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Decreto 231 – Il Decreto sconosciuto

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di Patrizia Giusti e Carmine Laurenzano – G&L Avvocati

Entrato in vigore ormai nel lontano 2011, il decreto 231 ha introdotto nell’ordinamento italiano la responsabilità degli enti per la commissione di reati specificamente indicati dal legislatore, permettendo di colpire direttamente l’ente e, quindi, l’interesse economico di coloro i quali dal reato stesso hanno tratto un vantaggio. 

La responsabilità de qua è, forse, impropriamente definita amministrativa, poiché è fonte di responsabilità penale a tutti gli effetti, decisa innanzi ad un giudice penale con tutte le garanzie proprie del rito.

Nonostante il lungo tempo trascorso dalla sua entrata in vigore, la domanda che ancora oggi aleggia intorno al fantomatico D. Lgs. 231 è: “ma e’ obbligatorio?” e se si, “chi lo deve adottare e come?”

Iniziamo col dire che, per fornire una risposta, il testo del decreto non fornisce grandi spunti: esso specifica all’art. 1 che le norme in esso dettate trovano applicazione nei confronti di enti forniti di personalità giuridica, di società ed associazioni anche prive di personalità giuridica.

Decreto legge 231

Decreto 231 – Il Decreto sconosciuto

Lo stesso art. 5 che viene considerato il nucleo di tale disciplina, sancisce solo che:

  • deve essere stato commesso un reato che rientra nelle categorie dei c.d. reati presupposto
  • il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente
  • il reato sia stato commesso da un apicale o da persone che direttamente dipendano da quest’ultimo.
  • l’ente non risponde penalmente solo se la persona fisica abbia agito per interesse proprio o di un terzo.

Ad una prima lettura, la norma potrebbe sembrare ben dettagliata, ma è scendendo all’applicazione dei casi concreti che si incontrano seri problemi.

E per capirlo è sufficiente leggere le ormai numerose – quanto contrastanti – giurisprudenze di merito e di legittimità.

Cosa deve intendersi, ad esempio, con interesse o vantaggio dell’ente? E come e quando deve esserne fatta la sua valutazione?

E rispetto ai reati colposi, dove manca la previsione dell’evento, tale valutazione come deve essere compiuta?

Sono tutti quesiti sui quali ancora oggi la Giurisprudenza si trova in grande affanno.

Certamente quello che possiamo dire è che, scorrendo il decreto 231 non si ravvisa un esplicito obbligo di adozione di tale decreto e del Modello di Organizzazione e Gestione in esso previsto.

Tanto che attualmente è al vaglio del Senato l’approvazione del disegno di legge726/2018 che dovrebbe modificare l’art. 1 del decreto 231, introducendo il nuovo art. 3 bis, il quale dovrebbe risvolgersi come obbligatorio a tutte le società (srl, spa, società in accomandita a responsabilità limitata, e società consortili) con un attivo patrimoniale non inferiore a 4.400.000 euro o ricavi di vendite o prestazioni non inferiori ad euro euro 8.800.000.

Ma davvero possiamo affermare che il D. Lgs. 231/2001 non sia già obbligatorio per le categorie di soggetti indicate nell’art. 1?

A parere di chi scrive la risposta è no. Attraverso una ricostruzione sistematica delle norme di cui al decreto 231, che devono essere lette di intesa con quelle del codice civile dettate in materia di Impresa, l’adozione di un Modello di Organizzazione e Gestione risulterebbe già obbligatoria.

E di tale circostanza tutti gli imprenditori, piccoli, medi e grandi, di qualunque settore, devono al più presto non solo prendere contezza, ma comprenderne il valore aggiunto, sia in termini di prevenzione del rischio, sia in termini di prevenzione di perdite, di natura economica e reputazionale. 

Ed invero, la ratio sottesa al decreto 231, che è quella di adottare un Modello volto alla prevenzione dei rischi reato, è quella già fatta propria dal legislatore negli art. 2086 comma II c.c. (Gestione dell’impresa), quando parla di imprenditore che ha il dovere di istituire un assetto organizzativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa; norma il contenuto deve essere letto in combinato disposto con l’art. 2381 comma 5 c.c. , dove espressamente si richiede l’introduzione dell’assetto organizzativo.

È chiaro che per conoscere ed introdurre l’organizzazione aziendale (come richiede anche il c.c.) sarà necessario porre in essere quell’attività di valutazione del rischio e, dunque di adozione del Modello, richiesta dal D. Lgs. 231/2001.

Ecco perché l’obbligatorietà del Modello 231 può già ritenersi cogente.

In attesa dell’esito circa l’ultima – solo in ordine temporale – proposta di integrazione (che segue i già numerosi interventi in tema di caporalato nel 2016, autoriciclaggio nel 2017, impiego di irregolari nel 2017, razzismo e xenofobia nel 2017, frodi sportive nel 2019 ed infine i reati tributari e fine anno del 2019), le larghe maglie del D. Lgs. 231 ci consentono un focus di particolare interesse sul settore agroalimentare, che ha trovato sempre più spazio anche nelle decisioni della Giurisprudenza.

Il Disegno Di Legge 283 della XVIII Legislatura – NUOVE NORME IN MATERIA DI REATI AGROALIMENTARI in attesa di approvazione al Senato interviene fortemente nel settore agroalimentare, con l’intenzione – da un lato – di introdurre l’obbligatorietà del sistema e del Modello 231 a tutte le imprese del settore e – dall’altro – di introdurre nuove ipotesi di c.d. reato presupposto e di inasprire le pene di quei reati già esistenti, incidendo direttamente anche sul codice penale e sul codice di rito.

Fra le nuove categorie, che spaziano dalle frodi alimentari sino alle frodi commerciali veri e proprie, con uno sguardo sempre presente anche alla normativa europea, vista altresì la forte incidenza e la necessaria adeguatezza delle imprese anche in termini di GDPR, non può sfuggire l’interessante nuova fattispecie prevista dall’art. 517 quater 1 c.p. che introduce il reato di Agropirateria, un’ipotesi caratterizzata dalla forma associativa, in cui un’organizzazione di fatto imprenditoriale si inserisce nella filiera commerciale o logistica di alimenti che per origine, provenienza, qualità, quantità sono diversi da quelli indicati, dichiarati o pattuiti, oppure utilizzano un marchio o segni o indicazioni false, cosi traendo in inganno il consumatore.

Se passerà, come auspicabile, il disegno di legge, tutti i reati alimentari comunque denominati verranno inseriti quali presupposto nel decreto 231 e, dunque, comporteranno la necessità di dotarsi di un apposito sistema che preveda, preliminarmente la nomina di un Organismo di Vigilanza, che attraverso una seria e compiuta attività di risk management e risk assessment rediga, controlli e aggiorni costantemente il modello di Organizzazione e Gestioni, ne verifichi la puntuale applicazione e delle relative procedure, accompagnandolo certamente con la redazione di un auspicabile Codice Etico.

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