Château Le Puy. Un Bordeaux per tutti, ma non per molti.
“Versami tanto vino ch’io scenda giù da me stesso,
perché nell’io, nell’essere, non ho trovato che pena”.
Mevlana Jalaluddin Rumi
Capziosi in maniera speciosa. Avvocati dispensanti salmi a difesa di una fazione nell’eterno conflitto che è, da sempre e per tutto, vissuto come un derby. La religione. La politica. Il vino. Dialoghi e scritti raffazzonati sull’ignoranza, nati da un torto cosciente e spalleggiati dalla rimostranza. Un giudizio apodittico con cui sentenziamo l’ovvio, purché sia certezza di successo. Una continua ricerca di riconoscimento come sentimento consolatorio.
Ergiamo su un piedistallo l’icona del momento. Ma dimentichiamo quella vecchia storia, partorita nella notte dei tempi, per la quale i momenti passano, portandosi con sé le icone e i nostri pensieri.
Cambiano le persone e le parole, ma non il nostro modo di pensare. Non il nostro modo di fare. Siamo animali votati alla consuetudine. Ripetiamo costantemente le stesse cose. Abbiamo trasformato la vita in un 45 giri sul quale è inciso un unico singolo; un mono solco che ripete una nenia perpetua; una verità assoluta, che crollerà domani. Tant’è. Il nostro Io sembra crogiolarsi nelle coccole di un inganno fondato su un inalterabile stato di giustezza. Anche quando rinneghiamo con forza i nostri pensieri del passato. Come se anche in quel passato non fossimo stati attraversati dallo stesso torpore, dalla stessa giustezza.
Château Le Puy. Un Bordeaux per tutti, ma non per molti.
Diventiamo accoliti al maestro di turno per il quale uccidiamo prima l’anima per asfissia, privandola del dubbio, poi il maestro e i suoi concetti, appena questi si sono fatti vecchi. Così ci sediamo su un carro ormai logoro, ma trainato dal nuovo che avanza. Indipendentemente da quale sia la sua direzione. Credo che nel voler ostentatamente apparire si perda quel piacere che è il meravigliarsi, il lasciarsi andare. Meraviglia e abbandono, i lasciapassare per la conoscenza.
Alleggerisco. Concettualizzo. Approdo in quel teatrino dove siamo burattini biologici che danzano nel burlesque del vino. Che non è esente da tutto questo, anzi né è l’epitome.
E sì, il vino è poca cosa. Considerando che la vita ha ben altro di significativo, questo liquido resta solo una piccola stanza incontaminata di cui raccontare e in cui raccontarsi.
Ho additato negativamente Bordeaux, spesso e con piacere. Forse per la loro ostentata nobiltà, arroccata su lussureggianti castelli. Forse per i loro prestigiosi clienti, ricchi Texani che ne hanno ingigantito la fama e il prezzo. Forse perché, nonostante la loro duttilità nei confronti del cibo, la carne ne è quasi sempre la base esclusiva. I loro prezzi da nobili non decaduti non hanno che fomentato il tutto.
Château Le Puy. Un Bordeaux per tutti, ma non per molti.
Una zona di conforto la mia, dalla quale dover uscire. Smantellare i preconcetti nati dall’elitismo e non dall’indubbia qualità di questi vini e affacciarmi su questa regione. A nulla è servito il fascino della storia, delle sue radici salde nell’antichità, con la sua classificazione dei vini che risale al 1855, per il volere di Napoleone III. A niente sono valse le mille sfaccettature di questo territorio ricamato da Dordogna e Garrona; di quell’estuario disseminato di parcelle prestigiose e altisonanti. Gli assaggi fatti negli anni erano come libri utilizzati per rinfocolare una fiamma troppo ardente per prestare attenzione a cosa la nutrisse.
I sottili Graves, gli eleganti Margaux, gli autorevli Pauillac, le scure argille che donano i voluttuosi Pomerol. A loro preferivo la fragranza dei Saumur Champigny o l’esotica sensualità degli Chambolle Musigny. Alle muffe dei Sauternes, i puttonyos dell’est. Poco mi è importato dei confini che quei fiumi disegnavano. O che avessero avuto un ruolo per la commercializzazione del vino, confermando che le vie del vino passavano sull’acqua. O che quei solchi in realtà tracciassero la fisionomia di vitigni che altrove sarebbero stati raccontati come militareschi, obnubilatori di territori. E che qui invece ne vengono sottomessi: sinuosi sulla Rive Droite, brillanti nella Rive Gauche. Il tutto sminuito da quel termine che è diventato cosmopolita e non sempre con un’accezione positiva: Taglio Bordolese.
