L’approvazione della strategia FARM TO FORK da parte della Commissione Europea, lo scorso 20 maggio, offre lo spunto per riaprire o quanto meno stimolare il dibattito su alcune questioni cruciali nell’ambito del sistema agro-alimentare europeo e sul ruolo dei consumatori, in grado di orientare le scelte del mercato.
Non è nuova la notizia, del novembre 2019, della condanna penale, ad opera del Tribunale di Ragusa, subita da un agricoltore che avrebbe piantato pomodori protetti da copyright di Syngenta avendo integrato con tale condotta la previsione di cui all’art. 517 cp, “fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale”.
La sentenza è un importante e, per certi versi, grave precedente, considerato che per la prima volta, almeno in Italia, viene chiaramente sanzionata la c.d. violazione della proprietà industriale relativa ai brevetti sulle sementi.
E’ bene chiarire fin da subito che l’uso privato dei sementi non è sanzionabile, mentre nel caso di specie, punibile quando la sementa è utilizzata nel contesto dell’impresa agricola e nell’ambito di attività commerciale.
A tal fine, è anche interessante capire il sistema di tracciamento delle sementi sulla base della rilevazione “un seme, una pianta”, verificabile attraverso la produzione immessa sul mercato: si confrontano i semi venduti e le quantità di prodotto immesse sul mercato. Se non combaciano, si avviano ricerche nelle zone di produzione anche attraverso le analisi del DNA delle culture; spetterà poi al produttore dimostrare l’acquisto dei semi brevettati.
Peraltro, tali questioni, fino agli anni ’70, non erano nemmeno ipotizzabili: la ricerca infatti era completamente in mano pubblica, o comunque finanziata con fondi pubblici. Dagli anni ’70 vi è stata una inversione (o una involuzione…?!) e la ricerca è passata in mano ai privati, che hanno fatto investimenti assai cospicui, selezionato semi, e “registrato” la relativa proprietà industriale (tecnicamente “privativa per ritrovati vegetali”), e come tale, il proprietario dell’”idea” può disporre della “propagazione e la commercializzazione della varietà protetta”.
In tale contesto, come accennato, nell’ambito della strategia FARM TO FORK, la Commissione Europea ha varato la nuova strategia “dal produttore al Consumatore” (Farm to Fork), per una crescita sostenibile e inclusiva per stimolare l’economia, migliorare la salute e la qualità della vita delle persone, prendersi cura della natura e non lasciare indietro nessuno con l’obiettivo di raggiungere entro il 2050 l’impatto climatico “0” in tutto il vecchio continente, attraverso il passaggio a un sistema alimentare sostenibile.
L’obiettivo è l’adozione di iniziative e misure per una migliore protezione delle piante dalle malattie e dagli organismi nocivi emergenti. Secondo la Commissione, infatti, i sistemi alimentari sostenibili dipendono anche dalla sicurezza sementiera e dalla diversità delle sementi; gli agricoltori devono avere accesso a una gamma di sementi di qualità di varietà vegetali adattate alle pressioni esercitate dai cambiamenti climatici, da cui la Commissione adotterà misure volte a facilitare la registrazione delle varietà di sementi, anche per l’agricoltura biologica, e a garantire un più agevole accesso al mercato per le varietà tradizionali e per quelle adattate localmente.
Già in passato le istituzioni europee avevano stimolato il dibattito sulla problematica.
Con la Risoluzione del Parlamento europeo del 10 maggio 2012 sui brevetti per procedimenti essenzialmente biologici, si intendeva avviare una fase di iniziative sulla base si alcuni “considerato” della stessa risoluzione:
La Risoluzione è stata abbandonata nel 2015, ma è evidente che la Commissione Europea ritiene di estrema rilevanza il problema delle sementi, un aspetto cruciale del settore, probabilmente il più cruciale, ed è bene comprenderne le posizioni che l’Europa sta cercando di mediare.
Da una parte vi l’oligopolio delle multinazionali che rivendicano la proprietà intellettuale, la ricerca e selezione a suon di decine di milioni di dollari e di euro, per fornire prodotti (i semi) che siano resistenti a malattie, siccità, cambiamenti climatici, e producano frutti (in senso lato) in grado di soddisfare la richiesta del mercato. Tali investimenti possono essere ripagati solo con l’acquisto dei semi.
E’ chiaro pertanto che, dal punto di vista delle multinazionali, i tradizionali sistemi di riproduzione delle piante (attraverso, l’innesto ovvero per l’utilizzo di semi di “seconda generazione”) arrecano un danno economico: una volta acquistati i semi, l’azienda agricola troverà giovamento nell’utilizzare i semi prodotti dalle piante nate dai semi acquistati, senza ulteriore necessità di rivolgersi al mercato.
Peraltro, sempre dal punto di vista delle multinazionali, il riutilizzo di semi di seconda generazione produrrà piante sicuramente più deboli e frutti senza le caratteristiche richieste o attese.
Dall’altra parte, i piccoli produttori/agricoltori, rivendicano l’eredità acquisita senza oneri da parte delle multinazionali, denunciano un oligopolio di fatto: le prime tre multinazionali, Monsanto, Pioneer Dupont e Syngenta, detengono il 53% del mercato globale e le prime dieci ne detengono il 75%; il dato risulta assai esplicativo se si considera che a fine anni ’70 le aziende del settore erano oltre 7 mila. Non vi sarebbe pertanto la possibilità di acquistare in un mercato di libera concorrenza. Ciò sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo. Alla immensa varietà di semi esistente, infatti, il mercato risponde saturando con un numero di specie e varietà assai limitato.
Vi è infine, la posizione di coloro che potrebbero fare l’ago della bilancia: i consumatori.
A volte confondendo cause ed effetti, la giustificazione dell’attuale stato del mercato viene addotta nella esigenza di dare una risposta (ossia di fornire prodotti) che rispondano alle esigenze e alla domanda dei consumatori: sicuramente determinate caratteristiche visive, olfattive sono in grado di orientare la scelta del consumatore medio, ma altrettanto vero è che il consumatore è completamento ignaro, per esempio, della esistenza di varietà di semi che possono portare a prodotti differenti e rispondere a sue esigenze differenti.
Il problema, quindi, non è nella domanda che fa il consumatore, quanto nei messaggi e nelle informazioni che vengono (o non vengono!) veicolati al consumatore stesso.
Si tratta sicuramente di un delicato equilibrio che riguarda anche i costi di eventuali prodotti finali, ovvero di qualità proprie, ma un consumatore informato è sicuramente in grado di orientare le proprie scelte e influenzare così il mercato. Si possono creare settori di nicchia al fianco dei prodotti venduti (o imposti?) dalla Grande distruzione.
Certo è che le istituzioni Europee non possono più rimandare la questione e devono aprire un serio dibattito. La strategia FARM TO FORK sembra porsi anche questo obiettivo. Si valuteranno i risultati.
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