di Fabrizio Mangoni
Il giovane scrittore si aggirava per i vicoli di Napoli. Era lì per aiutare il padre nel suo commercio, ma in realtà coltivava le sue aspirazioni letterarie. Frequentava le biblioteche della città, conversava con artisti e intellettuali, aveva anche trovato quasi per caso, nella chiesa di San Lorenzo, la sua musa ispiratrice, una giovane e bellissima ragazza. Sicuramente nei vicoli della città gli avranno offerto quello che è da sempre il cibo di strada per eccellenza di Napoli: ‘o Brodo ‘e Purpo. In un bicchiere viene servito ai passanti un brodo caldo dove, con prezzemolo e pepe, ha bollito per molto tempo un polpo. Mentre bevi, all’improvviso, una ranfa del polpo, viene su, come uno sberleffo osceno, che interrompe la grazia consolatrice di quel brodo. Ancora oggi nella Pignasecca, a Porta Capuana, il Brodo di Polpo, riscalda i napoletani accompagnato dall’invito: «Bevete! Questo è brodo di mare!». Ho sempre pensato che quel liquido consolatore assomigli alla città, seduttrice, ma pronta a colpirti “a tradimento”. Forse lo stesso avrà pensato il giovane scrittore Giovanni Boccaccio, ambientando a Napoli un episodio del Decamerone. Un giovane ingenuo, mentre è incantato dalla città, vien derubato da una prostituta, gettato in una cloaca, abbandonato in un pozzo e chiuso in un sepolcro. Ma, alla fine, si fa furbo, si adatta alla cattiveria, e si salva. Lo stesso Boccaccio, in una lettera del 1339 racconta che, per la nascita di un bambino, era stato regalato alla puerpera un polipo che era stato utilizzato per preparare il brodo. E di questo brodo di polpo dell’epoca, abbiamo una ricetta nel manoscritto medievale del Liber de Coquina.
Per il brodo di polpi, (anche di calamari o seppie) lava bene questi pesci e, tagliati, friggili con olio e cipolla, mettendo da parte il succo nero. E cuoci aggiungendo un poco di acqua. E verso la fine della cottura, mettici maggiorana, rosmarino, prezzemolo, il tutto tritato con spezie, e distempera con acqua. Fai bollire leggermente, e prima che sia ben cotto, mettici della mollica di pane abbrustolita, tritata e sciolta con un poco di acqua. L’insieme deve risultare denso. Poi, colala e aggiungi il nero di seppia conservato. E dopo, fai bollire brevemente. Se non vuoi mettere il nero, coloralo con del croco. Tu puoi addensare detto brodo con mandorle, nocciole, oppure noci tritate distemperate come indicato in precedenza. E se lo vuoi fare agrodolce, mettici del succo di cedrangoli con zucchero.
Qui siamo davanti ad un Brodo di Polpo aristocratico. Cosa ci racconta la ricetta? Innanzitutto la doppia cottura del polpo; come per le carni nel medioevo, anche qui c’è prima la frittura in padella con le cipolle e poi la cottura nel brodo. Qui incontriamo sia erbette di campo, abbastanza semplici da trovare e quindi popolari, cui però si aggiungono spezie preziose, segno di distinzione e ricchezza. A questo punto il brodo viene reso cremoso dall’aggiunta di mollica di pane, abbrustolita e spugnata. È questo un procedimento tipico delle salse medievali, dove ad un brodo dal sapore dominante (cannella, prezzemolo, aglio), veniva aggiunto un addensante a base di pane o di mandorle (per i signori). La ricetta suggerisce due colori: o il nero del polpo e della seppia, o il giallo dello zafferano. Volendo, si può ulteriormente addensare il brodo con mandorle, noci o nocciole tritate, secondo la citata tradizione delle salse. Infine il gusto acido e dolce del medioevo, irrompe come possibilità finale con un sapore a base di arance amare corrette dallo zucchero.
Boccaccio si muoveva nella Napoli Angioina, ma pochi anni dopo, sotto gli Aragonesi troviamo una nuova preparazione, forse di origine spagnola, che sarà la premessa di un altro famoso piatto napoletano a base di polpo. Nel ricettario di Ruperto da Nola, capo delle cucine di Ferrante d’Aragona, troviamo questa ricetta:
Il polipo è un pesce molto duro e per questo si picchia e si batte molto; dopo lavarlo bene, e metterlo nella pentola a cuocere con una cipolla, e un po’ d’olio; non ci buttare sale, perché questo pesce da sé è molto salato, e neanche acqua perché da sé fa tanta acqua e quest’acqua diventa come un brodo rossastro, e se gli vuoi buttare un po’ di spezie sarà molto meglio. Coprire molto bene la pentola, che non esca in nessun modo vapore. Cuoci a parte, con un po’ d’acqua. la testa dopo avergli tolto la trippa. Questo pesce si mangia con salsa verde al prezzemolo.
Qui siamo davanti a un polipo stufato, e cotto nella sua acqua; è un “polipo affogato” con l’aggiunta di una salsa. A metà del XVIII, secolo i pescatori di Santa Lucia, lo serviranno nei Pignatiello di terracotta, con la salsa di pomodoro, da poco “sdoganata” dai sospetti di essere velenosa. In Spagna ci sarà un’altra evoluzione: il Polpo incontrerà un altro immigrato dal Nuovo Mondo: la Patata. Pulpos e Pappas, con alloro e zafferano è un piatto delizioso che ancora puoi assaggiare nelle case e in alcuni ristoranti di Barcellona.
Insomma il Mediterraneo offre agli abitanti delle sue coste un animale affascinante, curioso, intelligentissimo. La sua cottura è semplice, salvo l’insidia che diventi troppo duro, per eccesso di calore, per troppa acqua, o per una cucina troppo lunga. Il suo destino è comunque la cottura nella sua stessa acqua. Il mio amico Lucio Rufolo, fine umorista, quando interpretava per radio la parte di un dietologo tedesco pazzo, rispondeva alle mie domande sulle “Migliori morti” delle pietanze, nel senso del detto: “Questa è proprio la morte sua”. A proposito del Polpo sentenziava: affogato, perché non possiamo certo farne un martire, impiccandolo.
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