davanti al presepio, mamme e bambini con le loro espressioni di gioia, i loro gesti di sorpresa perché, come recita la stessa didascalia “Di schietta tradizione italiana, il presepio rinnova ad ogni Natale la meraviglia di adulti e piccini: statuine e paesaggi più o meno artistici ispirano nella loro ingenua prospettiva un’autentica commozione e un desiderio di pace e di bontà“.
Ebbene fate caso a un particolare dell’immagine; in basso sulla sinistra c’è una bambina, è senza cappellino, ha in mano una trombetta e non guarda verso il presepio, è l’unica a non farlo ed è anche l’unica che guarda direttamente voi.
Lo sguarda della bambina va al di fuori dell’immagine perché guarda al futuro, lei è l’angelo fuori dal presepio e come tutti gli angeli della cultura popolare ha una tromba, simbolo della musica celestiale che accompagna un annuncio importante.
Guardatela, anzi, lasciatevi guardare, sono sicuro che un po’ di meraviglia coglierà anche voi.
Passando dal sacro al profano, in quel Natale della meraviglia il cinepanettone si chiamava Pane, amore e…, terzo film della serie con Vittorio De Sica e Sophia Loren diretti da Dino Risi che, uscito in sala il 22 dicembre 1955, si piazzerà quarto per incassi in quella stagione cinematografica e consegnerà alla storia del cinema l’iconica scena del mambo italiano, dove persino la sensualità della giovane Loren passa in secondo piano rispetto alla straordinaria teatralità di De Sica.
Ovviamente il Natale della meraviglia non poteva essere trascurato dalla pubblicità del cibo, visto che proprio la tavola di quel Natale è sempre stata il momento del ritrovo affettivo.
Nel 1950 il panettone Motta ci propone una famiglia con stilemi estetici simbolici di tutto l’immaginario del tempo; una mamma vaporosamente bionda, perché le stelle del cinema in quegli anni sono bionde, vaporose e americane, una nonna elegantemente austera ma sorridente, un nonno che alza il calice impugnandolo nel modo sbagliato – ma chi ci pensava in quel momento? -, un papà in gessato e un bambino in giacca doppiopetto che, sullo sfondo di tetti innevati, mangiano e festeggiano con il panettone.
Insomma, anche se l’ambientazione, panettone meneghino a parte, può sembrarvi più bostoniana che milanese, lasciate correre perché a Natale accadono sempre cose straordinarie.
Ce lo ricorda anche il quaderno del liceale Franco Sorge, con la copertina illustrata dalla storia del Pranzo di Natale di Topolino, un pranzo diverso dal solito, un pranzo di quell’altro mondo della meraviglia che è il mondo disneyano, dove il tacchino predestinato a essere il piatto forte della tavola natalizia, dopo qualche peripezia, della tavola diventa un commensale insieme a Pippo e Topolino.
Una sensibilità che nel 1952, quando mangiare il tacchino era una festa già di suo, non era affatto scontata.
Media per eccellenza del Natale della meraviglia era comunque la letterina indirizzata a nonni, genitori e spesso anche direttamente a Gesù Bambino, letterina scritta in classe in bella grafia con buoni propositi e ringraziamenti dettati dal maestro, ma che tutti abbiamo scritto credendoci veramente e sporcandoci le mani con la porporina colorata che le abbelliva e gli dava quell’allure di prezioso che effettivamente meritavano, proprio come la letterina di Mario che scrive ai carissimi genitori nel Natale 1954, una letterina che le simboleggia tutte, capitata per caso davanti ai miei occhi sulla bancarella di un mercatino e che ho salvato dalla dispersione comprandola.
Nei primi anni cinquanta, nella liturgia popolare del Natale, si inserisce un oggetto iconico e rituale che vivrà decenni di strepitoso successo: la cassetta natalizia.
Ambito oggetto del desiderio e vero status symbol sociale, la cassetta natalizia andrà lad affiancare e poi a sostituire quasi del tutto la consolidata tradizione del regalo in natura, sullo stile di quello immortalato dalla copertina di Grand Hotel del 1962, dove una nonnina augura il buon Natale al medico che ha appena visitato il nipotino regalandogli un pollo intero e ben spennato.
