Zuppa di Pesce come veniva preparata dalla mia amica Elena e che “gelosamente” tratteneva per sé… Un furto aggravato dall’uso indebito dell’occhio!
La Zuppa di pesce è, da sempre, il piatto tipico di Civitavecchia che affonda le radici della sua ricetta nella millenaria tradizione della sua storia. La seconda guerra mondiale ha praticamente raso al suolo la città, ne ha espulso forzatamente gli abitanti, ne ha quasi rubato l’identità. Con i palazzi, i monumenti, l’Arsenale del Bernini, il Porto di Traiano, la mano dell’uomo armata della falce della distruzione, ne ha reciso alla radice uomini e storia. Ed i pochi che erano rimasti hanno gelosamente trattenuto in sé racconti, storie e ricette come se fossero state bandiere.
Fatta questa piccola concessione alla malinconia è opportuno ricordare che i 7500 km di costa che delineano il nostro Stivale, non omologano la cucina di mare ma, piuttosto, la differenziano.
La costa adriatica, la costa tirrenica (e qui un altro distinguo perché Livorno urla di saper cucinare il migliore caciucco), le coste sarde e le sicule, tutte, cucinano le zuppe di pesce,appellandole variamente, rivendicandone specificità e preziosità di sapore e gusto.
Da una prima analisi possiamo dire che lungo la costa adriatica è diffuso il brodetto, seppur diverso da regione e regione, mentre lungo la costa tirrenica trionfa, con diverse varianti, la zuppa.
In Sicilia, al brodo si aggiungono olive nere e capperi e in alcune zone anche uva passa. In Sardegna, nel brodo si insaporisce la fregola che, una volta cotta, accompagna il pesce.
La mia ricetta è quella tipica della mia città di residenza ed era nel patrimonio culinario di una antica Amica, rinomata per le prelibatezze della sua cucina, gelosamente custodita negli anfratti della sua capacità.
Sappiamo tutti che la zuppa di pesce , in qualsiasi modo, poi, la si voglia chiamare, nasce dalla necessità di utilizzare l’invenduto del mercato; è una ricetta povera anche se è improprio definirla così per l’utilizzo che si fa del pesce freschissimo e di secondo piano, quello che a Civitavecchia si chiamava “mazzumaia”. Al mercato, infatti andavano a ruba i pesci grossi, ma spesso rimanevano i piccoli, quelli di paranza che la pesca a strascico portava con se’ nella rete.
Questo piatto, con il tempo, ha conosciuto una nuova valorizzazione proprio nel desco familiare attesa la scomparsa nei menù della ristorazione a pagamento.
La ricetta è modificata dall’uso di pesce nobile e non più di mazzumaia
Dopo aver pestato gli ingredienti nel mortaio, versateli in un tegame abbastanza alto e largo, insieme al polpo tagliato a pezzi, le sconciglie, i granchi e la seppia (tutto il pesce naturalmente va pulito e ben lavato).
Fare rosolare finché i crostacei sono diventati rossi e quindi aggiungere il bicchiere di vino.
Fare evaporare. Subito dopo mettere i pomodori pelati e tagliati, mescolare un poco, poi aggiungere il concentrato di pomodoro ed almeno un litro di acqua e salare.
Fare cuocere per circa 1 ora finché il pomodoro e la conserva si amalgamano. Aggiungere i pesci a seconda della grandezza, prima i più grossi e poi i più piccoli, le aragostelle e in ultimo le cozze e le vongole ( spurgate e pulite). Cuocere ancora pochi minuti. Fare attenzione che i pesci rimangano intatti, cospargete con prezzemolo tritato.
A parte preparate delle fette di pane tostato e sfiorato con lo spicchio d’aglio.
Mettere nelle scodelle il pane, coprirlo con il brodo, aggiungere tutti i pesci e portare in tavola.
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