Cibo vino, vino e cibo… il caldo dona un’inesorabile acedia. Inutile sforzarsi nel cercare elucubranti eno-psicotici argomenti; tanto vale cavalcare lo scontato, quello che è già stato fatto e quasi quasi mi faccio tentare dal famoso copia e incolla, di cui ci piace tanto tacciare gli scarabocchiatori -come me- del web. E quindi, semplici e rapidi, passiamo al blasonato e alquanto complesso argomento abbinamento Cibo Vino. Bisogna dirsela tutta: l’abbinamento cibo vino, se perfetto, è di rara difficoltà e gioca su funambolici equilibri e formule algebriche inverosimili nella tavola quotidiana (annata, invecchiamento, contenitori di maturazione, cru di appartenenza…).
Non bastasse questo, va detto che l’abbinamento psicologico vince su tutto – io ne sono un sostenitore -: ne sono una prova tangibile i litri di spumante brut bevuti sulla zuppa inglese, un abbinamento tanto valorizzato quanto sbagliato, ma viste le occasioni che lo vedevano protagonista, nessuno sporgeva lamentele; anzi, si sarebbe potuto pasteggiare a colpi di Barolo e crudo di gamberi rossi di Mazara e proseguire con uno spezzatino di cinghiale accompagnato da un ottimo Vin Santo; insomma i tre peggiori abbinamenti enogastronomici secondo la old-school francese. Ma premettendo che il settanta percento dei vini sta bene con il settanta percento dei piatti – a grandi linee e senza troppe figure geometriche-, quello che proporrò di seguito, se non sarà una camminata su un fune tesa tra due grattacieli al sessantesimo piano, almeno spero si avvicini all’operato di “un muratore in bilico in cima ad un’impalcatura”, lasciando la liturgia bianco-pesce, rosso-carne ai conservatori.
Prima regola: il rapporto cibo vino è una relazione platonica. I due si rincorrono senza mai prendersi; come la celebre e disgraziata coppia Montecchi-Capuleti, si parlano a distanza; la fusione è sui frammenti, quando il boccone è già stato ingerito e quello che lascia in eredità sono solo dei residui su cui il vino si scarica, riportando la bocca in una situazione di detersione totale. Inserire il vino nella cavità orale quando è ancora presente il boccone non ha alcun senso, a meno che non vi stiate strozzando!
Seconda regola: Il moderatore abbassa i toni: se condite dei rigatoni con un sugo di coda alla vaccinara, potrete tranquillamente abbinare un Nebbiolo; ma se la stessa coda viene servita da sola, allora dovremo andare su un vino della stessa tipologia, ma più imponente, un Barolo o un Barbaresco ad esempio.
Terzo: mantenersi sull’abbinamento regionale è cosa buona e giusta, anche se molti non saranno d’accordo. La caustica ‘nduja sarà smorzata, con felicità del palato, dall’alcolicità di un buon calice di Cirò; la carne ovina abruzzese sta ai Montepulciano locali, come i frizzanti emiliani ai tortellini in brodo o come i crudi di pesce ai Locorotondo. Ma insomma, se fosse tutto così scontato questo pezzo non avrebbe senso; quindi siate impavidi e provate su un parmigiano extra stagionato un sorso di Amarone in totale contrapposizione tattile: gessoso-sapido il primo, vellutato e avvolgente il secondo; il palato vi ringrazierà. Coniglio in bianco, magari porchettato? Orvieto Classico Superiore -meglio se della sponda destra del fiume Paglia e senza troppi anni sulle spalle-. Se siete fortunati e avete una bottiglia di Orvieto con una decina di anni addosso, dedicategli uno degli abbinamenti più fragili che si possano provare: tagliolini al burro con tartufo bianco.
Scaricate su una Rana pescatrice salsata, con olive taggiasche, una bottiglia di Barbaresco servita fresca. Per chi invece vuole spingersi oltre frontiera, invito a seguire gli elaborati consigli dell’esterofilo ed eno-mastodontico (non fisicamente!) Samuele Calistri: Champagne, e in questo caso Aurélien Laherte, azienda convertita al biodinamico nella Côte des Blancs ad Epernay; bollicina dalla lama affilata, eredità del calcare dei villaggi insediati sulle marne; abbinamento elegante con asparagi al vapore, avvolti da salmone selvaggio scozzese e pepe rosa.
Per chi vedesse la Francia troppo vicina, il secondo consiglio ci spinge poco più ad est… Giappone!
Urakasumi Tokubetsu junmai Shiboritate, Sakè fresco, primaverile, senza aggiunta di alcool, ben accolto da sashimi di tonno rosso con maionese al tartufo e yuzi -agrume dalle caratteristiche proprietà organolettiche, molto utilizzato nella cucina giapponese-.
Quarto: sigillo. Vini speciali, abbinamenti surreali.
Vernaccia di Oristano su crostone burro e alici, o con stracciata di bufala con generosa profusione di bottarga… amore vero! Aleatico di Gradoli passito con la Susianella, salume della Tuscia dalle origini antichissime, a base di fegato e frattaglie di suino… inevitabilmente la bottiglia sarà troppo piccola e il salume troppo corto.
Vino Muffato (Sautern, Tokaj o Muffato d’Orvieto), ottimo a fine pasto, ma non su un dolce opulento: l’effetto zucchero-zucchero sarebbe un’architettura piramidale, monolite su monolite. E’ invece di estrema piacevolezza su un erborinato amaro e bruciante: l’effetto rinfrancante che il vino avrà sul palato sarà godimento puro.
Moscato d’Asti e ostriche, come pizza e champagne, fa tanto “Miseria e Nobiltà” e pensando alle parole di Pasolini, questo abbinamento ricorda il volto di Massimo Troisi: proletario e aristocratico insieme.
Quinto e ultimo step dedicato agli astemi: andate al Mac e ordinate uno dei tanti panini con annesso bicchierone di Coca-Cola… Vista la categoria a cui appartenete non potrei indicarvi pena peggiore!
di Raffaele Marini
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