Il desco-junk dei bambini. Un fatto indecoroso di cui sono l’artefice. Una impasse che ti frena, piomba le gambe e la mente e non ti consente di andare oltre. Anche per me è arrivato il momento nel quale bisogna guardarsi dentro e fare autocritica, un breve percorso di autocoscienza estrema che emancipa lo sguardo unitario e auto referente al quale mi abituo con troppa disinvoltura. Così, ho deciso di lavare pubblicamente i panni sporchi in rete condannandomi alla gogna del network. In un momento di sciagurata insensatezza, vinte le tormente intrapsichiche del mio super-ego, ho commissionato ad una bambina minorenne un lavoro a nero, ebbene sì, a nero.
Approfittando della sua benevolenza, ho agìto il bieco sfruttamento minorile, eludendo forme minime di tutela lavorativa che quantomeno potessero offrirle il giusto compenso! Ho rigettato pure la soluzione più semplice, quella gaiamente praticata da molti (im)prenditori che si avvalgono della putrida protezione dei buoni lavoro, gli abusati voucher. Subdoli pezzi di carta coi quali il nostro apparato legislativo ha legalizzato gli sfruttamenti di mano e mente d’opera, sotto mentite spoglie di lavoro accessorio ed occasionale (come se il lavoro si potesse categorizzare in accessorio, fondamentale, abbastanza importante, meno importante, indispensabile, essenziale e via dicendo). Tant’è. Personalmente sogno di vedere i nostri eletti in Parlamento retribuiti con la loro stessa moneta, il voucher, magari erogato a presenza, senza emolumenti, vitalizi, indennità e rimborsi spese vari.
E immagino un vicino futuro nel quale si potrà assistere in diretta streaming e televisiva a penose corse sfiatate di anziani senatori claudicanti e di deputate azzimate e rimasterizzate che inciampano coi tacchi a spillo sui sampietrini di Montecitorio. Tutti affannati verso l’accaparramento degli agognati voucher. Divagazioni di fantapolitica. Torno alla mia malefatta. Al nequitoso sfruttamento perpetrato a danno della bambina ha fatto seguito, oltremodo, la vile decisione di non monetizzare affatto il suo lavoro e di offrirle solo una settimana di vacanza insieme a titolo remunerativo. Non altro. Di tutta risposta lei ha accettato con vivido entusiasmo senza neanche pensarci troppo, configgendo ancor più la severa lama della moralità nella mia flebile coscienza. In quel preciso momento ho capito che questa indecorosa vicenda non poteva più giacere scotomizzata nei luoghi della mia anima e così, oggi, con risolutezza mi sospingo all’outing mediatico. E disvelo agli sguardi inquieti dei lettori che la minorenne in questione è la mia nipotina Sofia, adorabile bambina di 10 anni, che insieme a me e la mia amata metà ha passato una goduta settimana di vacanza in montagna.
Poiché nutro un’incontenibile curiosità verso le abitudini alimentari dei bambini, le avevo commissionato un lavoro di rilievo professionale, ovvero un’intervista da realizzare all’interno della sua classe, basata su sei domande mirate, scritte da me e volte all’apprendimento dei gusti e delle consuetudini alimentari della sua generazione. Lei ha svolto la sua mansione giornalistica in modo sapiente, individuando i momenti giusti per coinvolgere nell’intervista gli animi maschili più recalcitranti, quei pargoli esagitati ed impossessati, scarsamente inclini alla pacifica coesistenza. Brava Sofia. Bene. Superata in modo catartico l’ambiguità dell’episodio, devo dire che i risultati dell’intervista mi appaiono a un tempo straordinari e semplici; per l’interesse suscitato (e non scontato) nella sua classe e per la capacità tutta infantile di sgombrare il campo da qualsiasi azzardo teorico, esprimendo le proprie preferenze in modo naturale ed istintivo.
