IntervisteBevuta quotidiana, sindrome perversa.

Bevuta quotidiana, sindrome perversa.

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Bevuta quotidiana, sindrome perversa.
(V. M. 18 anni)

Sindrome deviata, non conforme, controversa, giust’appunto perversa. È la bevuta che è, o meglio, che sarebbe l’opposto del piacere di molti nella scelta del succo d’uva fermentato da poggiare sulla tavola di tutti i giorni.
Vagabondando per fiere, sagre e banchi d’assaggio, tra miriadi di degustazioni guidate e un brulicare di bevute pilotate, spesso in stato ebrezza, ho notato, anche senza far troppa attenzione, che di fronte all’argomento “vino quotidiano”, tutti o quasi rifugiano su rossi fragranti e generosi, morbidi e odorosi, tracciati dalla frutta e con un eventuale tannino, semmai piallato e mirato all’equilibrio. “Giustamente tannico” è l’esclamazione più acclamata. Compatti nella loro espressione tattile e anche nel colore. Vini giunonici e adolescenziali, imprescindibili dalla fruttosità.

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Vin rosso, “giustamente tannico”, sicuramente fruttato: bevuta quotidiana? Foto da web

Insomma, tra i tanti, ma non tutti: Dolcetto, Ciliegiolo e Schiava, Montepulciano e Primitivo, che, con le dovute differenze, sembrerebbero aggiudicarsi il podio della bevuta quotidiana, con il beneplacito del suo aspetto poetico: il prezzo. Difficilmente infatti troverete un Nebbiolo (sigh!) in fiaschi da cinque litri o al di sotto degli otto euro a bottiglia. Ad onor del vero questi vini, oltre che a rappresentare territori vitivinicoli d’eccellenza, da sempre sono appartenuti alle tavole popolari; basti pensare alla Regina Maria Antonietta, quando il popolo assetato gli chiedeva da bere e lei ingiunse: “Dategli il Dolcetto!” …O era cornetto? E lo so che il Dolcetto è amaro e mandorlato; però pure il Balocco lo è, mandorlato!

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Mandorlato Balocco in un fermo immagine della nota pubblicità. Foto da web
Bevuta quotidiana

Quindi il reato è la soggettività. Gli amanti come me dell’Unicum, dei cocktail a base di Fernet, rabarbaro e buccia d’arancia; per noi adoratori di IPA, del caffè amaro con dentro un scorsa di limone (eh sì, un’infanzia alle spalle molto difficile!), pensare ad un vino quotidiano vuol dire andare su cose acido-tanniche, dalla essenziale fisionomia che ricordi l’austerità contadina. E se credete che questo sia il momento modaiolo dei vini acidi, minerali salmastramente-salati e senza neanche uno spicchio di frutta – a meno che non immergiate voi stessi un fettina di pesca nel bicchiere – avete assolutamente ragione: ma questo vale per un’altra categoria di peso; per un’altra classe sociale. Insomma, il levriero scattante, snello e atletico è per i nobili; agli occhi di altri o collocato fuori contesto, rischia di passare per il randagio rachitico che girovaga nei quartieri poveri. Come dire, è una questione di ubicazione.

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Il Saluki, altrimenti conosciuto come Levriero Persiano, la più antica e nobile razza per questa tipologia di cane. Foto: Greenme

Qualche Musigny particolarmente garbato, rischierebbe di passare inosservato su alcune tavole – anche in considerazione delle velocità con cui la bottiglia verrebbe scolata- e passerebbe per “un vinello”, nonostante la supposta elevatissima qualità (supposta giustappunto; “in c…. sì, in testa no”). Insomma, la foglia d’autunno che ci cade in capo non la nota quasi nessuno; non si dedica un pensiero al suo ruolo ciclico, al suo segnare le stagioni. La tegola invece, la senti e un pensiero glielo dedichi eccome, anche al muratore che l’ha messa in opera volendo.
Il vino gioviale e fruttato dalla forma un po’ barocca piace a tutti per il “tutti i giorni” perché ha il giusto impatto, compensa l’amaro e l’acidità. Quelli dorici, no. Quelli vanno contestualizzati. Fini, sottili e duri. Più speziati che fruttati, più tannici che giustamente.

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Musigny Grand Cru 1990. Foto da web

Insomma per la bevuta del mio “tutti i giorni” vorrei Pelaverga, Grignolino, Freisa e Nero di Troia; per i bianchi alcuni Trebbiano del Teramano, l’Asprinio di Aversa, il Verdicchio dei Castelli di Jesi e l’Orvieto. Ovvio che la componente per far sì che un vino sia giornaliero è sempre la stessa: il prezzo! Io berrei felicemente la “quadrupla B”* tutti i giorni, se non fosse per questo fattore (chi dice il contrario mente spudoratamente). Le bottiglie, non le dame, devono stare sullo scaffale dalle sei alle dieci euro. E’ troppo? No, se si calcola un bicchiere a pasto, per sei calici a bottiglia. Mi sembra che la proporzione, anche in termini economici, sia più che equilibrata: tra un euro e un euro e sessanta a pasto. Naturalmente resta il fatto che amo anche le tipologie della quotidianità degli altri: non potrei fare a meno di alcuni Primitivo, vedi alla voce Pietraventosa; o della Schiava di Girlan -anche se la preferivo qualche anno fa-; o del Dolcetto di Ovada di Rocco di Carpeneto, che ti riconverte: comunque Ovada sarà un successo. Per il Ciliegiolo sto con Bussoleti, Fontesecca e -bono forte- Antonio Camillo.

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Alcuni Primitivo, come quello di Pietraventosa, sono da “almeno una volta nella vita”. Foto da web

Insomma il senso del piacere dipende chiaramente dal nostro edonismo, plasmato dalla nostra storia. Citando qualcuno, “ad una certa età siamo responsabili della nostra faccia”. E, nella stessa misura, penso che le simpatie e i gusti che abbiamo ci qualificheranno per chi siamo.
Ma forse con quest’ultima me so’ fregato.
*Borgogna, Barolo, Barbaresco e… Barbacarlo!
di Raffaele Marini


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