Château Le Puy. Un Bordeaux per tutti, ma non per molti.
Avvertiamo la nostra immagine solo attraverso gli occhi degli altri; ma gli specchi non funzionano. Come direbbe Gaber “non riflettono, prima di riflettere la mia immagine”. E la nostra consapevolezza di fronte al rispecchiarsi è nulla. Gli specchi riflettono, ma non rivelano.
Così ho cercato dove io non avrei mai cercato. E con occhi e prezzi diversi. Un piccolo obolo, il mio, da versare come riscatto ad un territorio che è da secoli nella storia del vino.
Il Duc des Nauves è prodotto dalla famiglia Amoreau, attori su queste terre da più di 500 anni con Château Le Puy e, dal 2000, anche con Château Pimpine. Tutti i 51 ettari sono sotto la guida di Jean-Pierre Amoreau e del figlio Pascal. Tutti i vigneti sono allevati con sistema biologico e biodinamico, nel totale rispetto della natura. Le lavorazioni sono ancestrali e le vigne lavorate col cavallo. Restando sul parallelo cinematografico, la sceneggiatura è quella della Rive Droite: le vigne sono nella Côte de Francs, a poca distanza da quello che è l’archetipo della sponda destra, Château Petrus.
Château Le Puy ha ispirato un episodio del geniale manga del vino Kami No Shizuku, The drops of God (Lacrime di Dio), capace di influenzare in maniera esponenziale i mercati di mezzo mondo. In questo “fumetto” il vino di Château Les Puy rappresenta il tredicesimo apostolo, la perfezione.
Château Le Puy. Un Bordeaux per tutti, ma non per molti.
Duc des Nauves è prodotto in esclusiva per la distribuzione aziendale Token, frutto unicamente delle vigne di proprietà. L’AOC è quella della Côte de Bordeaux.
Le vigne, anche per questo vino, sono nel comune di Saint Cibard, a Nord est di Bordeaux.
Qui godono di un’ottimo irradiamento solare e delle flebili piogge. La forza della vigna deriva da un suolo argillo-calcareo.
Il taglio bordolese è per il 70% Merlot, 20% Cabernet Franc e 10% Sauvignon.
La vendemmia è totalmente manuale e in cassetta. La fermentazione avviene con il solo utilizzo dei lieviti indigeni, seguita da una macerazione sulle bucce che varia dalle tre alle quattro settimane. L’élévage, in presenza dei propri lieviti, viene svolto in piccole vasche di cemento.
In degustazione presenta un naso verticale e composto. Grande freschezza e accento mediterraneo: more e ciliegie croccanti, corbezzolo e mirto, una nota floreale legata all’oscurità, viola e ibiscus. Pepe nero e polvere. Vino che, definire facile sarebbe quantomeno inesatto, lontano da quell’immaginario che vede i Côte de Bordeaux morbidi e fruttosi nell’attacco gustativo. Eppure è irresistibile, tanto che varrebbe la pena provare se il “paradosso bordolese” funziona davvero. Qui il palato è leggero e di grande fermezza. La persistenza da quarto tempo bordolese, smentisce il prezzo che lo vorrebbe un vino minore. Vino da pollame alla brace, ma che varrebbe la pena provare su un tonno alla mediterranea o con le melanzane alla parmigiana.
Château Le Puy. Un Bordeaux per tutti, ma non per molti.
In definitiva un Bordeaux in abito elegante, ma dalle mani callose e dalla stretta ferma e autentica.
Lo trovate nelle enoteche on line sotto le venti euro, che di questi tempi non sono pochi; ma proprio di questi tempi un regalo ogni tanto facciamocelo!
Ho ricercato la catarsi attraverso la confessione e questo vino. Consapevole del fatto che il mio sarà un progetto di breve durata.
di Raffaele Marini