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Decalogo di difesa personale dal sommelier – spacciatore di vino

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Si avvicinano con aria austera o con leziosa morganaticità. Compaiono improvvisamente dagli angoli bui della sala, pronti ad inondarvi con fiumi di parole, decisi a servirvi ciò che soltanto apparentemente avete creduto di ordinare! Leggo sempre più spesso di sommelier descritti come terroristi armati di cicuta, o di posti dove scegliere una bottiglia di vino al ristorante è come dover saltare da un areo in fiamme, avendo a disposizione soltanto l’ombrello (sicuramente sempre meglio di niente!). Di certo però i ristoranti che hanno una persona preparata in sala sono sempre meglio di quelli con “factotum-spacciatori-occasionali”, in grado di cagionare informazioni tipo: “Questo Nero d’Avola è del sud!”.

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Il protagonista di Arancia Meccanica che beve “lattepiù”… Photo Credit: Blog di life style

Premesso che bisogna aver fede nel proprio sommelier, partiamo con un decalogo tutto italico, dicendo che “a pensar male si fa peccato ma…”

Decalogo di difesa personale dal sommelier – spacciatore di vino:

1) Leggi bene la carta. Diffidate dai ristoranti che hanno una carta con una direzione univoca: solo gli ultra premiati figli della confraternita di Parker? Vuol dire che la carta è stata stesa copiando pedissequamente i sacri tomi di Luca Maroni. Solo vini super-naturali-vegani-pigiati-dai-piedi-degli-gnomi? Potrebbe sembrare buono e giusto, ma spesso chi stila queste carte zero-tecnica-only-love, anche se in buona fede, è preso dal “complesso del Messia” e potreste rischiare di stare due ore sul calice, aspettando che il sentore veritiero di fecce, unite al letame, svanisca per godere del vino nella sua integrità. Una carta dei vini laica e indipendente è solitamente quella auspicabile.

2) Fai domande, è l’unico modo per creare un rapporto tra te e il somministratore e magari fargli capire che il pallet che ha acquistato, basandosi soltanto su un vantaggiosissimo prezzo, non puoi smaltirlo tu! Chiedere un autoctono (che non significa vino locale; chiedo venia, ma sono del Lazio!), in un momento di conservatorismo acuto come questo fa molto eno-fighetto e creerà una certa impressione nel sommelier, che vi consiglierà un vino con buone possibilità di essere potabile.

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3) Chiedere consigli sull’abbinamento è cosa buona e giusta, ma la risposta  è una difficile formula algebrica. Quindi per quanto ovvio e poco fedele sia, manteniamo la regola del bianco-pesce, rosso-carne. Ma se vi viene consigliato di provare un Nerello dell’Etna con una tartare di tonno o un Riesling su uno stinco di maiale tartufato, fatelo: potrebbe sorprendervi e rallegrarvi!

4) Il vino rosso a temperatura ambiente, sulla mensola del braciere dove vi stanno caramellizzando la fiorentina per il ponte di Ferragosto, è buono per fare il brasato. Il vino rosso, soprattutto d’Estate, deve essere fresco, perché il cestello del ghiaccio non avrà poteri taumaturgici sul liquido in questione.

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5) L’abito non fa il monaco. La divisa da sommelier fa molto ordine e disciplina – e pinguino di Madagascar- così come il simpatico cartello fuori dal ristorante con su scritto: “Qui un sommelier al vostro servizio”. E va bene tutto. Ma ci sono posti che stupiscono per la loro carta dei vini e i “sommelier” portano la camicia a quadrettoni; dove non c’è il manifesto appeso alla porta, ma potete trovare una carta dei vini ricercata, con prodotti in cui fama e qualità sono inversamente proporzionali: poca la prima, tantissima la seconda – vedi Pane e Vino a Cortona-. Insomma, forma e sostanza, l’una non dovrebbe disdegnare l’altra!

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6) Il vino della casa. E’ molto spesso un’arma di distruzione di massa! O troppo chimico per compensare un’origine malsana delle uve, o è un “mischietto” dietro le quinte, poco appetibile e in grado di rovinare il pranzo e il dopo pranzo. Ma nei casi in cui la scelta a monte sia sana, c’è davvero da rallegrarsi: sono immediati, semplici e costano poco, senza contare che alcuni sfusi hanno la grandissima capacità di far suonare le note della memoria, quella più recondita, trasferendoti direttamente nella vecchia cantina del nonno, dove da bambino correvi tra le botti e l’odore del mosto in fermentazione. Tutti gli altri fanno suonare il 118 e anche in questo caso devi correre!

7) La bottiglia resta sul tavolo. Sarà sicuramente chic vedere la bottiglia che hai ordinato fare da pendolare tra il guéridon e il tuo calice ad ogni rimbocco – anche non voluto -, ma a me versarmi il vino da solo piace molto e mi fa da palestra per bicipiti e deltoidi. Giù le mani, please!

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Servizio impeccabile!

8) Prova del 9. Provate a chiedere un Barolo d’annata o un buon Muffato di Orvieto da abbinare a delle crudité di gamberi; o magari un Tokay ungherese da abbinare a dello spezzatino di cinghiale. Dalla reazione del sommelier capirete la sua professionalità: se vi accontenterà senza commenti sarà un semplice esecutore; se vi indirizzerà su un altro vino sarà un buon sommelier; se vi caccerà dal ristorante siete nel posto giusto!
9) L’ovvio. Il sommelier è al vostro servizio; per quanto scontato possa essere, va ricordato, a volte con eleganza anche a lui, che l’impostazione austera può essere sostituita con un sorriso e la bibbia del vino la può sempre leggere a casa sua.

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Austerità non vuol dire autorevolezza

10) La regola fondamentale. Il sommelier “sta servendo, ma non è un servo. Servire è l’arte suprema. Dio è il primo servitore: Dio serve gli uomini ma non è servo degli uomini!”. (Cit. Giustino Durano da “La Vita è Bella” di Roberto Benigni). E quindi respect!

Di Raffaele Marini






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