di Raffaele Coppolino
Il 5 febbraio si è celebrata la Giornata nazionale per la Prevenzione dello spreco alimentare, iniziativa ideata e istituita nel 2014 dalla campagna Spreco Zero di Last Minute Market per iniziativa del Prof. Andrea Segrè in collaborazione con l’Università di Bologna e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente.
Nel 2011 la Fao, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, aveva calcolato che un terzo degli alimenti prodotti nel mondo finiva nella spazzatura e nel 2016 in Europa erano invece 88 milioni le tonnellate di rifiuti alimentari prodotti.
Secondo quanto emerge da un’indagine della Fondazione Feltrinelli, realizzata in collaborazione con l’Osservatorio permanente Cirfood, nelle case degli italiani si produce uno spreco di cibo di 11 miliardi di euro (rapporto Waste Watcher) che sommato allo spreco alimentare di filiera è arrivato a valere circa lo 0,88% del PIL e cioè oltre 15 miliardi di euro.
Gettare al macero cibo significa sprecare non solo risorse alimentari ma anche le fonti che sono servite per produrlo incidendo così negativamente sui cambiamenti climatici e producendo circa 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra.
Proprio per arginare i danni e invertire rapidamente la tendenza, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha incluso tra i 17 obiettivi definiti nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, anche un punto (SDG 12 n. 3) che chiede di “dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto” entro il 2030.
I primi risultati, complice la Pandemia, sono già arrivati e la notizia positiva è che nel 2020 nel nostro Paese c’è stata una riduzione a doppia cifra dello spreco di cibo. Durante l’anno appena concluso infatti in Italia sono finiti nella spazzatura 27 kg di cibo a testa, l’11,78% in meno all’anno precedente. Oltre 222.000 tonnellate di cibo “salvato”, per un risparmio di 6 € pro capite. Questi sono i dati raccolti dal Waste Watcher Observatory e dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari (DISTAL) dell’Università di Bologna.
Siamo sulla buona strada quindi e l’Italia risulta essere tra i Paesi più sensibili allo sviluppo sostenibile e al tema spreco, grazie all’azione combinata delle tante associazioni benefiche e delle iniziative private e di chi si adopera per la valorizzazione delle eccedenze agendo sulle varie fasi del ciclo di vita dei prodotti alimentari; la produzione, la trasformazione, la distribuzione e il consumo finale individuale o collettivo.
L’Italia nella lotta allo spreco si è dimostrata all’avanguardia in Europa e nel mondo già nel 2016 quando con l’approvazione della legge Gadda sono state regolate le donazioni degli alimenti invenduti con misure di semplificazione, organizzazione e incentivazione, favorendo e sostenendo azioni di recupero di cibo e di prodotti farmaceutici da donare alle persone più povere del nostro Paese.
A creare una rete efficace e virtuosa ci pensano anche iniziative private come Too Good To Go, azienda danese fondata nel 2015 da Brian Christensen, Thomas Bjørn Momsen, Stian Olesen, Klaus Bagge Pedersen e Adam Sigbrand, che collega i clienti a ristoranti e negozi che hanno cibo invenduto o in eccesso, riducendo così lo spreco alimentare.
L’App danese è oggi attiva anche nel nostro Paese e ha già messo insieme aziende, supermercati e consumatori attraverso azioni concrete e iniziative come l’Etichetta Consapevole, che potrà aiutare il consumatore a gestire meglio il significato del TMC (termine minimo di conservazione) grazie ad una migliore interpretazione delle indicazioni riportate in etichetta e grazie a dei consigli utili per valutare se un prodotto “da consumarsi preferibilmente entro” è ancora buono da mangiare.
Ma per poter raggiungere l’obiettivo “spreco zero” occorre lavorare ancora molto ed è fondamentale che i consumatori siano sempre meglio informati sullo spreco di cibo e sulle sue cause e sulle conseguenze devastanti dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.
La data di scadenza sui prodotti alimentari è ancora mal compresa, ancora 4 europei su 10 non conoscono o comunque non valutano la differenza tra le diciture “da consumarsi preferibilmente entro” e “da consumarsi entro” sulle etichette.
Bisogna continuare ad agire su più livelli e noi consumatori possiamo fare la nostra parte gestendo sempre meglio alcune attività quotidiane come: programmare i pasti e scrivere una lista della spesa, controllare le etichette, conservare secondo le indicazioni il cibo e utilizzare i resti o congelarli.
Le giuste azioni sono contagiose e sono il migliore antidoto contro lo spreco alimentare.
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