Il desco-junk dei bambini. Ciò che chiedevo. Come è andata l’indagine? Bene. Alla domanda “quando hai tanta fame cosa ti piace mangiare?”, apprendo un prevedibile orientamento massivo verso risposte quali “pizza”, “cioccolata”, “gelato” (sfama?); come la sinergia di una corale lirica che canta gioiosamente l’inno dell’“Affanculo ai LARN” (Livelli di Assunzione giornaliera Raccomandata di Nutrienti). Stranamente poche risposte convergevano sulla “pasta”; c’è chi ha voluto mantenere un profilo basso evocando il classico ”panino col salame”, mentre qualcun’altro ha voluto significare la propria totale apertura culinaria esplicitando un generoso “di tutto di più”.
Ma ci sono state risposte che scuotono le menti adulte più rilassate; tre in particolare, di altrettanti bambini che per soddisfare i momenti di fame acuta hanno preferito alimenti da scommesse clandestine: “fette biscottate”, “frutta”, “tè”. Neppure un vegano tendente al crudismo sarebbe stato capace di tali salutari scelte. Tuttavia, sopra a tutte, devo necessariamente segnalare l’impenitente risposta di una bambina: “salato”! Come a dire, non m’importa cosa devo ingollare per sfamarmi, la cosa di cui m’importa è che comunque sia salata. Superba. Alla domanda “quale verdure mangi”, invece, ci sono stati responsi eterogenei, drogati dall’incapacità (tutta adulta) di distinguere le verdure dai legumi e dagli ortaggi; in evidenza due uguali e meravigliose risposte secche, “insalata poca”, come ad esprimere il senso di sopportazione per l’unica verdura tollerata, ben specificandone la ridotta assunzione.
Ma la mia preferenza, ex aequo, la ascrivo ad un bambino e ad una bambina che, beatamente, si sono pronunciati rispettivamente con un “nulla” e un “nessuna”. Ammirevoli anime. Nell’analisi finale questi bambini hanno palesato una smaccata predilezione per cibi dolci e umami. Rispetto alle altre domande, emerge anche la tendenza generalizzata a consumare la colazione a casa piuttosto che al bar, benché talora accomodati in sala o sul divano coll’immancabile schermo rassicurante (tablet o televisore che sia). Questa tendenza conforta, vista la crescente presenza mattutina nei bar di bambini e genitori (sbavanti) di fronte alle esposizioni dei cornetti caldi. Colpisce anche il “sì” generalizzato all’apprezzamento del pesce. O la (ancora!) piena responsabilità delle madri lavoratrici, nel doversi suddividere tra spesa e fornelli.
Questa mini inchiesta mi ha avvicinato ancora meglio al mondo mangiare dei bambini e non escludo di poterla ripetere in altri contesti geografici a socialità distinta. Tuttavia mi lascia in eredità una severa preoccupazione; quale tavola ci sarà nel futuro di questi bambini? Cresceranno con una buona cultura alimentare o cederanno all’avanzata a stelle e strisce della (gl)obesità e dell’insano junk food? Hamburger, hot dog, patate fritte, bibite caloriche, merendine, snack confezionati, dolciumi. Insomma, cibo spazzatura. Non so perché non mi sento troppo ottimista; il mio pensiero vola oltreoceano, dove gli strateghi a stelle e strisce del commercio mondiale sono ancora lividi e stizziti dal momentaneo stop dell’Unione Europea al TTIP. Che cercheranno di far rientrare dalla finestra attraverso il CETA, un altro accordo commerciale tra Unione Europea e Canada, già ratificato.
Non c’è da stare tranquilli, a meno di non fidarsi ciecamente della Commissione Europea, presieduta da Jean Claude Juncker. Pensate che questo Popolare a capo della Commissione tenga botta alle pressioni commerciali della rapace aquila americana? Da un politico che favorisce i grandi gruppi transnazionali assicurandogli paradisi fiscali (vedi LuxLeaks), cosa ci si aspetta? Io confido unicamente nella nostra capacità di resilienza. Sarà che pure lui porta nel cognome quel junk che presto ci troveremmo nei piatti con l’accettazione del TTIP… Attenti al CETA!
di Cibaria
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