Ecco un consiglio da amico: non andare a pranzo o invitare ad un banchetto enologi, vinicoltori, cantinieri (sommelier), critici del vino o importatori di vini, vi rovineranno sicuramente il pranzo. Prima di tutto saranno loro ad ordinare il vino, anche se a pagare il conto sei tu. Secondo, con il pesce ordinano sempre bianco, come se fosse un comandamento “di-vino” (capite la battuta?), anche se a te il bianco fa venire acidità di stomaco. Poi impongono anche il tipo di calice, spesso grande come un vaso da fiori, anche se a te piace il vino in un bicchiere di dimensioni maneggevoli.
I cosiddetti esperti ti dicono addirittura che la scelta del calice “é fondamentale per mettere in luce anche i difetti” del vino. Per me l’unico difetto di un vino é il prezzo elevato.
Non parliamo poi dell’impugnatura. Se non tieni il calice per lo stelo ti prendi uno sguardo assieme ad una smorfia che causerebbero un tale mal di pancia da togliere l’appetito prima ancora che arrivino gli hors d’oeuvres (antipasti, per i profani come me). Sono convinto che queste smorfie e messe in scena servano solamente a creare ansia ai commensali. Pensate a tutte quelle posate e bicchieri sul tavolo ed al linguaggio chi-chi che snocciola titoli come executive chef, sous chef, sommelier, decanter, maitre D’ e camerieri, pardon, i commis, che riescono a farsi dare mance extra in 15 lingue.
É certo che i commensali che si fanno consigliare dal cantiniere, pardon, dal sommelier, nella scelta del vino da abbinare ad una particolare pietanza, cercano una sola cosa: di pagare un conto salato perché sarà garantita la bottiglia più costosa, con un vino che poi deve essere per forza “de-cantato”, ad indicare la gioia del ristoratore (un’altra battuta, sorry!).
Se si trattasse di vino rosso, questo deve essere per forza “ossigenato”, cioè, detto in boschereccio, “bisogna farlo respirare”. Secondo me la migliore respirazione per un vino é quella fatta bocca-a-bocca.
Poi questi esperti del cavolo (il vino da abbinare con i cavoli deve essere bianco e “fermo”) impongono una temperatura ambiente per i vini rossi, e se ad uno il rosé piacesse freddo, non c’é niente da fare, sarebbe come chiedere birra fredda in un pub inglese.
I critici del vino che descrivono un vino come dal “sapore caldo di scirocco, rigoroso come una stretta di mano e di colore di tabacco fragrante”, sembra abbiano consumato qualcosa che tende a causare allucinazioni.
Si sono inoltre creati degli accessori inutili che ruotano attorno al consumo del vino, come la “ruota dell’aroma dei vini” (ultima battuta, promise!) che in America costa 10 dollari (o 8,50 euro).
A questo punto non rimane che rimpiangere quelle belle trattorie di campagna dove a cucinare sono delle vecchie cuoche e dove il vino della casa si serve “sfuso” in una caraffa, senza smorfie (e pure ti cambiano le posate per ciascuna pietanza), perché, alla fine, il miglior vino é quello che piace, servito nel modo preferito, che non costi troppo e che tenga compagnia al tavolo.