La pubblicità della cassetta natalizia Motta è del 1953 e ci fa sapere che il costo, a seconda del modello andava dalle 7.000 alle 19.000 lire, non poco considerando che nel 1950 lo stipendio base di un operaio generico era di 32.000 lire mentre un chilo di carne ne costava 1.000.
Ma in fondo la pubblicità deve regalare sogni, proprio come fa la Knorr, che nel 1958 raffigura un Natale ricco ed elegante con tanti regali sotto l’albero, un Natale di lusso dove il consommé servito a tavola come gran classico del menù d’ordinanza è ovviamente preparato con il dado di lusso Knorr.
Nel 1956, invece, l’acquisto di una cassetta natalizia Gancia, con le sue sei bottiglie di Riserva Reale aggiunge sogno al sogno, perché consente di rincorrere la fortuna partecipando a un concorso con tanti premi sicuri come televisori Blaupkunt, frigoriferi Philco, orologi Rolex e, più di tutti, una Lancia Aurelia Gran Turismo.
Nel 1959, invece, la cassetta natalizia Cirio, per 5.000 lire offre 30 prodotti, il libro Cirio per la casa 1960, un buono per 50 etichette Cirio e un buono numerato per partecipare all’estrazione di 30 soggiorni di cinque giorni a Capri, da sempre simbolo di mondanità e vacanze esclusive.
Sorprendente, sempre nel 1959, la cassetta natalizia di cui non avrei mai sospettato l’esistenza, quella della Simmenthal, che per 2.000 o 3.000 lire offriva 10 o 15 scatole assortite della buona carne in scatola, con manzo lessato, lingua salmistrata, pollo in gelatina, vitello tonnato, un ricettario e un portafortuna; evidentemente alla Simmenthal devono aver pensato essere meglio vendere una fortuna duratura assicurata dall’amuleto, piuttosto che quella effimera di un’estrazione.
Siamo ormai in pieno boom economico, il tenore di vita migliora per tutti e la famiglia che ci propone la copertina di Grand Hotel del 25 dicembre 1964, genitori con tre figli in pieno stile e decoro borghese, non è più quella di dieci anni prima e non è così lontana dalla realtà.
Di questa Italia che ce l’ha fatta, la cassetta natalizia Vecchia Romagna è un po’ un simbolo: elegante e bella per come si presenta tanto da essere poi quasi sempre conservata in casa e diventare negli anni anche oggetto di collezionismo, la cassetta natalizia Vecchia Romagna è il regalo che crea la magica atmosfera dei giorni di festa e, a guardare la sfarzosissima e colorata pubblicità del 1969 non gli si può proprio dare torto.
Insomma, ve lo ricordate questo Natale?
Badate bene prima di rispondere, perché non è necessario esserci stati in quegli anni per ricordarselo.
Non è necessario perché lo spirito del Natale della meraviglia è lo spirito di tutte le feste di famiglia, a volte un po’ lunghe con quei pranzi interminabili, a volte un po’ noiose con i discorsi che spesso si ripetono uguali ogni anno, gli stessi piatti messi in tavola, la stessa disposizione dei posti, gli stessi sbadigli opportunamente nascosti dietro il tovagliolo.
Funziona così nel ciclo della vita, momenti che sembrano interminabili e che poi si svelano invece essere stati velocissimi quando qualche posto rimane vuoto e le tavole si accorciano, perché qualcuno nel frattempo è andato a vivere una nuova vita da qualche altra parte, oppure è andato avanti.
E poi capita che arrivi l’inaspettato, il virus che si è portato via questo 2020 insieme a tanti che a Natale non saranno con le persone a cui volevano bene.
Le tavole, quest’anno, saranno più corte per tutti e forse mai come quest’anno avremo un Natale Immaginario.
Allora fate un piccolo sforzo, provate a ricordare il Natale che vi piace, provate a vivere il vostro Natale Immaginario perché lo sapete che a Natale possono accadere cose straordinarie.
Il Natale Immaginario può essere bellissimo e farà bene a tutti.
In attesa del prossimo, perché il Natale più bello è sempre quello dell’anno che verrà.
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