Chi l’avrebbe mai detto… da qualche anno a questa parte in Italia si è segnato lo storico sorpasso, a dispetto della tradizione vinicola del Bel paese, adesso gli italiani preferiscono consumare più birra che vino (con la birra artigianale nuovo “mantra” degli appassionati), tanto a casa quanto nei locali pubblici.
Questo ha incrementato l’offerta e la diffusione della bevanda a base di luppolo, ed ha fortemente incoraggiato anche la produzione di birra a livello artigianale. Spesso, però, il fruitore si trova di fronte a una scelta: da un lato birre dal nome conosciuto e di più ampia diffusione, di realizzazione industriale; dall’altro marchi meno noti, a distribuzione prevalentemente locale e produzione artigianale. Ma quali sono le differenze tra questi due prodotti? Birra chiara, birra scura, birra rossa? No, non è il colore a fare la differenza! Conoscerle, e conoscere le diverse lavorazioni e le conseguenti caratteristiche diventa necessario per poter operare una scelta di gusto.
Birra artigianale e birra industriale: le differenze
Una distinzione che si basi esclusivamente sul volume di produzione e distribuzione comincia ormai a essere limitata e poco utilizzabile. Non esiste, infatti, un limite uniformemente accettato che stabilisca le quantità di birra al di sotto della quale si definisce una produzione artigianale. E se è vero che il volume commerciale della birra prodotta industrialmente e il suo raggio di distribuzione sono decisamente più ampi (anche per i motivi organolettici che vedremo fra poco), è pur vero che negli ultimi tempi le birre artigianali, solitamente a distribuzione geografica locale, cominciano a essere accolte sui banconi del supermercato, o vanno a rifornire i brewpub di regioni del Paese parecchio distanti da quella di origine.
La prima e fondamentale distinzione, quindi, riguarda le fasi di produzione: la birra industriale va incontro a due processi che non vengono applicati a quella artigianale, ovvero la pastorizzazione e la filtrazione. La pastorizzazione è un processo termico che, tramite il vapore, porta la birra alla temperatura di 60 gradi per 20-30 minuti. Insieme al microfiltraggio, concorre a depurare la bevanda da eventuali microrganismi. Questi due processi, però eliminano anche dei lieviti che danno carattere al sapore della birra. La pastorizzazione e la filtrazione servono a due scopi fondamentali, legati alla natura industriale del prodotto. In primo luogo si ottiene un livellamento degli aromi della birra: eliminando le variazioni si ottiene un prodotto uniforme, riconoscibile ovunque da qualsiasi consumatore. Inoltre, il prodotto pastorizzato ha un scadenza più lunga e non “soffre” i viaggi, come invece accade con la birra artigianale. Tuttavia, la crescente “sensibilità” dei consumatori nei confronti del prodotto ha portato alcuni produttori industriali a controllare meglio il processo di filtrazione che, se realizzato in modo non troppo invasivo, permette di conservare alcune caratteristiche peculiari del prodotto.
La birra artigianale, di contro, non è sottoposta a processi chimici, è integra e non pastorizzata. Dal momento che non è stata pastorizzata, deve essere tenuta a basse temperature, e va consumata in fretta, dal momento che non contiene conservanti, che spesso sono aggiunti invece alla birra industriale. La birra artigianale conserva, quindi, tutti gli aromi e i profumi originali, e le variazioni di gusto ne definiscono le differenze. Inoltre i produttori di birra artigianale puntano sull’alta qualità degli ingredienti e, data la loro natura “locale”, sperimentano nuovo formule mettendo in risalto i prodotti tipici del territorio. Le birre artigianali sono quindi spesso il frutto di specifici territori. Le birre industriali, invece, contengono spesso additivi chimici che ne prolungano la conservazione, e anche surrogati del malto (mais, riso) che aumentano le rese e quindi i numeri della produzione.
Per finire, un’ulteriore differenza tra birre industriali e artigianali è la creatività e l’innovazione che caratterizzano quest’ultime. Un marchio industriale, di solito, si è ormai cristallizzato su una determinata ricetta. Il suo consumatore è legato al brand e vuole ritrovare ovunque lo stesso gusto. Il produttore artigianale, invece, è spinto dall’amore per suo prodotto a cercare sempre nuovi sapori, sperimentando nuove spezie e nuovi ingredienti, per colpire il palato del suo acquirente.