La Dieta Mediterranea è Patrimonio dell’Unesco, annoverata nel 2010 tra i beni immateriali dell’Umanità; un meraviglioso ed equilibrato esempio di contaminazione culturale e naturale tutelata come eccellenza mondiale. Perché non parliamo solo di cibo: la dieta mediterranea è un modello di interazione sociale, fondato sulla condivisione del pasto e delle tradizioni che lo caratterizzano. Un piatto nella dieta mediterranea è salvaguardia di gesti antichi, di tradizioni di pesca o di coltivazione; di perpetuazione nel tempo di modelli sociali, di conoscenza di celebrazioni, di tutela di pratiche che non sono solo nutrizionali, ma anche religiose, sociali, paesaggistiche; mestieri che si sono da sempre organizzati intorno alla tutela della biodiversità colturale e alimentare.
Rispetto alla dieta mediterranea si è detto tutto quello che si poteva dire e si è raccontato tutto ciò che si poteva raccontare. Tutto giusto, tutto vero. Ma anche no! Molte cose intorno alla dieta mediterranea sono state mitizzate, alterate e in alcuni casi addirittura strumentalizzate. Iniziamo quindi a chiarire alcuni punti fondamentali. Primo punto: il termine dieta non è sinonimo di restrizione alimentare. L’etimologia della parola dieta – dal greco diaita – significa “stile di vita”, ossia l’insieme di pratiche, di azioni, di quotidiane conoscenze, abilità e sapori attraverso i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno saputo creare e perpetuare nel tempo e nello spazio geografico una sintesi perfetta di cultura, socialità e cibo.
Secondo punto: la dieta mediterranea non nasce in Italia! Le sue radici si immergono in profondità nel suolo greco, culla millenaria della cultura non solo storica del nostro continente. Già la scuola ippocratica dei medici greci – avete presente Ippocrate e il famoso giuramento? – tra il V e il IV secolo avanti Cristo, individuava nel cibo il miglior elemento per mantenere l’equilibrio tra i quattro umori – sangue, bile gialla, bile nera e flegma – che garantivano la salute fisica e mentale dell’uomo. Secondo la scuola ippocratica un’alimentazione sana era basata sui vegetali del luogo, sull’uso di lenticchie, olio d’oliva, pesce, poca carne – perché la terra aspra delle isole greche non ne consentiva l’allevamento – e cereali integri, resi “palatabili” da spezie come peperoncino, zenzero, cannella.
Terzo punto: l’esempio della dieta mediterranea non è l’Italia. Nonostante l’italian food sia l’archetipo del buon mangiare nel mondo, la dieta mediterranea non è una nostra prerogativa esclusiva, ma appartiene a tutti quei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, dal Libano al Marocco, dalla Spagna alla Turchia. Ma attenzione. La dieta mediterranea così come è stata svelata e stigmatizzata, è individuabile solo lungo le coste di questi Paesi. Basta pensare all’Italia: le tradizioni culinarie della Pianura Padana o delle Alpi, ad esempio, sono spesso più vicine a consuetudine dei Balcani o della Mitteleuropa che al Mediterraneo. Non solo. In Italia la crescente globalizzazione dei consumi e dei gusti, spesso adottati da Paesi come gli Stati Uniti, hanno portato ad un cambiamento radicale della nostra alimentazione.
Dieta Mediterranea, Patrimonio dell’Unesco: miti e realtà
Ne è testimonianza il crescente tasso di obesità soprattutto tra le nuove generazioni, figlio di una maggiore sedentarietà, ma anche di un aumento di zuccheri e farine raffinate profuse con generosità in panini gommosi, hamburger di dubbia provenienza e bevande gasate. Chi ancora garantisce la vera osservanza della dieta mediterranea sono perciò quei Paesi che si impegnano a mantenere un’artigianalità della produzione, un’attenzione alla coltivazione, un uso di ingredienti così come natura li ha fatti. Quarto punto: la dieta mediterranea è sana, ma. Per garantire un’influenza positiva sulle malattie metaboliche del nostro organismo, occorre garantire la qualità dell’alimentazione: è inutile mangiare cereali se sono raffinati; è deleterio aumentare le porzioni di frutta e verdura se sono OGM, o se sono intrise di pesticidi.
È essenziale quindi accertarsi della provenienza e dei principi che hanno accompagnato la coltivazione di quei prodotti. È fondamentale ricordare che la dieta mediterranea è fatta di cereali integrali, in grado di mantenere integre quelle vitamine e quei minerali contenuti solo nella crusca; ma va da sé che l’integrale deve essere bio. L’olio d’oliva poi è cardine del bacino del Mediterraneo, ma un filo non può diventare quello del gomitolo di Arianna nel Labirinto di Minosse e il suo uso possibilmente è a crudo, perché insieme al pesce e alla frutta secca è l’unico grasso che garantisce l’assunzione di omega3.
Quinto punto: la dieta mediterranea fa bene anche all’ambiente. Da un recente studio pubblicato sul Journal of Health Services Research & Policy, prediligere frutta, legumi, verdura e pesce è più sostenibile che mangiare carne rossa, zuccheri o farine raffinate. Nel primo caso infatti, il carbon footprint, ossia l’impronta di carbonio rilasciata nell’ambiente per la produzione di un pasto e dovuta all’emissione di gas clima-alteranti, è pari a 5,08 kg di CO2 per un pasto completo nella dieta mediterranea, contro i 7,4 kg per un menu inglese e gli 8,5 per quello statunitense.
di Tamara Gori